GREGORIO AGIS.

 

 

 

 

 

COMPLEMENTO A

“L’ESSERE, L’ANIMA, I MONDI”.

 

 

 

 

 

RITROVARE GIACINTO.

Per un ulteriore approfondimento del nostro nuovo concetto di realtà.

 

 

 

 

 

CONTENUTI:

Prologo e avvertimento preliminare.

Morte di Giacinto e discussione con gli angeli (Libro I).

I primi tentativi, con qualche risultato (Libro II).

Se Giacinto torna, lo perderò per sempre(Libro III).

Giacinto è venuto a trovarmi. Ma chi è Giacinto? Verso una nuova forma(Libro IV).

Giacinto in altre forme. E ora dove andrà? Altri fenomeni(Libro V).

L’Ufficio del Sud(Libro VI).

Giacinto è un gatto nero(Libro VII).

Io ti cerco nei sogni(Libro VIII).

La lite per Giacinto(Libro IX).

Epilogo.

Nuovi indirizzi di ricerca e conclusioni.


PROLOGO E AVVERTIMENTO PRELIMINARE.

 

0.1.Il Lettore ricorderà che avevo concluso il testo principale, L’Essere, l’Anima, i Mondi, con una promessa, quella di condividere con Lui (o Lei) l’esperienza occorsami tra l’anno 2000 e l’anno 2001. Si tratta della perdita del mio gatto Giacinto, morto di FIV il 7 febbraio 2000, e della ricerca da me compiuta per ritrovarlo nei mondi di materia semplice, dove gli esseri verisimilmente tornano dopo essere stati legati quaggiù a un corpo di materia atomica o, che dir si voglia, corpuscolare, a un corpo cioè prodotto dagli imbrogli della Natura terrena, la quale aggrega atomi in molecole, tessuti e organi e produce in base a tali strutture atomico-molecolari le forme macroscopiche che ci spaccia per realtà, compresa quella che ci accolla come nostro corpo, e che invece con noi non ha nulla a che fare. La coscienza intrappolata dal “sistema nervoso” non può ricevere immagini e sensazioni diverse da quelle che le vengono imposte dall’immaginazione di tale demone (o gruppo di demoni); come si ricorderà, l’immagine di sé stessa prodotta da tale immaginazione è lo spazio entro cui vengono rappresentati i corpi terreni, che sono sue rappresentazioni, immagini da lui prodotte mediante, appunto, la sua facoltà di immaginazione, e costruite in base al suo pensiero. Costui ricava le definizioni dei corpi da costruire nel suo spazio (ossia nella sua immaginazione), e cioè quelle che abbiamo chiamato “forme macroscopiche”, dalle quali dipendono poi le singole immagini, calcolate mediante le leggi della prospettiva, che di volta in volta vengono comunicate a noi esseri umani nella percezione sensibile e che noi scambiamo, a causa della nostra disattenzione, per realtà extramentale e oggettiva, in base agli aggregati atomici che, per scienziati e materialisti, sarebbero i corpi “oggettivi”, mentre sono soltanto gruppi di coscienze condizionate dalle intelligenze della Natura a essere atomi e a legarsi e slegarsi in composti che, in sé, non sono veramente corpi, ma solo concatenazioni di segni. Esiste infatti nello spazio terreno una sorta di linguaggio convenzionale fra le intelligenze della Natura, mediante cui esse descrivono la forma macroscopica le cui immagini il demone che governa il “nostro” sistema nervoso dovrà poi comunicarci, nel momento in cui si verifica la percezione visiva terrena, e tale linguaggio si serve di atomi, molecole e composti chimici come fossero lettere e parole. Come dicevamo, dunque, la coscienza umana, intrappolata dal “sistema nervoso”, che è un demone(1), non può vedere altro che le immagini delle forme macroscopiche da lui così ricavate, leggendole cioè nella struttura atomica, né può ricevere altre sensazioni che quelle da lui prodotte in base a leggi fintamente meccanicistiche, mentre ella non può comunicare con le altre immaginazioni, cioè con gli spazi degli altri mondi, le menti chiare e luminose degli esseri divini, dove si trovano gli oggetti veri, i veri corpi, che sono i simboli di un linguaggio in cui l’essere, che è coscienza e pensiero, si esprime visibilmente e sensibilmente.

0.2.Ora, visto che il mio gatto era tornato in stato semplice, pensai di andare a cercarlo, appunto, in quegli spazi dove vengono riflessi gli esseri in stato semplice, cioè nei mondi dove si trovano i corpi semplici, prodotti da un unico atto di pensiero, ognuno il riflesso di un’anima libera da aggregazione; o, detto in parole più comuni, non essendomi rassegnato alla sua perdita, mi sono dato a cercare il mio gatto Giacinto nel mondo del post mortem(2), convinto che, data la dimestichezza che avevo ormai da lungo tempo con i mondi extra-terreni, questa impresa non mi fosse del tutto impossibile. Avevo ragione: infatti riuscii a rivederlo e, al di là delle mie intenzioni, anche a riaverlo indietro, in un certo senso.

0.3.Se il Lettore, o la Lettrice, sta pensando che io sono il solito esoterista da strapazzo, un irrazionale illuso dedito al “paranormale”, evidentemente è perché Egli (o Ella) sta affrontando il presente scritto per primo, mentre esso è un testo avanzato: chi abbia omesso di prestare attenzione agli scritti di fondamento, che ho offerto già su questo medesimo sito, si troverà sguarnito degli strumenti concettuali indispensabili per comprendere che i miei pensieri e tutte le mie asserzioni sui mondi e sui corpi semplici, sulle anime e sugli incontri con esse, e così via, sono perfettamente razionali, perché fondati su una visione dell’essere e della realtà dimostrata mediante l’applicazione rigorosa del metodo assiomatico-deduttivo e del principio di ragion sufficiente. Nel corso dei nostri lavori precedenti, infatti, si è operata una precisa correzione dei concetti di essere e di realtà impiegati comunemente nella nostra cultura, i quali si sono rivelati, alla luce di una logica applicata con rigore, completamente inconsistenti; sicché dopo aver liberato la nostra mente da tali concetti errati grazie alla loro confutazione, e levati quindi gli ingombri che ci impedivano di vedere il vero essere e la vera realtà, abbiamo potuto sostituirli con le corrispondenti idee rette e procurarci così la capacità di accettare, non per fede ma per scienza dimostrata, la visione dei mondi, quelli veri, e degli esseri in stato semplice, che continuano la loro tranquilla vita negli spazi dove il loro corpo è un semplice atto di pensiero, un’immagine simbolica che esprima mediante un linguaggio i contenuti della loro coscienza.

0.4.Per essere in grado di comprendere e accettare il racconto che esporrò qui di seguito, in particolare, occorre aver chiaramente acquisito quanto segue:

 

a.la ridefinizione da noi operata di “mondo fisico”. Per il senso comune e per lo scienziato materialista la parola “fisico” significa “extra-mentale”, “esterno alla coscienza”, “oggettivo”. Ma noi abbiamo escluso per via logica(3) che possa esistere qualcosa fuori dall’essere e dunque, visto che abbiamo identificato l’essere con il pensiero, che possano esistere uno spazio extra-mentale, una materia eterogenea al pensiero e dei corpi oggettivi, esterni alla coscienza e che, insomma, possa esistere realmente il cosiddetto “mondo esterno”. Un mondo esterno, ovvero “fisico”, che abbia una realtà oggettiva e non sia prodotto del pensiero, non può esistere, perché il pensiero è l’essere e nulla è fuori dell’essere; se qualcosa è fuori dell’essere vuol dire che non è. Poiché i corpi sono estesi e visibili, e cioè sono immagini, non possono essere da sé, ma ragion sufficiente perché ci sia un’immagine è un’immaginazione che la produca pensando a una forma; così dicasi per lo spazio, che è anch’esso un’immagine, è l’immagine dell’immaginazione stessa, e per la materia, che è l’immagine dell’essere più genericamente inteso e dunque è l’immagine informe. Perciò se per “fisico” noi intendiamo “oggettivo”, non c’è nulla che sia fisico: non può esistere uno spazio “fisico”, né una materia “fisica”, né possono esistere dei corpi “fisici”, né un mondo “fisico”, se per “fisico” intendiamo “esterno al pensiero”. Sicché, quando noi usiamo il termine “fisico” intendiamo riferirci a quel mondo, prodotto del pensiero come tutti gli altri mondi, in cui però compaiono i corpi prodotti dalla Natura (che in greco si dice physis, da cui deriva la parola “fisico”) e cioè da quell’insieme di intelligenze che si occupano di plasmare e aggregare atomi (ma si intenda per atomi i corpi microscopici che sono immagini di coscienze atrofizzate e oscure, la “polvere del suolo”) in strutture complesse, alle quali sovrappongono le forme macroscopiche(4), le cui immagini, come si diceva sopra, sono quelle che vengono comunicate alle nostre coscienze quando noi ci troviamo a ricevere percezioni legati a uno di questi corpi aggregati e dunque in balia di un sistema nervoso. Sicché, quando noi usiamo la dizione “corpo fisico”, intendiamo parlare del corpo aggregato, che non è un vero corpo, come quelli prodotti da un semplice atto di immaginazione che si trovano negli altri spazi, ma è prodotto da un complesso assai complicato di pensieri, e soprattutto non è il nostro vero corpo, ma è, da un lato, uno sciame di altri corpi, gli atomi che si aggregano nelle sue cellule, tessuti e organi, e dall’altro è una forma macroscopica concepita nella mente di un’intelligenza, la quale riesce poi con le sue manovre a convincerci che le immagini di tale forma, riflesse in quello spazio che a noi si comunica, e cioè nella sua immaginazione (la quale è la facoltà, appunto, di costruire le immagini visibili delle forme macroscopiche), siano il nostro corpo e, anzi, il nostro essere, e che noi dobbiamo ad esso la nostra esistenza e le nostre facoltà. Parimenti, quando noi parliamo di “oggetto fisico”, intendiamo riferirci a un aggregato di atomi, da un lato, e dall’altro alla forma macroscopica ad esso associata, che è un complesso di pensieri nella mente delle intelligenze della Natura, quelli che definiscono la forma tridimensionale che poi dovrà apparire nelle immagini che vengono comunicate a noi nella sensazione, e che noi chiamiamo erroneamente “oggetti esterni” e cioè che erroneamente crediamo oggettivi, quando invece sono pensieri. E quando parliamo di “spazio fisico”, intendiamo lo spazio terreno, e cioè sia l’immagine dell’immaginazione di quel demone che costruisce in sé le immagini delle forme macroscopiche sovrapposte agli aggregati atomici per comunicarcele, sia l’immagine dell’immaginazione della Terra, cioè di quell’intelligenza che costruisce in sé le immagini delle forme microscopiche, e cioè riflette i contenuti delle coscienze involute e buie che fungono da atomi e che collettivamente costituiscono la materia terrena, quella che anche noi possiamo chiamare “materia fisica”, purché però nel nostro senso ridefinito, dove “fisico” non vuol dire esterno, ma indica ciò che è prodotto dalle operazioni nascoste delle intelligenze della Natura. Chi ci abbia seguiti nello scritto principale e negli altri scritti precedenti, sa già che per produrre il cosiddetto “mondo fisico”, cioè la sfera della nostra esperienza sensibile, ci vuole la cooperazione di due spazi, due intelligenze cioè che producano della propria immaginazione un’immagine che è appunto lo spazio, quella che contiene i corpi microscopici, le immagini degli atomi e che chiamiamo Terra, e quella del nostro sistema nervoso che ne interpreta i contenuti e ci tiene, per così dire, in custodia o in carcere, impedendoci di vedere altro da sé e dai propri pensieri, i cosiddetti corpi “fisici”. Il “mondo fisico” è dunque il prodotto della cospirazione di molti demoni: la Terra e le intelligenze che plasmano gli atomi condizionandoli ad avere una certa serie di contenuti nella loro coscienza, che poi si specchiano nello spazio della Terra, dove vengono da codeste intelligenze anche legati in composti, continuamente aggregati e disgregati secondo quelle che vogliono sembrare leggi meccanicistiche; e i demoni che fanno funzionare il nostro sistema nervoso, quello entro la cui immaginazione, che noi scambiamo per spazio oggettivo, siamo confinati e quelli che si occupano delle altre sensazioni e della altre interferenze da noi subite(5). Insomma, “fisico” è ciò che vuole sembrare esterno al pensiero e vuol sembrare essere e realtà al posto del pensiero, al posto nostro, quando è invece, come tutto ciò che esiste, prodotto del pensiero; ma di quel pensiero che si fa simulazione ingannevole e se ne sta nascosto.

 

b.le definizioni corrette di spazio, corpo e materia. Chi ci ha seguiti fin qui con la dovuta attenzione deve ormai sapere che esistono due tipi di materia, una semplice e una corpuscolare. La materia terrena, quella corpuscolare (o atomica, o fisica, secondo quanto detto al punto precedente) non è vera materia ma una copia contraffatta della vera materia, la quale è l’immagine della coscienza(6). La vera materia sarà più o meno torbida e oscura a seconda del grado di chiarezza con cui la coscienza di cui è il riflesso visibile rappresenta sé stessa, e la materia vera e propria, a pieno titolo, immagine della coscienza più elevata e luminosa, capace cioè a maggior grado di vedere l’essere, di averne intelligenza, e di esserne una retta rappresentazione, di essere coscienza e conoscenza di sé, è elemento liquido puro e cristallino, acqua viva capace di riflettere la luce delle forme(7) e così di solidificarsi nei cristallini corpi di pensiero che compongono i veri mondi, la vera realtà. La falsa materia, invece, è un insieme di spiriti involuti e sinistri, incapaci di pensarsi da sé e di rappresentare l’essere(8), una specie di sedimento da esperienze fallimentari e di coscienze morte, ossia chiuse nell’ignoranza di sé e dell’essere, nella tenebra, uno strato di polvere o sabbia da cui le intelligenze della Natura attingono la materia prima per fare gli atomi da aggregare nelle strutture atomiche degli oggetti fisici, nel nostro senso sopra ridefinito, e cioè per creare un mondo ingannevole di falsi corpi il cui scopo già abbiamo svelato nello studio intitolato La Natura e nei suoi due complementi, e che perciò non ripetiamo qui. Il vero corpo è un atto consapevole del pensiero che si serve, per esprimere i propri contenuti, di immagini, secondo le regole di un linguaggio simbolico. E la capacità di immaginare corpi per esprimere i contenuti della coscienza appare in quell’immagine che noi chiamiamo “spazio”, che dunque è, appunto, immagine dell’immaginazione dell’essere.

 

0.5.Chi abbia acquisito tali nozioni, avendo confutato in sé stesso i concetti errati che prima le eclissavano, ha purificato il proprio pensiero ed è ormai in grado di accettare l’esistenza di quei mondi che ci si mostrano nei sogni e nelle visioni, soprattutto se ha riflettuto su quanto da noi detto nel testo principale(9), dove abbiamo cancellato l’antitesi tra sogno e realtà, tra esperienza reale e allucinazione. Tutti i contenuti della coscienza, ripetiamolo, sono esperienze reali, ed applicando il principio di ragion sufficiente correttamente, nel suo corollario che dice “se un contenuto della coscienza esiste ma non l’ho prodotto io, esso è il prodotto della coscienza di qualcun altro” abbiamo escluso che possano esistere contenuti della coscienza che vengano dall’”inconscio”, e abbiamo così cancellato tale nozione contraddittoria, oscura, fuorviante e irrazionale dalla nostra mente, sicché liberi da questo gravame patogeno e generatore di confusione e oscurità, abbiamo potuto vedere e guardare i mondi, ricevere il loro messaggi e i loro sorrisi, e comprendere i loro insegnamenti. E’ ciò che racconto nel testo principale. Qui oltre, invece, come dicevo, a chi sappia accettarla racconto un’altra esperienza, la storia di come ho cercato e ritrovato Giacinto, dopo che il suo corpo aggregato era stato distrutto dalla FIV, o, insomma, dopo che era morto.


NOTE AL PROLOGO.

 

Nota 1: chiamiamo demone una coscienza munita di intelligenza (e sovente, come il Lettore già si sarà accorto, abbreviamo questa espressione chiamando una coscienza munita di intelligenza semplicemente “un’intelligenza”; un atto di coscienza dell’essere, se è una coscienza sana, si chiama anche “angelo”) che si occupa delle operazioni nello spazio terreno, quelle mirate alla costruzioni di un mondo “fisico” (per questa nozione vedi oltre, al punto a. di questo prologo) e ad intrappolare in esso la coscienza umana. Seguiamo in questo l’etimologia, poiché daimon, che è il termine greco da cui deriva la parola poi storpiata dai Cattolici che intendono con il termine “demone” qualcosa di cattivo, mentre attribuiscono assurdamente la creazione del mondo fisico a un Dio unico buono e onnipotente, contiene la radice da, che significa, appunto, “terra”, presente anche nel verbo daiomai, che significa “assegno come parte”: infatti è il nostro demone che, facendoci aggregare a un certo corpo terreno, decide la nostra collocazione nel mondo umano e dunque il nostro destino, o almeno così pensavano i Greci tradizionalmente. Insomma, un demone è una mente che si occupa della Terra e non un diavolo cattivo, essere ribelle e caduto invidioso dell’uomo, come l’assurda teologia romana foggiata nel Basso Impero da uomini come Agostino d’Ippona vogliono farci credere. I demoni della Natura sono il Dio creatore, il quale, se non è così buono come si aspettano i Cattolici, nel senso che non dona tutto a tutti a prescindere dal merito e dalla giustizia, non è nemmeno cattivo; codesti demoni sono invece assai rigorosi e severi, e anche astutissimi, ma giusti. Questo l’ho già spiegato nello studio La Natura e nei suoi due complementi, e perciò non lo ripeto qui; in questa sede si vedrà come codesti demoni siano affabili e trattabili, quando li si prende per il verso giusto. Le spiegazioni su struttura atomica e forma macroscopica sono contenute nel testo principale, L’Essere, l’Anima, i Mondi, §§7.7-7.10 e 7.12-7.13, e poi riprese nei §§9.4-9.5.

 

Nota 2: chiamiamo così, per brevità, ma con una certa imprecisione, lo stato dell’anima dopo che il suo corpo aggregato ha iniziato a disgregarsi; ricordiamo però che a morire è solo l’organismo terreno, e che “morte” significa solo lo scioglimento dei legami che vigevano prima tra le molecole dei composti chimici ai quali veniva sovrapposta dal nostro sistema nervoso la forma macroscopica degli organi del nostro corpo, e la conseguente scomparsa dallo spazio terreno dell’associazione fra la nostra forma macroscopica e la nostra coscienza. Vi è però anche un significato simbolico della parola “morte”, che vedremo a suo tempo. Per ora basti dire che i mondi del post mortem sono quelli dove lo spazio riflette i corpi semplici, cioè quelli che siano l’immagine simbolica di anime in stato semplice e non aggregato.

 

Nota 3: la materia qui riassunta è stata svolta estesamente ne Il fondamento della ricerca, libro I. E’ il testo che contiene i fondamenti indispensabili per poter seguire il nostro itinerario filosofico, quindi raccomando, prima di smarrirsi negli scritti più complicati, di assorbire per bene i suoi contenuti; e comunque in caso di difficoltà il Lettore o la Lettrice possono sempre rivolgersi direttamente a me per qualunque spiegazione, all’indirizzo civitas@hotmail.it.

 

Nota 4: per il significato di questa espressione si vedano i passi di L’Essere, l’Anima, i Mondi già citati a nota 1.

 

Nota 5: per esempio la trasmissione alle nostre coscienze di istinti, doti naturali e ispirazioni di altro tipo, compresi quelli che vengono presi per sintomi di malattia mentale dalla psicologia materialista, che non ha la minima nozione di che cosa sia l’anima, la sua salute e la sua malattia, fuorviata appunto da questi fenomeni di interferenza; già ne parlammo nello scritto intitolato La Natura, ma bisognerà approfondire l’argomento in opere monografiche apposite. Devo chiarire che quando io dico “sistema nervoso” o “mente duale” (quest’ultimo termine è il modo che usa codesto demone per chiamare sé stesso) intendo quel demone che costruisce nello spazio le immagini degli oggetti terreni che poi comunica a me (ce ne deve essere uno per ogni organismo e dunque noi esseri umani non viviamo tutti nello stesso mondo, ma ognuno in un mondo diverso, tranne che tutti questi spazi riflettono le stesse forme macroscopiche, ricavate, come detto, dalle medesime strutture atomiche contenute nello spazio terreno, costruendone immagini per mezzo delle stesse regole e quindi a noi sembra di vedere lo stesso mondo, mentre non è così), ma a operare nel mio sistema nervoso ci sono anche quei demoni che mi comunicano i sapori, sempre lo stesso sapore in corrispondenza del contatto tra il mio organismo e quella determinata struttura atomica, gli odori (idem come sopra) e tutte le altre sensazioni che il materialista crede oggettive o, nel migliore dei casi, nell’alveo della teoria democritea della sensazione, dipendenti dalle strutture atomiche degli oggetti e da leggi meccanicistiche, mentre sono pensieri dei demoni che simulano meccanicismo e non hanno nulla a che fare con la costituzione atomica del presunto oggetto. Ci siamo già occupati di questo ne Il fondamento della ricerca, §§4.5-4.10, oltre che in L’Essere, l’Anima, i Mondi, passim. Ricordiamo dunque che il nostro sistema nervoso è un demone con molti collaboratori, e che le loro operazioni sulla nostra coscienza si riflettono nello spazio terreno come energie neuronali, attività neuronale.

 

Nota 6: si rilegga su questo il II libro de Il fondamento della ricerca, specialmente il §2.6.

 

Nota 7: cfr. ibidem, soprattutto al §2.7 e segg. Abbiamo parlato dei corpi cristallini anche in L’Essere, l’Anima, i Mondi: il Lettore ricorderà le visioni della “villa azzurra” e dei due principi che entrano in composizione per generare un corpo visibile contenute nei §§2.7-2.8 e 2.10-2.11.

 

Nota 8: cfr. ivi, §7.15-7.16.

 

Nota 9: soprattutto ai §§1.7-1.17.


LIBRO I.

 

 

 

 

 

MORTE DI GIACINTO E DISCUSSIONE CON GLI ANGELI.


LIBRO I.

 

INDICE DEGLI ARGOMENTI.

 

Mio appello contro l’Assemblea per via della malattia e della morte del mio gatto Giacinto: le mie ragioni. Si tratta di eros e di bellezza, e di come sia impossibile non legarsi a forme belle, anche se queste sono soltanto le forme macroscopiche associate agli aggregati terreni, cioè qualcosa di falso ed effimero. Nostalgia dei mondi veri e della loro bellezza.(1.1-1.5).

 

Strategie diverse da prendere nel mondo terreno, quella scelta da Agis: ho lasciato, non per sventatezza, ma per una scelta ponderata, che Giacinto entrasse nella mia vita(1.6-1.7). Differenza tra vero innamoramento e sentimenti di altro tipo che erroneamente si chiamano così(1.6, in fondo); descrizione dell’innamoramento fulmineo di Agis per il gattino(1.8).

 

L’inizio della discussione con i mondi: una visione-incontro con “mia sorella”, cioè con Dio(1.9).


1.1.Non appena Giacinto si spense, tra le 6.30 e le 7, o forse le 7.30, di quel mattino del 7 febbraio 2000, iniziai subito a cercarlo. Dopo quasi due anni di malattia, era morto serenamente fra le mie braccia, mentre io gli parlavo, guardandomi negli occhi; il suo corpo aggregato, il suo bel corpo grigio-argentato, aveva conservato sul volto un’espressione attenta e amorosa, perché mentre il suo respiro si alleggeriva e i suoi occhi si facevano sempre più vitrei io gli stavo dicendo: “sei un bel gatto. Sei il mio gatto”. A queste parole lui ha teso le orecchie e il musino verso di me, come in ascolto, e io ho visto i suoi occhi come soffusi da una luce tenerissima. Si è spento conservando questa espressione amorosa; non riuscii a capire quale fosse l’esatto momento dell’ultimo respiro perché morì pian piano, lieve e dolce. Così rimasi solo.

1.2.Mentre Giacinto agonizzava, tra il dicembre 1999 e i primi del febbraio successivo e, in particolare, dopo che le analisi mediche avevano confermato in via definitiva che il suo corpo terreno aveva contratto la FIV (è l’AIDS felino), io avevo cominciato a rivolgere pensieri irosi verso le intelligenze che governano la Terra, anzi verso tutta l’Assemblea delle anime elette(1), visto che nessuna decisione viene mai presa nell’Universo se non dall’intero consiglio nel suo insieme; o, insomma, stavo rivolgendomi a Dio, a tutti gli dèi, con vivacissime proteste perché non potevo ammettere questa mancanza di rispetto nei miei confronti. Le mie argomentazioni erano le seguenti: avete intrappolato la mia anima in un corpo aggregato, e la state tenendo ivi rinchiusa più del dovuto, perché io ho superato tutti gli errori che voi, imponendomi l’identificazione con tale falso essere, avete impresso in lei: io ho dimostrato di essere più forte di voi, non siete riusciti a provarmi incapace di trovare la verità, non avete dimostrato debole il mio amore. Ora io dovrei essere libero, non ho proprio più niente da fare qui, nel mondo della simulazione, per me stesso; se sono tenuto qui segregato e lontano dai veri mondi e dalla bellezza, evidentemente, è per motivi che interessano a voi, non a me. Sono solo in mezzo a questi mostri, uomini dalle forme spirituali animalesche e bestiali(2), e devo sopportare questa famiglia biologica che mi avete accollato, gente estranea per me, che mi odia e mi disprezza, che si rifiuta di vedermi come realmente sono e di rispettarmi; in particolare la violenta smania possessiva e distruttiva di mia madre, che mi sfinisce ormai da decenni. L’unica consolazione che ho è questo gatto, e ora non me lo potete togliere: è il mio unico angolo di paradiso, di bellezza e di quiete, come una piccola oasi nel deserto, in questo mondo pieno solo di indifferenza, di brutture, di spettacoli squallidi dove per me è una continua guerra. Non potete portarmelo via. Non potete trattarmi così, mi dovete un po’ di rispetto.

1.3.Il problema era questo, infatti: non era solo che io fossi affezionato a Giacinto, alla sua anima voglio dire, ma ero legato alla bellezza del suo corpo fisico. Un eletto è un’anima dotata di eros e dunque là dove c’è bellezza egli immediatamente s’innamora(3); se le persone come me non sono mai legate a nulla di terreno, è perché i corpi terreni non sono la vera bellezza, poiché è bello ciò che è immagine visibile del bene, e il bene è la verità: il bene è ciò mediante cui l’essere rappresenta rettamente sé stesso(4) e il bello è la sua immagine. Perciò la bellezza non è nei corpi aggregati, che non sono vere rappresentazioni dell’essere, ma simulazioni; non sono verità, ma falsità e dunque non sono belli e chi conosce il vero bene e inclina alla vera bellezza non se ne innamora(5), ma li guarda con indifferenza. Noi vogliamo ciò che è bello realmente, non ciò che scimmiotta la bellezza.

1.4.Ma la Natura, quando costruisce le forme macroscopiche che sovrappone agli aggregati atomici per comunicarne le immagini alla nostra coscienza, guarda alle idee, e le idee sono rappresentazioni dell’essere; le medesime idee che generano i veri corpi, che sono immagini delle vere realtà nei mondi spirituali, entrano in composizione anche per produrre la forma macroscopica associata a un corpo aggregato; e anche se le forme macroscopiche associate agli aggregati di atomi non sono vere visioni dell’essere, e le loro immagini non esprimono nulla di vero e non hanno alcun significato, ugualmente conservano un’eco lontana della bellezza degli oggetti veri. Il mare, ad esempio, è immagine della forma macroscopica liquida sovrapposta dal nostro sistema nervoso a gruppi di atomi legati in molecole, i quali con la vera acqua, che, come dicemmo, è il riflesso della coscienza ed è perciò la vera materia, non hanno nulla a che fare; però ne conserva la forma e quando noi vediamo il mare fisico, vediamo qualcosa che assomiglia al vivo mare dei veri mondi, l’anima, e ne possiamo sentire, anche se in maniera oscura e distorta, la bellezza. Oppure un fiore: quando sboccia uno di questi effimeri fiori di quaggiù, noi non ne vediamo l’insignificante struttura atomica, la quale è soltanto un insieme di frasi scritte in un codice cifrato convenzionale, quello che usano i demoni per descrivere e definire la forma macroscopica le cui immagini poi i demoni del nostro sistema nervoso comunicheranno a noi coscienze intrappolate nel loro spazio, ma noi vediamo, appunto, tali immagini, ricche di proprietà e qualità poetiche, che però con la struttura atomica non hanno niente a che fare, ma esprimono i sentimenti degli angeli complici della Terra nel simulare i suoi meccanicismi; sicché, anche nel caduco fiore terreno noi vediamo, per un istante, pur sempre l’immagine di un pensiero, e anche se quel pensiero è una menzogna, perché lì, fra gli atomi del fiore, quel pensiero in realtà non c’è, esso è comunque un pallido riflesso del fiore vero, quello che nei mondi dello spirito manifesta nel simbolo la capacità dell’anima di aprirsi al sole, e cioè di amare la verità e di spargere il soave profumo dei suoi sentimenti retti.

1.5.Si capisce, dunque, che un’anima erotica come la mia, e cioè un’anima che comprende il significato dei simboli e quindi sa riconoscere quegli oggetti che sono beni e sa dedurne autonomamente e consapevolmente la bellezza, non saprebbe che farsene dell’oscura bellezza dei corpi fisici, che è solo una contraffazione, se avesse a sua disposizione sempre, quando vuole, i veri corpi, se potesse a suo piacimento accedere ai veri mondi, che sono colmi di bellezza ovunque e nei quali quindi ella sarebbe continuamente in stato di beatitudine e cioè in paradiso(6). Certo io, come tutti quelli come me, non mi accontento dei sentimenti estetici irrazionali che gli esseri umani ricevono medianicamente(7) dal sistema nervoso o da uno dei suoi collaboratori, e dei quali essi non sanno spiegare né la provenienza né la ragione. Gli esteti irrazionali si lasciano guidare da queste sensazioni senza chiedersi perché una cosa sembri bella, senza spiegarsi che cosa sia che fa di qualcosa una cosa bella; e non immaginano che quel sentimento di approvazione, di gioia e di gradevolezza, che essi provano, e che chiamano sentimento estetico, è in realtà il sentimento di qualcun altro, di un angelo capace di giudicare una cosa come bene e dunque di sentirne la bellezza, e di comunicarne il sentimento alla loro anima nascostamente. Quando poi gli uomini giudicano da sé ciò che è bello e ciò che non lo è, per lo più sbagliano, poiché, non avendo la retta cognizione del bene, considerano beni quelli che non lo sono affatto, e trovano belle dunque certe cose perché sembrano loro qualcosa di buono (ricordiamo che il bello è un bene visibile), quando esse sono dei mali, e sono brutte. Per esempio, Milano, la città in cui -ahimé- mi tocca vivere, è piena di vetrine colme di oggetti lussuosi e orrendi; i ricchi li trovano belli perché credono che sia un bene ingigantire la propria importanza esibendo lussi e dunque provano quel sentimento di soddisfazione, che scambiano per percezione della bellezza, guardando una cosa brutta ma costosa; ma il loro è cattivo gusto, cioè sentimento estetico irrazionale, sviato dalle false idee che hanno nella loro coscienza sul bene e sull’essere(8). Ma di questo dovremo dire altrove; qui basti chiarire che un’anima come la mia non sa che farsene di lussi squallidi, tanto meno, ma non saprebbe che farsene neppure di quei corpi fisici che riflettono soltanto una pallida ed effimera immagine della bellezza, come dicevo, se fosse a casa. Se non che, la bellezza vera ci manca, finché siamo chiusi nel corpo di terra e in balia del sistema nervoso, questo spazio terreno che ci impedisce di accedere ai veri mondi, e dunque soffriamo di nostalgia, soprattutto se questo viaggio attraverso il mondo oscuro dura troppo a lungo; ci manca la bellezza -chi legge può capirlo?- e più passa il tempo, più la nostalgia si fa sentire fino a diventare insopportabile, e noi non abbiamo altro per consolarci che la poca e oscura bellezza di quaggiù, quella vagamente riflessa dalle immagini contraffatte, dai falsi corpi.

1.6.Forse gli angeli si aspettavano da me che io rimanessi sobrio, e che non mi lasciassi affascinare da alcunché di fisico, durante la mia vita terrena. Forse si aspettavano che, di fronte ai corpi effimeri prodotti dalla Natura, io mi astenessi dall’amarli, che facessi uno sforzo su me stesso per impedire a me stesso di innamorarmi di quel vago fantasma di bellezza che c’è nel mondo terreno; forse si aspettavano che facessi mio quell’atteggiamento filosofico espresso, per esempio, in una battuta rivolta da Clint Eastwood, in un film da lui diretto, a una donna con la quale si era appena incontrato e che gli piaceva: “non ti desidero, perché non posso averti”. Questo forse anch’io avrei dovuto dire, a parere degli esseri divini e della loro logica, di fronte a ogni evanescente immagine della bellezza che mi capitasse di incontrare qui nel mondo terreno: “non ti amo, perché so che mi sfuggirai”. Sì, ma io non sono Clint Eastwood. Ho provato a fare il duro, il freddo, il superiore, l’uomo dagli occhi di ghiaccio, ma non m’è riuscito: se io vedo anche la più effimera immagine della bellezza, m’innamoro. Non sto parlando, ovviamente, di quell’istinto animalesco, l’attrazione tra i due sessi, che nel linguaggio comune viene erroneamente chiamato “innamoramento”, spero che il Lettore lo abbia capito(9): quello è una spinta medianica che l’anima riceve passivamente dallo spirito della specie, che è uno dei demoni che governa la Terra, al quale interessa obbligare l’individuo a occuparsi della riproduzione della specie biologica. Da questo sentimento e dai suoi ripugnanti succedanei, i desideri possessivi di chi devia l’istinto a scopo di ingigantire il proprio ego e soddisfare la propria superbia indirizzando esclusivamente verso sé stesso le attenzioni di un partner, che parimenti nella cultura dominante si spacciano per amore, io sono completamente immune, avendoli disinnescati con la scienza del vero essere e del vero bene, ed essendomi di conseguenza procurato il vero amore, che è il desiderio di condividere il bene, la sapienza, con tutti gli esseri e non è il rapporto esclusivo con una persona sola. Sto parlando, quando dico “m’innamoro”, del sentimento della bellezza, che è amore razionale per ogni cosa che sia anche lontanamente immagine del bene, e che è il vero eros. Esso non ha niente a che fare con l’istinto animalesco di riprodurre la specie (noi sappiamo che cos’è la vera nascita) e cioè col desiderio sessuale, tranne che quest’ultimo ne è la copia scadente e contraffatta.

1.7.Quando mia sorella, un giorno del 1990, il 16 agosto per la precisione, mi telefonò per dirmi che mi stava portando un gattino di poche settimane da Canzo (paese sulla via per Bellagio, sul lago di Como), dove era andata a trovare un suo amico gattofilo che si era accorto di una mamma gatta rintanata in una soffitta coi suoi tre micetti, ricattandomi anche, perché disse che se non lo avessi preso io lo avrebbero fatto fuori subito i cacciatori del luogo, forse le intelligenze della Natura che mi stavano osservando, come fanno sempre con tutti noi esseri umani, si aspettavano che io ragionassi nel modo seguente: per un’anima incarnata in un corpo di specie gatto non è un male morire, perché è solo la struttura atomica che si dissolve, mentre ella incolume, torna nei mondi dei corpi semplici; legarmi a un gatto sarebbe un rischio e un impegno, perché tutto ciò che è bello e tenero quaggiù può cadere in mani distruttive, e sarebbe difficile per un poveraccio emarginato e senza risorse come me riuscire a tutelare una creatura piccola e indifesa. In particolare, mentre mia sorella stava arrivando col micetto, mia madre, che era da un’altra parte, mi strillava per telefono: “assolutamente no. Niente gatti, oppure fuori tu e fuori il gatto”. Anch’io mi sarei aspettato da me stesso un’altra decisione, quella di prendere il telefono, richiamare mia sorella e ingiungerle fermamente di riportare indietro il gattino. Ma ero solo, completamente solo, e dissi a me stesso che forse avevo il diritto a un po’ di compagnia, a qualcosa di bello, che forse avevo il diritto di chiedere al gattino di rimanere con me qui sulla Terra per l’arco di tempo della sua vita, ad alleviare la mia solitudine e donarmi un po’ della sua bellezza. E ricordo che pensai anche che forse a un’anima può essere utile, per la sua evoluzione, un’esperienza in forma di gatto: che ne potevo sapere? Decisi di mandare al diavolo mia madre, la filosofia stile Clint Eastwood e anche la mia prudenza strategica, e persino -per un limitato momento- la mia saggezza ontologico-psicologica, e di prendere il gattino con me. Preferii, insomma, rischiare di soffrire che perdere la possibilità di avere un po’ di conforto.

1.8.Giacinto -lo chiamai così perché il giorno dopo, il 17 agosto, il primo giorno intero che passammo insieme, era il giorno di San Giacinto- era la cosa più bella che avessi mai visto in vita mia, me ne innamorai immediatamente. Alla prima occhiata mi resi conto di avere una grandissima responsabilità: avevo fra le mani il gatto più bello del mondo, un miracolo della Natura, un’opera d’arte inestimabile che andava salvaguardata a tutti i costi come il cenacolo di Leonardo da Vinci, come la Cappella Sistina, come la Primavera del Botticelli, come la cupola del Brunelleschi... Il Lettore si levi dalla faccia, per cortesia, quel sorriso di compatimento: lo so che tutti i proprietari di gatti delirano e sono convinti che il proprio gatto sia il gatto più bello del mondo, ma il mio è un caso diverso, perché Giacinto era davvero il gatto più bello del mondo, tanto che io mi indignai contro quell’ottuso del veterinario il quale, quando lo visitò per la prima volta, scrisse sul libretto sanitario: “gatto comune europeo”, non senza perorare la causa della sterilizzazione, mentre io mi sarei aspettato che egli mi raccomandasse di tutelarne il seme, per poterne perpetuare la forma, per conservarla qui sulla Terra come si conservano, appunto, le più alte opere d’arte e di poesia. Insomma, ero completamente impazzito, ma era una pazzia ragionevole, in fin dei conti.

1.9.Perciò, come dicevo, circa dieci anni dopo, nel momento in cui le forze della Natura, applicando imperterrite le loro maledette leggi fintamente meccanicistiche, stavano minacciando di portarmelo via, io montai in collera, presentai loro le mie ragioni e le diffidai dal farlo. Il giorno 8 gennaio 2000, cioè circa un mese prima che Giacinto morisse, esse risposero: ebbi una visione. Fui chiamato in un altro spazio e, consapevole di essere fuori dalla Terra, in un mondo simbolico, osservai attentamente ciò che mi stavano dicendo. Dopo alcuni preliminari, accadde nel modo seguente, come risulta dalla trascrizione stenografica che ne feci immediatamente la mattina dopo:

 

So di essere nel mondo dei corpi mentali, nella realtà spirituale, e sono con mia sorella; siamo in una casa, un edificio a più piani. Ci mettiamo a giocare a carte, sapendo che questi tarocchi che usiamo sono in realtà simboli, e che sono importanti. Mia sorella gioca una carta di grande valore: “la gioia della morte”; già, è vero: questo mi rammenta che siamo anime elette e per noi la morte è una rinascita e una liberazione. Io all’inizio penso di avere in mano carte di valore inferiore (il valore di una carta dipende dall’importanza del concetto, dal peso dell’argomento che essa simboleggia), ma osservando bene, invece, trovo la carta dell’infinito, cioè il simbolo del mare: sulla carta appare una bella immagine poetica del mare infinito, splendente. Non so se “l’infinito” abbia più valore de “la gioia della morte”, comunque la gioco. Mentre scopro la mia carta e la calo sul tavolo dichiaro di non sapere se essa vale più o meno della carta giocata da mia sorella, cioè non so decidere chi deve fare questa presa...

 

Hanno deciso loro per me, sicché Giacinto è morto; hanno deciso che la sua anima doveva essere stanca di stare sulla Terra con tutti i sacrifici che questa posizione comporta, e che pesava più il suo desiderio di tornare nei mondi liberi da aggregazione, la gioia di liberarsi del corpo aggregato, rispetto alla mia esigenza di continuare a vederlo, e cioè rispetto al mio eros. Ma nella visione il risultato di quella mano di tarocchi era incerto, e nemmeno “mia sorella”, cioè la Natura, ovvero gli dèi nel loro insieme, sapeva decidere quale delle due ragioni avesse più peso. Io rimasi convinto che avessero commesso un sopruso verso di me e impugnai la loro decisione, come vedrà il Lettore che abbia la pazienza di seguire oltre il mio racconto. Comunque, la prima cosa che feci appena Giacinto morì, come ho detto all’inizio di questo racconto, fu di andare a cercarlo, e questi tentativi sono la materia del prossimo libro.


NOTE AL LIBRO I.

 

Nota 1: per la retta nozione di Dio come unità molteplice e collettiva, Assemblea di angeli cfr. Il fondamento della ricerca, §§2.9-2.10 e 2.13-2.14; per il retto atteggiamento da tenere nei suoi confronti cfr. Il fondamento dell’etica, §8.7 e anche la seguente frase contenuta nella Conclusione: “Il superstizioso chiede perdono a Dio delle sue colpe; il sapiente accusa questo creatore della natura terrena, che non è Dio, perché è responsabile e colpevole del male che ha prodotto nell’uomo occultandogli l’essere e così privandolo del bene, e gli chiede conto”. Per la nozione di anima eletta e di nuovo sull’Assemblea cfr. ivi, nota 2 e nota 3 al libro VI, e nota 14 al libro VII, poco prima e poco dopo il “Nota Bene”; sul fatto che il ruolo satanico svolto dai demoni nel mondo terreno è deciso dall’intera Assemblea abbiamo scritto un’opera intera, La Natura con i suoi due complementi, che occorre leggere per intero e meditare a lungo, se si vuol comprendere il senso della storia umana, della vita individuale e, soprattutto, se si vuole stabilire un giusto rapporto con  i mondi, e cioè con Dio, che è requisito indispensabile per uscire dalla condizione di ottenebrati e rientrare nel vero essere. Riguardo a Dio come mondo visibile, riflesso della molteplice vita dell’unico essere cfr. L’Essere, l’Anima, i Mondi: §3.10; di nuovo sulla fermezza da tenere di fronte ai mondi, a Dio: ivi, §7.6.

 

Nota 2: riguardo al principio dell’esca, che è l’unico motivo che io riesca, per ora, a immaginare della permanenza troppo prolungata in Terra di un’anima come la mia, vedasi Sull’eutanasia, secondo complemento a La Natura, in particolar modo al 3° punto e alla Conclusione, compresa l’importante nota 18. Su forma animalesca e forma bestiale impresse nell’anima umana dall’identificazione col corpo fisico e dall’esperienza terrena vedasi La Natura, libro VI, mentre per un primo fondamento del sapere sulla patologia dell’anima bisogna leggere per intero La cura dell’anima.

 

Nota 3: per la definizione di eros e di bellezza e per la conseguente comprensione di che cos’è la vera beatitudine e il vero paradiso, si torni allo scritto principale, L’Essere, l’Anima, i Mondi e si rileggano i punti 6 e 7 della Conclusione.

 

Nota 4: si ricordino i Lettori che nella nostra scienza noi chiamiamo bene l’essere e ciò che fa essere l’essere; poiché è essere il pensiero, cioè coscienza e conoscenza di sé, il bene è la verità, ossia ciò mediante cui l’essere rappresenta rettamente sé stesso e si conosce. Quando la verità, che è il bene, diventa visibile esprimendosi in segni, che sono i veri corpi che nei veri mondi hanno significato simbolico e parlano, appunto, dell’essere, questo lo chiamiamo bello, bellezza e fruendone siamo beati. Non si perda il Lettore, o la Lettrice, queste definizioni, ma le registri nella sua anima, perché la loro conoscenza è l’unica via verso il paradiso.

 

Nota 5: mi si perdoni una piccola divagazione, che è la seguente. Credo che sia per questo che i Cattolici, secondo un’antica diceria, erano convinti che “le streghe” sono donne che non si innamorano mai, cosa che nel loro maschilismo imperante è imperdonabile. Nella loro ottica completamente distorta e rovesciata, ovviamente, i Cattolici chiamavano “streghe” le anime elette o per lo meno tendenti a  una forma spirituale meno oscura e ottenebrata di quella imposta dalla loro cultura.

 

Nota 6: rammentiamo che nella nostra scienza si definisce “paradiso” il continuo stato di beatitudine di chi fruisce ininterrottamente della bellezza dei mondi, così come la felicità è l’eterna fruizione del bene. Questo è il sommo fine dell’esistenza ed esserne consapevoli è come aver trovato la stella polare.

 

Nota 7: sulle operazioni di ispirare alle anime dei contenuti che esse ricevono passivamente e cioè ”medianicamente” cfr. La Natura, libro III. Ricordo che noi intendiamo per “medianico” un contenuto della coscienza che ella non produca da sé autonomamente, ma che riceve da qualcun altro, soprattutto se ella ne ignora la provenienza.

 

Nota 8: questo era fra gli argomenti svolti ne La cura dell’anima. Qui basti ricordare che se l’anima umana tende a desiderare falsi beni, è perché ha perso la retta nozione di bene, dal momento che noi desideriamo ciò che sentiamo o giudichiamo come un bene; e l’uomo ha perso la retta nozione di bene essendosi identificato con un corpo aggregato che gli ha fatto perdere la retta nozione di essere: infatti bene è l’essere, e chi non ricorda più che cos’è l’essere, non può sapere che cos’è il vero bene. Ivi abbiamo anche parlato dello smarrimento del valore, da cui è afflitta l’anima finché non ricorda più di essere un atto di coscienza dell’essere, una rappresentazione dell’essere eterno, che induce l’anima a cercare un valore fittizio al posto di quello legittimo perduto, e quindi a ritenere beni i mezzi che le consentano di ingigantirsi dandosi un valore esagerato e spurio. Il borghese medio milanese crede di poter recuperare quel valore che gli manca arricchendo a dismisura, e sente  come un bene darsi importanza esibendo lussi e perciò trova belli tutti gli oggetti costosi, perché sono mezzi per appagare quel desiderio, perché li crede beni visibili. Noi sappiamo che l’anima, che è rappresentazione retta dell’essere e dunque verità, è il bene e che, poiché chiamiamo valore il bene, è l’anima ad avere valore, cioè noi, e non abbiamo bisogno di andare a cercare all’esterno di noi stessi dei mezzi, i falsi beni o idoli, che servano a colmare la lacuna di valore che affligge l’anima identificata col corpo terreno; detto in altre parole, non abbiamo attaccamenti o desideri irrazionali, ma solo desideri razionali e cioè amore, e il nostro stato si chiama anche “salute”.

 

Nota 9: sicuramente, se ricorda quanto ho detto nella nota 10 al libro X de La Natura, su come il piacere sessuale sia la copia scadente del vero amore; e anche negli altri passi, che nel corso dei miei passati scritti hanno affossato il valore del rapporto di coppia e del matrimonio, e della fedeltà coniugale. Il nostro amore è universale e spetta a tutte le anime, e non si esaurisce nel legame animalesco con una persona sola, finalizzato alla riproduzione della specie ma sovente distorto verso l’esaltazione di sé, nella sua forma bestiale, ad appagare un egoismo e un narcisismo sfrenati con la pretesa di essere l’unico oggetto dell’attenzione del partner.


LIBRO II.

 

 

 

 

 

I PRIMI TENTATIVI, CON QUALCHE RISULTATO.


LIBRO II.

 

INDICE DEGLI ARGOMENTI.

 

Avviso al Lettore o alla Lettrice, di non inoltrarsi se troppo impressionabile e anche se troppo incline al disprezzo perché avvezzo a un modello sbagliato di ragione(2.1).

 

Dopo la morte di Giacinto, prime visioni e primi enigmi. Era impellente occuparsene di nuovo, dopo un po’ di tempo che le avevo tralasciate(2.2-2.5). Richiamo a una correzione concettuale e terminologica già operata nello scritto principale su “uscire dal corpo” o “essere fuori dal mondo terreno”(2.5-2.7).

 

Due tipi di fenomeni verificatisi dopo la morte di Giacinto e prima del 24 maggio successivo: visioni e altre sensazioni(2.8-2.15). Racconto di un fenomeno poco comprensibile, la cosiddetta “luce astrale”, a cui però certi esoteristi tendono a dare un forte valore(2.10) e digressione sul significato simbolico del punto luminoso, raccontando un episodio, su questo, accaduto circa una settimana prima della morte di Giacinto(2.11-2.12).

 

Una delle visioni mi avvisa che Giacinto aveva intenzione di reincarnarsi, e mia reazione negativa alla notizia. Si sospende la discussione sull’ipotesi della realtà della reincarnazione, in attesa di una più ampia trattazione, che sarà contenuta nel libro III(2.14).


2.1.Prima di iniziare il racconto di queste esperienze brevi ma significative e importanti, anche se difficili da capire, mi sento in dovere di tornare ad avvisare il Lettore (o la Lettrice), come ho già fatto sopra, nel Prologo, di non inoltrarsi in questi argomenti senza prima aver compiuto in misura sufficiente la purificazione dell’anima(1) dagli errori concettuali derivati dall’identificazione col corpo terreno, soprattutto se si tratta di persona impressionabile, e cioè che venga colta da quel tipico senso di perturbamento, che è un monito del sistema nervoso, ogni qual volta si trovi a contatto con la realtà nascosta, quella che è visibile all’anima in stato disaggregato ma non agli esseri umani legati a un corpo di terra. Devo avvisare altresì che il pericolo maggiore non è tanto quello di rimanere spaventati dal mio racconto, come se si trattasse di una storia macabra, di morti viventi o di fantasmi, quanto quello di cadere nella tentazione di disprezzarmi per ciò che dico, di trattarmi da irrazionale, da esaltato, da occultista di bassa lega, da acchiappafantasmi. Non posso qui dilungarmi oltre su quanto già dimostrammo nei precedenti studi, ossia che ciò, che il materialista chiama razionale, non è razionale affatto, perché si usa oggi chiamare ragione abusivamente la tendenza irrazionale a negare il soprasensibile, dove invece si trovano le vere ragioni delle cose, dando per scontato erroneamente che l’unica esperienza reale sia quella dei sensi umani perché “oggettiva”, senza notare la contraddizione nel concetto di “sensazione oggettiva”, e si accredita come scientifica una visione del mondo fondata su una serie di vistose trasgressioni al principio di ragion sufficiente, la quale di scientifico dunque non ha nulla ed è completamente irrazionale. Tutto ciò che serve al Lettore (o alla Lettrice) per non cadere in questa tentazione è già stato fornito in precedenza sul presente sito, e dunque è negligente chi non ne usufruisce; qui mi permetto solo di avvisare che, nel caso una persona ancora intrisa dei pregiudizi della cultura comune, materialista o cattolica che sia, sviluppi disprezzo o irrisione verso di me, negando le mie facoltà di logico e calpestando la mia competenza filosofica e i miei sentimenti, o magari colpevolizzando il mio atteggiamento libero e disinvolto nei confronti della divinità, deve aspettarsi poi che io gliene chieda conto, a tempo debito. Il principio dell’esca è stato enunciato nei nostri scritti già chiaramente e dunque il Lettore è avvisato; e sappia che la collera di un eletto, nel vero mondo, dove le realtà spirituali hanno corpo visibile, è zanne e artigli, e ruggito, e sentirà bene come essi dilaniano. “Uomo avvisato” si dice “mezzo salvato”; ma se il Lettore per l’altra metà non si salva da sé, io non so che farci.

2.2.Quando iniziai a cercare Giacinto, o meglio la sua anima, era il giorno 9 di febbraio; il giorno 8 era andato per la sua sepoltura, del suo corpo aggregato voglio dire: l’ho portato nel giardino della nostra casa al lago, con l’aiuto di un grazioso giovane, il quale seppe rasserenarmi, durante il viaggio, parlandomi e trattandomi gentilmente, inviatomi da un’agenzia per animali da me contattata all’uopo. Infatti io non so guidare, e ho avuto bisogno di qualcuno che mi portasse in auto, me e il mio bauletto di vimini, dove avevo adagiato il bel corpo grigio-argentato della mia bestiola, fino a quel paesino in provincia di Lecco, sul lago, a mezza costa, dove dal 1991 in poi io e Giacinto avevamo passato insieme le estati, io preparando gli esami per l’università, lui svagandosi in giro. L’ho sepolto accanto al luogo in cui, acciambellato nel suo cestino, amava riposare all’ombra e in mezzo al verde dorato dei pomeriggi estivi. In quel periodo la mia attenzione non era rivolta precipuamente ai messaggi dei mondi, perché ero piuttosto impegnato a preparare gli esami di storia, e questo dal 1993, quando ho dato Storia greca, e fino a poco prima della morte di Giacinto, quando ho dato Storia contemporanea; ai sogni comuni e alle visioni, che registravo tutti ordinatamente per iscritto, dedicavo il fine settimana, in genere, o qualche ora rubata allo studio accademico durante la giornata, ma ero in difficoltà, come ho già detto nel testo principale, perché mi sembrava difficile distinguere tra i messaggi onirici dei sogni comuni e le visioni vere e proprie e cioè le visite ai mondi e gli incontri con anime in stato disaggregato. Anzi, in quel periodo ero così confuso che mi ero messo in mente di aver sbagliato tutto, riguardo alle visioni: avevo cominciato a sospettare che anch’esse fossero sogni comuni, contenenti messaggi onirici, e che la sensazione di essere libero dal corpo aggregato, l’immagine dell’uscita dal corpo e dallo spazio terreno, fosse anch’essa un simbolo onirico, e che facesse parte dunque di un messaggio congegnato per parlare della mia vita futura, come gli altri sogni comuni, e non il segnale che annunziasse l’incontro nel presente con un altro spazio, con un mondo reale extra-terreno, il quale mi volesse mostrare brevemente come al suo interno si svolge la sua vita. A tal punto i sogni, con il loro linguaggio criptico e oscuro, mi avevano frastornato e confuso. Ma il problema della visioni, e del come distinguerle dai sogni comuni, che avevo prima accantonato, ora ritornava in auge e si faceva più pressante che mai. Volevo rivedere Giacinto, e per fare ciò dovevo distinguere un eventuale incontro con lui da un sogno comune che mi mostrasse un’immagine della forma macroscopica associata al “suo” aggregato di atomi, ora in via di disgregazione sotto terra, usandola come simbolo di qualcos’altro.

2.3.Alle 5 del mattino, o pochi minuti prima, nella notte fra il 7 e l’8 febbraio, era già accaduto qualcosa. Ero sveglio, non riuscivo a dormire, e stavo mandando pensieri assai intensi verso i mondi, nei quali esprimevo i miei rimproveri verso di loro; li accusai di aver commesso un’ingiustizia verso di me togliendomi il mio gatto, e pensavo anche che fosse un mio diritto poterlo rivedere. Quella cortina fittizia, lo spazio terreno, che ci nasconde ciò che ci è caro, che ci tiene separati da chi non è più legato a un aggregato d’atomi, è un inganno colpevole, una menzogna, e dunque un atto ingiusto. “Voglio almeno notizie di Giacinto” dissi loro, “sapere dov’è, come sta”. Ero sempre sveglio, quando si presentarono alla mia coscienza alcune immagini: vidi Giacinto sdraiato sulla schiena, a pancia su, sembrava sofferente; poi vidi ancora Giacinto: scuoteva la testa infastidito da qualcosa, trovava qualcosa di strano nei suoi occhi, si sentiva a disagio perché i suoi occhi funzionavano in modo strano. Quando ho visto queste due immagini, mentre il mio corpo aggregato era sdraiato sul letto in camera mia, io ero nel corridoio e Giacinto era sulla soglia della cucina, proprio sul confine tra le due stanze. Poi una nuova immagine: vidi me stesso allungare una mano e toccarlo con un dito, per fargli sapere che io lo pensavo, mentre lui stavolta era seduto tranquillo; persino gli feci il solletico sotto la gola, provocandogli piacere. Visioni chiarissime, ma troppo brevi: mi mostravano che ora Giacinto guardava in un’altra direzione, verso un altro spazio (la posizione a pancia su), ma ne aveva sofferto un po’ e si trovava a disagio per il nuovo tipo di sensazioni che da quest’altro spazio riceveva, poi che mi aveva sentito e che questo gli aveva fatto piacere.

2.4.Troppo poco; inoltre, insieme a queste visioni chiarissime mi si comunicarono anche altre immagini meno comprensibili: occhi, volti e mani estranee. “Sempre immagini istantanee e slegate”, annotai nella registrazione stenografica che feci di tutto ciò la mattina dopo, “non è stata una percezione continua nel tempo e consequenziale”. E c’erano state anche altre immagini, rapide ma precise e inequivocabili: “cercavo di vedere Giacinto” scrissi “ e invece è apparso Nolan”. Nolan era il mio cane dalmata di quando ero ragazzino, quando vivevamo fuori Milano, in una villetta a Segrate; era morto nel 1982 dopo essere vissuto con noi quasi 12 anni. C’è anche un momento, nella visione, in cui io udii me stesso chiamare un nome misto fra i due, ottenuto mescolando le sillabe dei due nomi, e questo provocò in me una lieve sensazione di allarme, di stupore. Registrai tutto stenograficamente la mattina dopo, nella mia raccolta di sogni e visioni, e alla fine dell’appunto aggiunsi: “ero perfettamente sveglio durante tutta questa meditazione”. Stranamente, questa volta il cambiamento tra uno spazio e l’altro non era avvenuto attraverso il sonno. Mi addormentai dopo, sfinito, e continuai a dormire senza ricevere sogni fino alle 9.

2.5.Troppo rapido, non mi bastava; io volevo la libertà di uscire dallo spazio terreno ed entrare in quello dove ora era riflessa la coscienza di Giacinto a mio piacimento, per poterlo rivedere quando volevo. Ero in collera coi mondi e deciso a riavere ciò che mi spettava. Ripresi dunque i miei tentativi di “uscire dal corpo”, quelli di quando ero giovane, che oramai da un po’ avevo accantonato, come già ho detto, anche perché confuso dai sogni e da quei sardonici spazi a cui piaceva prendermi in giro(2). Per cautela, e per precisione, devo qui ricordare al Lettore e alla Lettrice che le espressioni “uscire dal corpo” e “uscire dallo spazio terreno” sono imprecise e solecistiche, in quanto, come ho già spiegato nel testo principale(3) l’anima, ovvero la nostra coscienza, non è dentro a uno spazio, né chiusa in un corpo. Viceversa, è lo spazio a essere dentro l’anima, come un suo pensiero, perché lo spazio è un’immagine e le immagini sono i prodotti del pensiero, quando esso per esprimersi impiega segni visibili, cioè si serve dell’estensione; e i corpi, che sono immagini, non hanno la realtà dell’essere, ma hanno la realtà appunto dell’immagine, sono le immagini della coscienza e dei suoi contenuti, sicché non è l’anima a stare dentro a un corpo, ma viceversa il corpo è nel pensiero dell’anima, come prodotto della sua facoltà di immaginare segni visibili per i suoi contenuti invisibili. Quando dico “spazio”, spero che ormai il Lettore se ne ricorderà, sto dicendo “immagine dell’immaginazione di un angelo”, e quando dico “mondo”  intendo con questa parola uno spazio con tutti i suoi contenuti, ossia sto dicendo “un angelo” e cioè un essere intelligente, unito all’immagine visibile, e dunque corporea, che egli sta dando di sé alla mia coscienza. Non esistono spazi extra-mentali -lo ripeto a costo di essere noioso, ma repetita juvant- sarebbe una trasgressione al principio di ragion sufficiente: un’immagine per essere deve essere prodotta da un’immaginazione, perché non può esistere ciò che non è causato da nulla; e perciò anche lo spazio terreno è l’immaginazione di un angelo, o meglio la sua immagine, perché ogni spazio è l’immagine che l’immaginazione di un angelo produce di sé stessa. Uno degli angeli che si occupa di immaginare gli oggetti terreni (o, come dicemmo sopra, nella nota 1 al prologo, uno dei demoni), quei falsi corpi che sono complicate simulazioni, è il “mio” sistema nervoso, il quale, come tutti gli altri demoni che reggono il sistema nervoso di un corpo umano, ha il compito di comunicare alla mia coscienza uno spazio, l’immagine della sua immaginazione, con i suoi contenuti; tali contenuti sono, come si ricorderà, le immagini delle forme macroscopiche associate e sovrapposte, secondo una serie di complicate convenzioni, agli aggregati di atomi prodotti dalle intelligenze portatrici di forma che si occupano appunto di questo, nello spazio terreno, plasmare spiriti atomici imprimendo nella loro coscienza dei numeri, cioè pensieri che sarebbero loro estranei normalmente, e poi aggregarli in composti, che non sono veri corpi ma che noi vediamo come corpi per via dell’imbroglio del “nostro” sistema nervoso, quello appunto di sovrapporre un’immagine della forma macroscopica con esso associata a ogni aggregato d’atomi. Il che è come dire che i corpi terreni sono gli oggetti costruiti dalla sua immaginazione e in essa contenuti, la quale è poi lo spazio che viene a noi comunicato e che noi, insieme a tutti i suoi contenuti, percepiamo e crediamo realtà oggettiva e mondo esterno.

2.6.Sicché, quando io dico “uscire dallo spazio terreno”, non intendo esprimere un movimento “fisico”(4) dell’anima (che sarebbe un’assurdità), né un movimento esclusivamente corporeo, come se il corpo avesse la realtà dell’essere e non quella dell’immagine e potesse dunque agire da solo, senza che i movimenti dell’immagine dipendano da cambiamenti nella vera realtà, che è il pensiero; se un’immagine si sposta, questo spostamento è il riflesso di un cambiamento avvenuto nell’invisibile, cioè nella coscienza, perché il corpo è solo un riflesso, e si muove solo se è in movimento quella realtà di cui esso è il riflesso, altrimenti no. Perciò, se nell’immagine io vedo me stesso uscire dal corpo e trovarmi fuori dallo spazio terreno, in questo simbolo è riflessa la seguente realtà: lo spazio terreno ha cessato di invadere la mia coscienza con le sue immagini e le sue sensazioni, e cioè il “mio” sistema nervoso ha lasciato ad altri angeli la possibilità di comunicare con me, e io sto ricevendo le immagini e le sensazioni provenienti da un altro spazio, ossia prodotte dall’immaginazione di un altro angelo, il quale costruisce immagini servendosi di un linguaggio diverso da quello della Terra e non impiega le sue leggi fintamente meccanicistiche, ma è uno spazio più onesto, per dir così. Quando io dico di essere “uscito dal corpo”, quindi, non sto dicendo che la mia anima, intesa come una specie di decalcomania del corpo terreno, e quasi come un corpo di materia “più sottile”, chiamato -chissà perché- “corpo astrale” (o magari contraddittoriamente di “materia invisibile”!) si è spostata da dentro al corpo “più grosso” e se ne sta svolazzando in giro in uno spazio “oggettivo”; questo è un modo di esprimersi da ignoranti e da stolti. Se userò, per brevità, un’espressione di quel tipo sarà per dire che in quel momento alla mia anima, che non è in nessun luogo, ma può essere ovunque, potendo ricevere in sé stessa le immagini di qualunque mondo voglia mostrarsi ad essa, non si sta più comunicando l’immaginazione del “mio” sistema nervoso, con tutti i suoi trucchi e le sue macchinazioni, ma quella di un altro spazio; e il fatto di essere “fuori dal corpo” significa solo che le percezioni che in quel momento sto ricevendo sono comunicate da tale spazio direttamente alla mia coscienza, senza che esse dipendano dalla presenza in quello spazio dei “miei” organi fisici, quelli cioè fatti di materia atomica, aggregata in cellule e tessuti, dalle modificazioni dei quali il “mio” sistema nervoso di consueto fa artificialmente dipendere le sensazioni da lui comunicate alla mia coscienza, secondo quella serie di convenzioni complicatissime che i razionalisti chiamano “leggi naturali” e considerano meccanicismi. Inoltre, gli spazi “onesti”, quelli extra-terreni, quando comunicano con me, non riflettono il “mio” aggregato atomico, né la forma macroscopica ad esso associata, ma me: segnalano cioè la mia presenza, il fatto che io stia in quel momento guardando il loro spazio, con un’immagine simbolica della mia coscienza collocata nel punto dello spazio da cui sono calcolate, mediante le leggi della prospettiva, le immagini degli oggetti che mi sono in quel momento comunicate. Il che è un modo un po’ più complicato, ma più preciso, per dire che mentre io sono in un altro spazio, il mio corpo aggregato è rimasto nello spazio terreno, e che perciò io e lui ci siamo separati.

2.7.Prego dunque il Lettore o la Lettrice di ricordare che quando, per brevità, userò espressioni come “uscire dal corpo” o “essere fuori dallo spazio terreno”, è questo che intendo: la mia coscienza, che non è dentro alcun luogo né in alcun corpo, sta ricevendo comunicazioni da uno spazio, ossia da un angelo, da un essere intelligente, diverso dalla Terra; sicché, libera dai condizionamenti che di consueto riceve dal corpo aggregato e dal suo sistema nervoso, ora ella è presente a quello spazio nuovo, e cioè comunica con lui senza che vi sia di mezzo l’aggregato atomico, senza bisogno che si alterino o vengano stimolati i suoi organi di senso, né che sia attivo il cervello; l’ingombrante intermediario, il corpo fisico, non è presente nel nuovo spazio, i suoi atomi sono riflessi nel mondo terreno soltanto e non nell’immaginazione di questo mio nuovo interlocutore, mentre la mia presenza nel suo spazio, cioè la mia effettiva comunicazione con lui, è segnalata da un’immagine della mia coscienza, ossia da uno di quegli infiniti corpi che la mia coscienza può avere, ognuno un riflesso diverso, in un diverso spazio, del mio stesso essere(5). E registri bene nella sua memoria il Lettore o la Lettrice (voglio insistere su questo, perché è molto importante per liberarsi dalle abitudini mentali errate e deleterie impresse nell’anima dal mondo terreno) che quando dico “spazio” e “mondo” non ci stiamo riferendo a qualcosa di esterno, oggettivo, extramentale, inerte, ma a immagini dell’immaginazione e dei suoi contenuti di esseri viventi e intelligenti; quando io dico “spazio” o “mondo”, insomma, il Lettore deve capire “angelo”.

2.8.Dopo aver così rettificato il linguaggio e pulita la propria facoltà riflessiva dai pregiudizi e dagli errori comuni, e magari dopo aver iniziato a vivere qualche esperienza simile (poiché i mondi, se li chiami, rispondono; e avviso che è inutile mettere in atto mezzi meccanicistici per avere visioni, come far uso di sostanze, pratiche o riti: l’unica causa efficace nel mondo del pensiero è il pensiero, inviate là il Vostro pensiero e avrete risposta, ma state attenti che sia pensiero retto) ora il Lettore, o la Lettrice,  può ascoltarmi senza pericolo e io posso continuare il racconto. Per un paio di giorni non ottenni nulla, e per qualche settimana, fino al 24 maggio, ottenni qualcosa, ma troppo poco. Registrai con precisione tutti i fenomeni di questo periodo sulla mi agenda: possiamo dividerli in due categorie, e cioè visioni e sensazioni di altro tipo. Iniziamo dalle visioni. Rividi Giacinto l’11, il 13 e il 16 febbraio: tre brevissimi lampi, ma molto chiari. La prima volta, l’11 febbraio, accadde che ero sdraiato in camera mia e avevo chiuso la porta, ma a un tratto mi sono trovato, evidentemente, in un altro spazio perché, mentre tutto il resto della stanza era uguale a come era prima, la porta ora appariva aperta: attraverso la porta aperta stava entrando Giacinto. La seconda volta, il 13 dello stesso mese, avvenne in modo simile: cambiai spazio e lì vidi Giacinto che stava saltando su un elettrodomestico, una macchina lavastoviglie; era un simbolo, evidentemente, e forse rappresentava me, perché un filosofo impegnato a purificare i concetti è uno che “lava i piatti”: la sapienza è il vero alimento dello spirito, e il concetto, che contiene il sapere, è come il recipiente entro cui si serve del cibo, sicché “lavare i piatti” significa pulire i concetti. Giacinto voleva mostrarmi che stava ancora con me. Ma la visione si è poi modificata, l’aspetto di Giacinto è divenuto quello di un micetto più piccolo e dal colore più scuro. Anche questo messaggio era chiaro: “sono nato da poco” mi stava dicendo. Infatti liberarsi del corpo aggregato è come una nascita, in quanto morto il corpo di terra si inizia una nuova vita in un altro spazio. E il colore scuro significava, appunto: “per te questa faccenda rimarrà un po’ oscura”.  I gatti hanno poca fiducia nella capacità riflessiva degli esseri umani. C’erano due novità interessanti i questa visione: la prima è che essa si era annunciata chiaramente con un forte sobbalzo nel plesso solare, e, come anche era accaduto nella notte fra il 7 e l’8 febbraio (cfr. supra, §§2.3-2.4), non ero dovuto passare attraverso il sonno per cambiare spazio; la seconda è che vidi chiaramente un’altra anima disaggregata insieme a quella di Giacinto, era la zia di mio padre, la mia prozia di nome Adele, morta nel 1994, la quale mi stava guardando con espressione intenerita e sorridente. Ne rimasi un po’ stupito.

2.9.Nella terza di queste visioni, quella del 16 febbraio, di nuovo Giacinto comparve, in una rapidissima immagine, che conteneva una spiegazione importante: vidi me stesso compiere un gesto protettivo verso Miranda, la nostra nuova gattina, mentre Giacinto tentava di montarla. Miranda era entrata a far parte della nostra famiglia nell’ottobre del 1999, quando mia madre se l’era presa per consolarsi della vedovanza. “Dovresti essere d’accordo coi mondi” mi stava dicendo Giacinto “che hanno deciso di portarmi via, altrimenti avrei contagiato Miranda con la FIV”. Questa è infatti, come l’AIDS umano, una malattia a trasmissione sessuale, ed è vero: Giacinto, se sopravvissuto, l’avrebbe certo contagiata e sarebbe stato uno strazio, povera bestiola. Questa era una buona ragione per far morire Giacinto. Ma era una ragione debole, ai miei occhi; ribattei che avrebbero potuto impedire a suo tempo che il mio gatto si infettasse, per un riguardo nei miei confronti e, quando poi io avevo scoperto che era ammalato, avrebbero potuto, sempre per un riguardo nei miei confronti, sospendere i loro sciocchi e importuni meccanicismi e negativizzarlo; non avevo chiesto che sopravvivesse malato, ma che me lo restituissero sano, e ora ero in collera con loro perché non mi avevano ascoltato e non avevo alcuna intenzione di recedere e riappacificarmi con loro. Il dissidio continuò a lungo, e anzi, dura tutt’ora, per quanto mi riguarda, come dirò più oltre.

2.10.Stavo giocando con Miranda, la sera del 12 marzo successivo, ed eravamo nel corridoio; nell’esatto momento in cui mi venni a trovare all’altezza di uno degli sgabelli dove Giacinto soleva acciambellarsi e dormire, fui investito da un fortissimo sentimento di nostalgia, un rimpianto quasi insopportabile. Mi spostai in camera mia, al riparo dallo sguardo indiscreto e distruttivo di mia madre, e, sedutomi per terra, lasciai che le lacrime mi scorressero sul viso. Ma ecco che la micetta, fino a un momento prima scatenata nel gioco, vedendomi piangere mi salta in braccio, mi guarda coi suoi grandi occhi innocenti e teneri, cerca di consolarmi con un po’ di fusa. “Tu sai dov’è Giacinto?” le chiedo; e rimango io stesso esterrefatto, perché per due volte, alla stessa domanda, la piccola mi risponde con lo stesso segno: indica col nasino lo sgabello nei pressi del quale ero stato assalito da quella fortissima nostalgia di Giacinto. Miranda sapeva tutto quello che era successo: quella mattina del 7 febbraio, mentre Giacinto stava morendo, ella guardava tutto coi suoi grandi occhi sgranati, e a ogni mia mossa, mi è sempre venuta dietro come un cagnolino senza lasciarmi mai un momento. Ella guardava mentre, appoggiato a uno degli sgabelli del corridoio, a fianco della porta della cucina, sorreggevo la testa di Giacinto e tentavo di introdurgli fra le labbra già rigide un cucchiaino d’acqua e zucchero; mi seguì di nuovo in camera, quando presi in braccio il suo bel corpo argentato ormai senza vita, e si acciambellò vicino ad esso quando lo adagiai delicatamente sul divano letto; lì rimase a vegliarlo per tutto il tempo in cui io fui nel bagno a farmi la doccia e a vestirmi, la ritrovai lì coi suoi occhi spalancati e pieni di stupore e innocenza. Con gli stessi occhi mi stava guardando ora, mentre mi suggeriva con gesti chiarissimi di cercare Giacinto sopra al suo sgabello; lo feci, guardai nella penombra del corridoio attentamente, e in effetti lì vidi qualcosa, come un movimento, o una vaga luminescenza, al centro della quale c’era un puntino molto luminoso, una piccola stella. Non è inconsueto che io veda una specie di luminescenza davanti agli occhi, anzi è un fenomeno che mi accompagna sempre, più o meno, è come una sorta di immagine azzurrina che a volte si muove e cambia forma avviluppandosi come una o più spirali, a volte sembra l’interno del mio occhio, è a forma di iride ma azzurrino o indaco, e luminescente, a volte si scompone in mille puntini luminosi, e altre volte, se medito, produce piccole immagini, piccoli oggetti molto nitidi... Non ho ancora capito che cosa o chi sia, e che voglia da me; so che gli antroposofi la chiamano “luce astrale”, mentre nella tradizione dello yoga indiano si descrive qualcosa di simile, chiamato “occhio di Shiva”, ma queste sono denominazioni inutili, anche se comode, perché non spiegano niente e sono prive di senso(6). Quella sera, il 12 marzo 2000, conclusi così la registrazione di quel fenomeno nella mia agenda:

 

Ho visto dell’energia, entro la quale appariva un puntino molto luminoso. E’ collegata a quella strana forma luminosa e azzurrina che vedo sempre, ma questa volta sembra prendere più chiarezza, come se la mia vista si fosse snebbiata.

 

 2.11.Anche quella piccola stella non mi era nuova, l’avevo già vista circa una settimana prima che Giacinto morisse, precisamente nel pomeriggio del 29 gennaio. Sulla mia agenda, quel giorno, ho registrato così quell’esperienza:

 

Succede una cosa assai strana: Giacinto sta sul letto della mamma, lo raggiungo, vedo che assume un’espressione luminosa, inconsueta, con gli occhi spalancati, brillanti. In quella ha come un mancamento e io vedo una lucetta azzurra che esce da lui e si allontana. Nel momento in cui è uscita la lucetta io gli stavo parlando, gli dicevo: “ho preso per il bavero Satana (=i demoni che governano la Terra) e l’ho minacciato per te, ma non mi danno retta...” Proprio in quel momento vedo questa strana scintilla che esce...

 

Giacinto stava morendo in quel momento, o meglio se ne stava andando altrove, mentre a morire era solo il “suo” aggregato di atomi: lui non è un gatto realmente, lo è stato solo per breve tempo, provvisoriamente, per i nove anni e sei o sette mesi della sua vita terrena, ma nella vera realtà è un atto di coscienza dell’essere, e cioè un punto di luce. Il punto è laddove invisibile e visibile si toccano, perché è immagine visibile di ciò che non ha dimensioni, non è esteso, e dunque è invisibile. Ma il punto è anche l’origine dello spazio, cioè simboleggia l’origine della visibilità, perché nello spazio, che è l’immagine della facoltà che ha la coscienza di creare immagini, ossia della sua immaginazione, si rendono visibili i corpi, che sono appunto le immagini del pensiero e dei suoi contenuti, e inizia la visibilità; e poiché l’origine dello spazio è lo spirito, in quanto lo spazio prende origine nella coscienza come suo pensiero, il punto, che è visibilmente l’origine dello spazio, è immagine dello spirito. Poeticamente io l’ho chiamato, questo vivo e luminoso punto che è cuore e anima, anche “seme di mondi”, per esempio in una poesia che ho scritto per Giacinto dopo uno di quegli incontri con lui nel post mortem di cui parleremo oltre, e che termina con i seguenti versi:

 

(...)Ma sei venuto! oh! hai fatto bene...

vieni a dirmi che ancora

di me ti importa un poco,

che non fu un gioco

la nostra vita insieme,

che ancora abiteremo ore serene

e che davvero seme

di nuove stanze e mondi eterni e cori

d’impassibili fiori

è il cuore,

e nulla muore.

 

Insomma, anche un’anima piccola e bambina come quella di Giacinto è il seme di un mondo, perché sicuramente a un certo punto della sua evoluzione arriverà a procurarsi le facoltà logiche e razionali, si procurerà la “forza del sogno”, l’immaginazione(7), la facoltà cioè di produrre corpi, e germoglierà come un mondo nuovo, nuova immagine dell’essere e nuova bellezza.

2.12.Già, ma io in quel momento non volevo perdere Giacinto, il mio Giacinto, il mio gatto, la sua compagnia e la bellezza del suo corpo terreno, quella forma macroscopica di piccola, sinuosa tigre argentata, i suoi occhi grigi cangianti, di cristallo e marmo grigio, le sue movenze eleganti... Di fronte alla bellezza, chi non si innamora? E chi può perdere ciò che ama? Non io: in quel momento, quel 29 gennaio, quando vidi la coscienza di Giacinto allontanarsi, lo chiamai indietro, molto angosciato; la piccola anima tornò indietro e il suo corpo terreno riprese vita, Giacinto mosse qualche passo, si leccò il pelo e poi emise “uno strano miagolio”, così scrissi allora sull’agenda, “come se volesse dire qualcosa, ma non angosciato, bensì sereno, ma stupito. Ecco: stupito. La sua espressione era stupita, non angosciata o sofferente”. Ma rimandò soltanto la sua partenza di una settimana, mentre io mi ero illuso di averlo convinto a restare.

2.13.Oltre alle visioni, dopo che Giacinto giacque morto e mentre io lo cercavo, come dicevo al §2.8, vi furono anche sensazioni di altro tipo; sono quelle tipiche esperienze di cui i razionalisti si prendono gioco, bollandole come “suggestione”, con una delle loro parole vuote e inconsistenti(8), e che invece suscitano una legittima curiosità, un lodevole dubbio, nelle menti più aperte; dopo tutto quanto detto sopra, nel testo principale e qui, spero che il Lettore, o la Lettrice, le prenda sul serio, anche se da sole, si capisce, non basterebbero a dimostrare nulla e non convincerebbero nessuno. Il 16 febbraio, di sera, poco prima delle 21.30, nella sala da pranzo sentii diffondersi un profumo delicato; esso riempì tutta la stanza a lungo. Chiesi a mia madre se si fosse messa qualche profumo o se ne avesse sparso, mi rispose di no. In effetti non sembrava proprio uno di quei profumi artificiali che usa lei, il profumo che sentii era inconfondibile: si trattava della classica acqua di colonia Glockengasse n° 4711, di cui io possedevo un flacone perché qualcuno me l’aveva regalato. La sera prima che Giacinto morisse ne avevo versato un po’ su una piccola spugna, e l’avevo usato per lavarlo: mi ero accorto infatti che il gatto puzzava, perché quel giorno, per la prima volta in vita sua, non aveva avuto la forza di ripulirsi il pelo leccandoselo. Egli, che di solito non sopportava di essere toccato, e tanto meno di essere bagnato con qualcosa, quella sera invece sembrò apprezzare la mia iniziativa, assunse un’espressione sollevata. Dunque Giacinto stava manifestando la sua presenza chiaramente, con quel profumo. Seppe comunicarmi la sua presenza, però, anche in un altro modo: udii ripetute volte il suo inconfondibile miagolio. Tra la sera del 24 febbraio e la mattina del 25 lo udii più volte; sulla mia agenda ho scritto: “proprio il miagolio che lui faceva per chiamarmi la sera quando, da sano, voleva mangiare”. Inoltre, la mattina del 25, esattamente nel momento del mio risveglio, mi erano apparsi i suoi occhi, i quali però manifestavano un’espressione un po’ stravolta, erano occhi sbarrati come per un indescrivibile stupore. Forse era stupito perché io ero capace di rivederlo, non se l’aspettava questa da un essere umano. Il pomeriggio del 25, mentre io meditavo con tristezza che forse quello era il suo ultimo saluto, invece il fenomeno si ripeté, chiaro e forte. Tornai a sentire il suo miagolio (non c’era pericolo di confonderlo con quello di Miranda, perché la micetta ha una voce completamente diversa, molto più acuta di quella di Giacinto, proprio una vocetta da femmina) molte altre volte: il 3 marzo mi sembrò di sentire un miagolio, ma rimasi incerto perché il suono proveniva da fuori casa e poteva non essere lui; invece era proprio la sua voce che udii il 16 marzo, mentre ero sul balcone pensando a lui; il 5 aprile, proveniente dal pianerottolo, mentre salivo in ascensore di ritorno dalla spesa l’udii chiaramente; il 29 aprile l’udii per tutto il giorno, ma stavolta il suono sembrava provenire da più lontano, e questo mi allarmò perché era segno che si stava allontanando per andare altrove; il 12 maggio sentii miagolare di nuovo, ma una volta sola e il suono proveniva da molto lontano. Il 22 maggio l’udii di nuovo, ma quella fu l’ultima volta: ero seduto al mio tavolo, in camera mia, e la porta della stanza era chiusa; improvvisamente sento la sua voce, lo stesso suono di quando, da vivo, mi chiamava, appunto, da dietro la porta chiusa per farsi aprire, un miagolio secco, perentorio, inconfondibile. Giacinto voleva tornare da me. Infatti, poco prima avevo meditato per vederlo, e c’ero riuscito: di nuovo provai la sensazione di sobbalzo nel plesso solare, e dietro alla cosiddetta “luce astrale” (vedi sopra, §2.10) comparve la silhouette di un gatto; poi un’immagine, quella di una ragazzina che si è calcato in testa un berretto di lana; infine Giacinto che rischia di cadere dalla cima del muro dove sta camminando.

2.14.Disastro! Mi resi conto con terrore che avevo combinato un disastro: Giacinto, uditi i miei richiami, stava pensando di reincarnarsi. “No!” gli dissi mentre ricevevo questa visione “non farlo! Aspettami là, aspetta che arrivi io da te!” Ma non mi dette retta, tanto è vero che poco dopo ribadì il medesimo messaggio miagolando perentoriamente, come ho appena raccontato, dietro alla mia porta, segnalando che voleva rientrare. I simboli della visione erano inequivocabili: la lana è un materiale di provenienza animale, e dunque un indumento fatto di lana simboleggia, appunto, il corpo animale, e cioè quello terreno: quella ragazzina che avevo visto nella visione era un’immagine della sua giovane anima, del suo proposito di tornare a “rivestirsi di lana”. E tanto per farsi capire meglio, Giacinto aveva poi ribadito lo stesso concetto mostrandosi in bilico tra i due mondi, soggetto al rischio di cadere di qua. Oh, povero me! Non era questo il risultato che volevo ottenere, io volevo trovare un corridoio libero tra i due mondi, diciamo così, che mi consentisse di spostarmi dall’uno all’altro liberamente, onde poter sapere sempre, in ogni momento, la sua anima dov’era e in che stato, e anche per poter ritrovare la sua bellezza, che mi auguravo rimanesse più a lungo possibile inalterata nel mondo del post mortem. Ma poiché mi rendo conto che mi sto addentrando in un argomento nuovo e complesso, quello della reincarnazione, concetto che sicuramente moltissime persone non sono disposte a dare per scontato, giustamente, né a bersi come acqua fresca, devo sospendere il discorso povvisoriamente e invitare il Lettore, o la Lettrice, a seguire una discussione su tale argomento, che però condurremo all’interno del prossimo libro. In quest’ultimo paragrafo del libro II vorrei terminare il racconto delle sensazioni che in quel periodo ricevetti da parte di Giacinto e che mi avvisavano della sua presenza.

2.15.Udii i suoi passi leggeri, il 6 marzo, il rumore lieve ma inconfondibile delle sue unghiette sul legno del parquet di camera mia; li udii anche il 17 marzo: mentre meditavo sentii il medesimo rumore, all’altezza dello scaffale centrale della libreria, e sentii anche un altro rumore suo tipico, quello di quando schiudeva la bocca per leccarsi il pelo, e immediatamente dopo ebbi una rapida visione della sua forma macroscopica. Un altro suo rumore tipico era il baccano che faceva quando, mosso dalla proverbiale curiosità felina, tentava di aprire con la zampetta il piccolo armadio color noce dove tengo quaderni, fogli, fotocopie etc.: c’è ancora il segno delle sue unghie alla base dell’anta. Questo lo udii chiaramente nella notte fra il 6 e il 7 marzo, in maniera prolungata; mi venne il dubbio che fosse Miranda a produrlo, ma mi avvidi che ciò era impossibile, perché Miranda era acciambellata sopra le mie gambe, in quel momento. Sentii di nuovo lo stesso rumore il 5 aprile, verso le 10.30 del mattino, mentre ero seduto al mio tavolo, a pochi centimetri dall’armadio in questione. Risentii anche il tipico rumore delle sue unghie, di quando se le tirava sul bracciolo del mio divano letto, il 13 maggio, mentre meditavo sdraiato appunto su quel divano, e non poteva essere Miranda, che era ben visibile di fronte a me sulla porta della stanza; e di quando se le tirava su un bauletto di vimini, che usava spesso per dormirci sopra, il 3 maggio, e di nuovo è impossibile che la fonte del rumore fosse Miranda, perché la micetta in quel momento era sulle mie ginocchia, e inoltre il bauletto in questione non era più presente nella mia stanza, dove mi trovavo nel momento in cui si verificò questo fenomeno, perché l’avevo spostato altrove, sicché è certo si trattasse di un suono non prodotto da un meccanicismo del mondo fisico, ma di una comunicazione mentale.


NOTE AL LIBRO II.

 

Nota 1: ribadiamo qui che l’unica vera purificazione è la confutazione degli errori concettuali, l’elenchos socratico. Nessuna purificazione può effettuarsi nell’anima con mezzi magico-rituali e meccanicistici, perché l’anima è coscienza e pensiero e vige in lei la causalità del pensiero, e cioè l’unica vera causalità. Raccomando al Lettore di ricordare che chiunque offre scorciatoie con mezzi irrazionali, e cioè spuri e inefficaci, è un ciarlatano, che fa solo perder tempo ed energie e smarrisce l’anima su false piste, magari con l’intento di dominarla e plagiarla, per sete di potere. Siate liberi, cioè pensate liberamente, ricordando che sbagliare, dubitare, cercare e imparare dai propri errori è l’unico modo per trovare la verità. E’ mediante l’applicazione delle leggi logiche del pensiero e del principio di ragion sufficiente, dopo lunghi tentativi e dopo aver esplorato ogni genere di sistema errato, che mi sono procurato la capacità di vedere la verità, i mondi, e di recuperare la mia forma eletta, non per doni o favori che qualcuno mi calasse dall’alto o grazie a pratiche irrazionali; mi piacerebbe assai condividere questi risultati con qualcuno, che sappia metterli a frutto nella sua personale e peculiare maniera, magari aiutandomi a completare il percorso.... Ma questo sogno, che coltivo da quindici anni, forse qui sulla Terra è irrealizzabile.

 

Nota 2: alludo a quanto ho raccontato nel testo principale sui miei tentativi di vedere anche il mondo fisico durante le estasi: cfr. L’Essere, l’Anima, i Mondi, §6.1 e segg.

 

Nota 3: si ricorderà, spero, la mia polemica con l’assurdo razionalismo di chi immagina il mondo spirituale come una specie di doppio di quello fisico, e che vi traspone anche il meccanicismo a cui la sua mente è avvezza per l’abitudine di ragionare in maniera empirica, e che, colmo dell’assurdità, pretende si veda il medesimo mondo fisico, quello dell’esperienza costruita dal nostro sistema nervoso, anche quando finalmente siamo liberi dai condizionamenti di tale demone, fuori dalla sua immaginazione, e cioè dallo spazio da lui prodotto, e potremmo vedere la vera realtà, riflessa in un altro spazio, un’altra mente cioè, che sia più onesto e che non menta; tale atteggiamento, che ho proposto di chiamare “psico-meccanicismo”, è stato da me messo in discussione nel testo principale, ai §§5.6-5.12.

 

Nota 4: chi abbia letto con attenzione i punti a. e b. del Prologo deve ormai aver capito che non esiste nessun movimento fisico, che riguardi cioè soltanto i corpi, come se essi fossero realtà esterne e indipendenti dal pensiero e dalla coscienza; chiamiamo movimento il semplice fatto che un corpo (ossia l’immagine di una coscienza) sia prodotto nei punti successivi di uno spazio in istanti successivi del tempo; ma l’immagine di una coscienza  è simbolizzata (e cioè un corpo è collocato), in uno spazio, esattamente nel punto di vista da cui sono calcolate, per mezzo delle leggi della prospettiva, le immagini delle altre realtà contenute in quello spazio, che ella riceve nella sua sensazione. Sicché per spostare un corpo, un’immagine cioè prodotta nella propria immaginazione, da un punto all’altro di sé, uno spazio non deve far altro che modificare le immagini comunicate a quella coscienza, il cui corpo è l’immagine da spostare, in modo che esse siano calcolate, nell’istante successivo, dal punto prospettico successivo a quello in cui la coscienza riceveva le medesime immagini nell’istante precedente, e cioè successivo al punto dove l’immagine di quella coscienza (il suo corpo) era rappresentato un istante prima. E’ così che il mondo terreno simula l’esistenza di un movimento fisico. Da notare che nel mondo terreno perché il nostro corpo sia spostato, occorre che gli atomi del nostro aggregato, a uno a uno e in maniera solidale tra di loro, siano spostati nell’immaginazione della Terra (che è quello che nel testo principale chiamammo, come si ricorderà, “primo spazio”), e cioè che vengano modificati collettivamente i loro punti di vista prospettici nel primo spazio, perché la forma macroscopica che il nostro sistema nervoso ad essi sovrappone sia spostata nell’immaginazione di tale demone, e cioè nello spazio che vediamo noi, nello stesso modo, cioè mutando la prospettiva da cui è calcolata ogni immagine degli oggetti contenuti nello spazio prodotto e a noi comunicato dal nostro sistema nervoso (che è quello che gli esseri umani chiamano erroneamente “realtà oggettiva”, mentre è appunto un sogno costruito dal demone che ci ha in custodia). Naturalmente, le intelligenze che governano gli atomi nello spazio terreno simulano delle leggi meccanicistiche che governino gli aggregati di atomi, sicché a tali leggi meccanicistiche sembra assoggettata anche la nostra forma macroscopica, il nostro corpo, come tutti gli altri oggetti terreni. Negli altri spazi “più onesti”, invece, un corpo, e cioè un’immagine, che è però un corpo semplice e non viene collegato artificiosamente a un aggregato atomico, ma può muoversi indipendentemente, senza alcun intralcio e senza essere soggetto a questa simulazione di meccanicismo, non ha alcun bisogno, ad esempio, per spostarsi da un punto all’altro dello spazio, di attraversare tutti i punti intermedi, ma può semplicemente sparire dal punto A e ricomparire nel punto B, se lo spazio (cioè l’angelo che immagina gli oggetti in quel mondo) ha cambiato la prospettiva da cui calcola le immagini che comunica alla coscienza di cui quel corpo è immagine.

 

Nota 5: sulla possibilità che un medesimo essere ottenga infinite immagini, ognuna in uno spazio diverso, e cioè abbia molti corpi, abbiamo già parlato nel testo principale, al §6.4; vedasi anche al §8.4, dove parlo della forma macroscopica del grattacielo Pirelli (palazzo della Regione milanese) vista però altrove, e il cenno sulla “bilocazione” contenuto alla fine del §7.10.

 

Nota 6: ho il sospetto si tratti di un semplice diversivo, qualcosa per attrarre chi non cerca altro che di esaltarsi con qualche fatto soprannaturale e che sia dunque incline a rivolgere tutto il suo impegno verso fenomeni strani e incomprensibili, omettendo di impiegare le proprie energie, invece, per ragionare correttamente e uscire dagli errori concettuali e rettificarsi dai vizi. Chiaro che se uno si crede un iniziato solo perché vede qualche vaga luminescenza, perché crede di essere “predisposto alla visione astrale” e di poter arrivare alla perfezione dedicandosi solo a sviluppare quella con tecniche irrazionali, e si sente già soddisfatto in queste pratiche e non cerca altro, è un imbecille e un superbo (ne ho visti tanti), e Satana se lo ficca giustamente nel suo sacco.

 

Nota 7: abbiamo chiamato l’immaginazione anche “forza del sogno”, e abbiamo detto che è ciò che crea la realtà visibile, nel testo principale, L’Essere, l’Anima, i Mondi, §1.15, dopo la discussione su sogno e realtà e la correzione concettuale e terminologica che ci ha consentito di arrivare fin qui.

 

Nota 8: per l’affossamento del concetto di “suggestione” vedasi la nota 4 al libro VII di La Natura, circa a metà. E’ importante che l’anima recuperi la sua sicurezza in sé stessa, nella realtà di tutti i suoi contenuti, e non si immagini di stare vedendo o sentendo “ciò che non è reale”, e perciò di essere pazza o ammalata, quando tali contenuti non le sono immediatamente comprensibili.


LIBRO III.

 

 

 

 

 

SE GIACINTO TORNA, LO PERDERO’ PER SEMPRE.


LIBRO III.

 

INDICE DEGLI ARGOMENTI.

 

Due visioni e un sogno che mi parlano della molteplicità di forme e personalità che uno spirito sperimenta nel mondo terreno; Giacinto, oltre a essere stato Nolan, e cioè il nostro cane dalmata negli anni ottanta, deve essere stato molti altri gatti, e altri animali(3.1-3.2). Ma una nuova nascita in un diverso corpo aggregato significava che l’avrei perso definitivamente(3.3).

 

Digressione sulla dottrina della reincarnazione(3.4-3.8): ragioni per cui nella nostra cultura una simile ipotesi è stata scartata ed è caduta in discredito(3.4); la tecnica satanica della “contro-informazione” e un mito che la rappresenta simbolicamente(3.5); due esempi di questo tipo di operazione satanica: ontologia e principio politico di base, quello della solidarietà, scartati insieme alla teologia irrazionale e al comunismo, loro copie sataniche contraffatte(3.4).

 

Dimostrazione logica della possibilità della reincarnazione: eternità dell’anima(3.6); se l’anima è eterna, prima e dopo la sua presenza nello spazio terreno deve essere altrove; i termini “nascita” e “morte” ridefiniti(3.6); se è possibile che sia aggregata una volta a un corpo fisico è possibile che questo si ripeta più volte(3.7). Il sistema nervoso sa eclissarle, insieme alla visione dei mondi veri, anche le sue memorie passate(3.7).

 

L’anima, verosimilmente, cerca un nuovo stato di aggregazione, spinta dai desideri irrazionali e non cessa di fare la spola tra i due stati finché non ne è libera: per sperimentare gli effetti dei desideri che le sono nati nel corso di una vita terrena, ci vuole un lungo arco di tempo, non basta un solo soggiorno sulla Terra; se l’anima deve essere libera, deve poter soddisfare quei desideri irrazionali che in una vita sono stati lasciati in sospeso e non hanno trovato soddisfazione, dunque sarà spinta da essi a tornare nel mondo terreno(3.7-3.8). Solo quando l’anima, avendo sradicato gli errori concettuali da sé, avrà in sé solo tendenze verso desideri razionali, allora sceglierà volontariamente di risiedere nei veri mondi(3.8). Esigenza morale della reincarnazione: per rettificare la volontà l’anima ha bisogno di molte esperienze e sarebbe assurdo e profondamente ingiusto condannarla dopo il suo primo fallimento(3.8).

 

Ragguaglio metodologico(3.9).


3.1.Nella visione del 17 marzo, quella che ho appena riferita nel §2.15, c’era un elemento importante, che m’inquietò assai. Sulla mia agenda allora scrissi: “...dopo un po’ di visioni che non c’entrano, vedo proprio lui per un istante, molto chiaro, ma c’è qualcosa di più, come se oltre alla sua forma di gatto ci fosse un’altra natura, quello di un animale di un’altra specie”. Circa un mese prima, il 20 febbraio, era accaduto qualcosa di simile; ecco ciò che ho annotato quel giorno sulla mia agenda:

 

Meditazione su Giacinto. Sembrava inconcludente, a parte l’apparizione di alcune immagini, tra cui quelle di [personaggio pubblico morto da poco], ma alla fine lo vedo per un istante chiaramente, nello studio della mamma (mentre io, col corpo aggregato, sono in camera mia) salire sulla poltrona di cuoio dove stava sempre; solo che un istante dopo l’immagine cambia e vedo un gatto diverso, più tipo certosino di razza col pelo lungo, anzi forse non uno solo ma più di uno.

 

Non so quale fosse la funzione di queste interferenze, le apparizioni di persone estranee nella mia meditazione, ma non vi badai(1): ero in cerca di Giacinto. Ma quello che veniva a trovarmi, lo spirito di Giacinto, non è Giacinto: non solo, almeno, ma era Giacinto e molti altri gatti, e anche altri animali, tra cui, evidentemente, Nolan, il nostro cane dalmata di quando ero ragazzo. Il Lettore, o la Lettrice, ricorderà (cfr. supra, §2.4) che nella prima visione da me avuta dopo la sua morte, o meglio dopo la sua separazione dal corpo aggregato, avevo udito me stesso chiamare lo spirito di Giacinto con un nome misto tra il suo e quello di Nolan: la visione mi comunicava che i due animali erano uno spirito solo. Ecco perché lo spirito di Giacinto, nella visione che già ho riportato nel testo principale come esempio di categoria mista tra sogni comuni e incontri(2) mi stava aspettando nella villetta di Segrate, che non poteva aver conosciuta durante l’ultima sua vita di gatto, visto che l’avevamo lasciata sette anni prima che lui nascesse: se la ricordava, evidentemente, perché era vissuto lì con noi sotto forma di Nolan. Ho avuto dai sogni molte conferme di questo, sia cercando nei sogni del passato che prestando attenzione a quelli successivi, ma non posso qui elencarli tutti perché ciò ci porterebbe fuori strada, lo faremo a tempo debito in un altro scritto.

3.2.Ne cito solo uno, molto chiaro, che ho ricevuto nel medesimo periodo in cui stavano verificandosi i fatti di cui sto narrando. Il 24 maggio 2000 ricevetti il seguente sogno, da me registrato in stenografia la mattina stessa:

 

Io e mia madre stiamo guardando la TV, lei è seduta su una poltrona della nostra sala da pranzo, io sono seduto alla sua destra. A un tratto rivedo Giacinto: lo vedo benissimo, è proprio lui, sta sul tavolino del televisore a fianco dell’apparecchio; poi scende sul pavimento. Io attiro l’attenzione di mia madre, glielo indico, anche se con qualche scrupolo perché penso che si impressionerà a vedere lo spirito di un gatto morto; poi vedo che Giacinto ora ha preso le sembianze di Nolan. Mi fa piacere rivedere Nolan, ma preferivo Giacinto, che è più bello...

 

Il sogno (era un messaggio onirico, e non un incontro, perché mentre lo vivevo non ero cosciente(3) di essere fuori dallo spazio terreno, stavo dormendo senza far caso a questo) mi confermò che avevo proprio visto il corpo semplice di Giacinto fuori dal meccanicismo terreno, e probabilmente si riferiva, in particolare, all’incontro con lui verificatosi pochi minuti prima (vedi oltre, §4.1): nel messaggio onirico Giacinto si trovava, infatti, a fianco dell’apparecchio televisivo, che nei sogni simboleggia l’apparato percettivo, perché grazie ad esso si vedono immagini e si odono suoni, sicché il tavolino con l’apparecchio televisivo simboleggia, nel sogno, lo spazio terreno con il mio sistema nervoso, e dunque il sogno descrive Giacinto che mi si mostra, senza che io debba impiegare l’apparato percettivo fisico per vederlo, appena fuori dal mondo terreno. Il fatto che poi io l’abbia visto, nel sogno, scendere dal tavolino del televisore e allontanarsi confermava ciò che avevo già capito dalle mie esperienze, soprattutto quella del miagolio che sembrava venire da sempre più lontano, e cioè che Giacinto si è poi allontanato. Il sogno mi dice poi inequivocabilmente che Giacinto e Nolan sono due forme dello stesso spirito. Il fatto che io nel sogno mostri Giacinto a mia madre profetizza ciò che sto facendo ora, ossia comunicare tutta la vicenda a persone della mia stessa matrice culturale (mia madre, appunto) tramite il presente scritto, non senza (si noti la precisione!) qualche scrupolo, quello cioè che ho espresso qui sopra al §2.1, dove ho avvisato le persone troppo impressionabili di non procedere oltre. Dunque il sogno ha previsto ciò che sta accadendo ora con otto anni di anticipo... Ma questo, la capacità dei sogni di prevedere il nostro futuro, sarà un indirizzo di ricerca da seguire in altri studi; ora ci basti aver recepito l’indicazione del sogno utile a confermare che Giacinto e Nolan sono lo stesso spirito in due diverse fogge.

3.3.Io ero già convinto da tempo della realtà della reincarnazione, al punto in cui ero, perché nel linguaggio dei sogni, che dopo anni di studio apposito, nonostante le difficoltà summenzionate, mi risultava abbastanza comprensibile, si trovano numerosissimi riferimenti ad essa. Per questo potei comprendere abbastanza facilmente il significato di queste visioni e capire che stava succedendo l’irreparabile, e cioè che Giacinto sarebbe morto una seconda volta, cambiando forma, coll’identificarsi con un nuovo corpo aggregato: in questo modo la sua forma macroscopica, quella di cui ero tanto innamorato, si sarebbe dissolta definitivamente, mentre prima speravo che potesse conservarsi(4) più a lungo possibile, nella memoria dell’anima sua soggiornante nel post mortem, nel vero mondo dove io avevo speranza di riuscire ad accedere con le meditazioni per poterlo rivedere. Io, infatti, non amavo soltanto la sua anima, ma anche il suo aspetto fisico; amavo cioè quella che era una combinazione di realtà diverse: il suo spirito, il suo essere vero, insieme a una particolare forma macroscopica, e cioè qualcosa che non gli apparteneva ma che gli proveniva dall’esterno, da un’altra coscienza, e amavo anche quella peculiare personalità che derivava dall’insieme delle due cose, il suo carattere. Questa combinazione che io amavo si era dissolta e anche le sue ultime vestigia ora stavano svanendo, e con esse la sua bellezza, la mia unica piccola beatitudine terrena. Assurdamente, avrei voluto fermare questo processo e conservare Giacinto così com’era. Ma è questo il momento, come promesso (sopra, §2.14) di fermarsi a intavolare un primo, provvisorio dibattito sulla reincarnazione.

3.4.Prima che riconfluisse in Europa attraverso il Buddismo, in tempi recentissimi, la dottrina della reincarnazione, eliminata dal nostro repertorio di conoscenze per via del Cristianesimo dell’Evo di Mezzo, faceva parte della cultura del mondo ellenico in epoca arcaica e classica, e sopravvisse fino in età ellenistica e romana, anche se essa non era professata nell’ambito delle religioni pubbliche, bensì presso i culti misterici, e in particolare nella religione orfica. E’ dall’Orfismo che Platone la desunse: egli, negli scritti pervenuti fino a noi, non sa darne una dimostrazione razionale completa e convincente, ma la ritiene, in base al suo sistema di idee, molto verisimile. Oggi essa è caduta in discredito, essendo stata abbandonata nelle pessime mani degli esoteristi di bassa lega, dei fautori degli irrazionalismi alla moda, sicché essa attira scherno e discredito su chi la professa. Invece è una cosa seria, su cui metterebbe conto indagare con rigore, ma evitando i metodi a posteriori, quelli cari ai razionalisti, che sono sbagliati: le percezioni umane, compresi i ricordi, qui nello spazio terreno subiscono le massicce interferenze del sistema nervoso, e basare un’ipotesi solo sulle asserzioni di qualche anima esaltata, che si è messa in mente di essere la reincarnazione di Cleopatra o della regina di Saba o, peggio ancora, su quelle infide tecniche ipnotiche con le quali si pretende di far riemergere i ricordi “inconsci”, in maniera totalmente pseudoscientifica, servirebbero solo a dare agio ai demoni che governano la Terra di condurci nella più totale confusione. E’ questo il loro scopo, infatti, come ricorderà chi ha letto seriamente e ha seriamente ponderato i nostri scritti precedenti: essi vogliono privarci più a lungo possibile della verità, della retta visione dell’essere, e spingerci così verso il male, imprimendo nella nostra anima le tendenze irrazionali verso i falsi beni, per procurare all’essere una completa conoscenza del male e un’esperienza di tutte le forme maligne dello spirito e delle loro conseguenze. A proposito di questo, bisogna dire che una delle tecniche più astute di codesti demoni è proprio quella di far cadere in cattive mani i temi più importanti per l’uomo, la cui conoscenza più gioverebbe alla nostra anima, in modo che tali temi, ridotti a copie scadenti e deformate dell’originale, suscitino lo scherno degli spiriti forti, vengano scartati da chi si occupa seriamente di scienza e di cultura e vadano dunque persi. Satana è specialista in questo, indurti a buttar via il bambino insieme all’acqua sporca. Così è stato per l’ontologia, per esempio: la scienza di Cristo, che era poi quella di Socrate e di Platone(5), condotta a Roma da ignari emissari di Satana, Pietro e, soprattutto, Paolo, è diventata una copia deforme, distorta e ripugnante, scadentissima, della vera ontologia, dando così luogo alla teologia cattolica, ai dogmi irrazionali e assurdi del Cattolicesimo e cioè a uno scimmiottamento satanico della verità, che oltretutto si è imposto con la coercizione violenta, sicché per reazione il libero pensatore che cerchi una visione razionale delle cose tende oggi a gettar via anche l’ontologia, la verità quella vera, insieme alla sua contraffazione. Un altro esempio può essere quello della condivisione delle risorse, il comunitarismo, che sarebbe un ottimo principio base per le società terrene: caduto questo tema nelle mani sbagliate, da quelle di Marx e Lenin fino a quelle di Stalin, oggi trionfa questo capitalismo fondato sull’etica dell’arricchimento materiale individuale, del profitto a dismisura, accreditato come la forma di società più cara a Dio, quando fa invece gli interessi di Satana, alimentando avidità, egoismo e ingiustizia sociale.

3.5.E così è anche per temi come la visione dei mondi extra-terreni e la sopravvivenza dello spirito alla morte del corpo fisico, e la possibilità che l’anima si aggreghi a un’altra struttura atomica tornando nello spazio terreno in altra forma, in una nuova situazione e con una nuova personalità. Satana, codesti perfidi e astutissimi demoni che ci intrappolano per i loro scopi nel mondo terreno, sanno ispirare visioni e intuizioni su questi temi ad anime impreparate, prive di intelligenza, inclini alla fantasmagoria e all’esaltazione, accidiose, e incapaci perciò di procurarsi gli strumenti che occorrono per capire ciò che vedono e sentono, sicché intorno a codesti ispirati, medium o veggenti che siano, si formano conventicole e movimenti che professano le bislaccherie più assurde ed immonde. Ho già dato esempio di questo nel testo principale parlando degli steineriani: Rudolf Steiner era un veggente, cioè aveva visioni e riceveva medianicamente informazioni e nozioni, sappiamo da chi(6), ma era privo di intelletto perché ometteva totalmente di applicare il metodo logico e ragionare rettamente. Tutto questo serve a Satana, la Natura, che così induce i razionalisti frettolosi e disattenti a disprezzare, insieme ai loro scimmiottamenti, dottrine valide e veramente scientifiche: solo l’iniziato(7) che, procedendo con la massima attenzione, è riuscito a distinguere tra il vero diamante e la patacca sa impadronirsi della dottrina vera, il diamante, scartando la versione scadente e involgarita di essa, la patacca. Vi è un mito greco che ci mostra simbolicamente tutta questa situazione in un’immagine: quella dello Zeus infante, nascosto nella caverna del monte Ida a Creta, e i cui vagiti sono coperti dal fracasso prodotto da divinità chiamate “i Cureti” battendo le armi sui loro scudi di metallo, onde il piccolo Zeus non sia trovato da Crono che se lo vuole divorare. Ciò significa che la dottrina vera, che deve nascere nell’anima umana (Zeus infante nella caverna del monte Ida, nome che riporta alla radice id del verbo vedere e che quindi significa “ho visto”, nel senso di “ho capito”, “ho compreso con l’occhio spirituale, l’intelletto”), viene occultata dai demoni che si curano di queste operazioni: uno dei metodi per operare tale occultamento delle dottrine rette è farne un gran fracasso, diffondere una chiassosa “contro-informazione” piena di assurdità, in modo che nessuno badi più alla scienza originale, la quale così va confusa in mezzo alle chiacchiere e alle bislaccherie dei ciarlatani. Finché Crono, il dogma irrazionale, deve operare sulla Terra, è bene che Zeus, la vera dottrina, se ne stia nascosto, altrimenti i pochi capaci di far nascere nuova la propria anima grazie alla verità rimarrebbero azzannati dal clero al potere, ed essa andrebbe definitivamente perduta, per l’uomo terreno.

3.6.Mi perdoni la Lettrice, o il Lettore, per questa lunga ma spero non inutile premessa; ora, per entrare nel vivo della discussione, mi permetto di far notare che questa idea della reincarnazione, la quale all’interno di un sistema di idee materialista sembra irrazionale, agli occhi di chi invece abbia fatto proprio il nostro sistema di idee, fondato sull’uguaglianza di essere e pensiero, appare del tutto razionale e verisimile, quasi una conseguenza che, date le premesse, viene da sé. Sicuramente sulle nozioni già stabilite mediante dimostrazione logico-razionale da noi in precedenza si può fondare la dimostrazione della possibilità della reincarnazione, e una volta stabilito che una cosa è possibile, per dimostrarla reale, visto che ciò che è solo possibile diventa reale se e solo se c’è una causa che lo metta in atto, bisognerà indagare se vi è, in effetti, una qualche ragione per cui l’essere, e cioè l’insieme delle coscienze divine, i mondi, abbia deciso di mettere in atto tale procedimento. Ora, chi abbia compreso che ognuno di noi, ogni coscienza, è un atto dell’essere e cioè del pensiero che pensa e rappresenta sé stesso, sa anche che ogni anima è eterna: infatti l’essere è necessariamente esistente, per il principio di non contraddizione, poiché se non fosse l’essere sarebbe il non essere, il che è contraddittorio e dunque impossibile: il non essere, il nulla, è nulla, appunto, e non può essere qualcosa, non può esistere. E poiché l’essere necessariamente esistente è pensiero e quindi coscienza (l’essere che non si pensa e che perciò non si causa da sé ha bisogno di un’altra causa per esistere e dunque non è l’essere necessariamente esistente, ma solo un possibile contingente), di necessità la coscienza dell’essere è eterna, altrimenti, se a un certo punto l’essere non fosse più coscienza, cesserebbe di essere, il che, come appena detto, è contraddittorio e dunque impossibile, perché cessato l’essere esisterebbe il nulla, che per necessità non può mai essere. Dunque, se la coscienza dell’essere è eterna, noi, gli infiniti atti di coscienza dell’essere, che tutti insieme siamo la sua coscienza, siamo eterni; il corpo aggregato -il Lettore se lo ricorderà- si disgrega, ciò che è composto può scomporsi, ma un semplice atto di coscienza dell’essere è sempre e non può morire. Esso può ammalarsi e divenire oscuro a sé stesso, può modificare i propri pensieri e dunque la propria forma, errando di forma in forma, e può risalire dall’involuzione fino a ritrovare la luce, la conoscenza di sé, ma non può sparire; e neanche gli spiriti atomici che erano aggregati nel corpo di terra spariscono mai, ma svanisce solo il loro insieme, che non era un vero corpo, ma un complesso caleidoscopico di cose diverse, una specie di illusione. Dunque la nascita è un’illusione, perché altro non è che l’aggregarsi di un corpo simulato, che è in realtà solo una colonia di spiriti; e anche la morte è un’illusione perché altro non è che il disgregarsi di un aggregato, senza che nessuno dei suoi elementi vada distrutto. E che ne è dell’anima che era ad esso legata? Essa non nasce e non muore, come abbiamo dimostrato, ma è eterna e dunque prima di trovarsi nello spazio terreno era altrove, e dopo il suo soggiorno nello spazio terreno, evidentemente, sarà di nuovo altrove. Questo non significa, come spero che il Lettore ricorderà, che l’anima si sposta, abbiamo già escluso che ella possa stare in uno spazio; significa solo che mentre prima ella riceveva le immagini dell’essere direttamente dentro sé stessa, e cioè le venivano comunicate le immagini dei contenuti dell’essere prodotte dalle immaginazioni degli angeli diversi dalla Terra, quegli spazi cioè dove non si verificano le complicate macchinazioni dei nostri sistemi nervosi e delle intelligenze che simulano l’esistenza di una materia extramentale, di una realtà oggettiva coi suoi meccanicismi, ma dove vengono rappresentati i contenuti del pensiero in corpi semplici, e dove anche l’anima trovava allora una rappresentazione di sé in un corpo semplice, un’immagine prodotta da un semplice atto del pensiero, riflesso del suo stato presente, ora invece si trova a ricevere le immagini costruite artificiosamente da un sistema nervoso, e cioè dall’immaginazione di un demone, la cui immagine è uno spazio che eclissa quello dei veri mondi e che traduce in forme macroscopiche le strutture atomiche presenti nello spazio terreno, per immaginarle e creare così corpi fasulli che mentono su di noi, per creare oggetti falsi che sembrino extramentali; sicché da un certo memento in poi l’anima non può più vedere altro che le immagini di codeste forme macroscopiche, gli oggetti ingannevoli di un mondo oscuro e incomprensibile, nel quale ella compare come non è, identificandosi con un corpo falso. Il momento in cui questo fenomeno inizia si chiama “nascita”, da noi sulla Terra, ma erroneamente; e quando il corpo terreno muore, il momento in cui il sistema nervoso cessa di occupare con il suo spazio il campo di coscienza dell’anima e ricompaiono i mondi, da noi viene impropriamente chiamato “morte”. Ma niente nasce e niente muore, degli esseri che veramente sono: la morte è solo un gruppo di spiriti atomici che si discioglie e un’immagine ingannevole e fugace, quella della forma macroscopica, che si dissolve, e cioè cessa gradatamente di essere prodotta nello spazio terreno, salvo sopravvivere, più o meno tenacemente, nella memoria della coscienza che per un po’ si era identificata con essa ed eternamente nella memoria degli spiriti che governano la Terra, i demoni della Natura, che l’hanno prodotta.

3.7.Dunque che l’anima possa essere legata a un aggregato, lo abbiamo dimostrato a fortiori: è questa la realtà, e se una cosa è reale, a maggior ragione è anche possibile. E se è possibile una volta, è possibile anche due, tre, mille volte, nulla impedisce che la cosa si ripeta. E’ possibile, dunque, che l’anima, che è eterna, faccia più volte la spola tra i mondi, trovandosi ora in stato semplice ora in stato aggregato, a seconda di quali forze la spingono verso l’una o l’altra condizione. Quando l’anima entra nel dominio di un sistema nervoso, costui si frappone come un drappo nero fra lei e i suoi ricordi, che sono oggetti contenuti in quei mondi spirituali che ora le sono preclusi, dando così l’impressione che prima dei primi ricordi dell’infanzia ella non fosse nulla e ingenerando la convinzione che quando il corpo terreno cesserà di essere si tornerà a questo nulla. Ma l’anima è l’essere e non può non essere: ella non nasce e non muore, ma passa da uno stato all’altro e si trasforma. E che torni più volte nello spazio terreno in stato aggregato, io questo lo ritengo molto probabile, perché se lo spirito quivi si reca per procurarsi l’intelligenza del male e delle sue conseguenze, ogni anima deve poter vivere molte di queste esperienze: una volta ammalatasi per la perdita della nozione retta di essere e dunque del bene, ella deve poter sperimentare le conseguenze di questa malattia, e ciò accade in un lunghissimo arco di tempo, nel quale si esplichino tali conseguenze, gli effetti delle sue scelte irrazionali e delle sue azioni errate. Dunque è probabile che ella torni spesso nel campo dell’esperienza del male, lo spazio terreno, spinta da quei desideri irrazionali che solo qui può soddisfare -a meno che non esistano nel cosmo tante terre, tanti campi diversi di esperienza del male, ma questo è solo un dettaglio, in fin dei conti- e che non vengono repressi o conculcati, quando ella si trova libera tra un’aggregazione e l’altra, e tanto meno fatti sparire per qualche miracolo, da quei mondi vicari che la ospitano provvisoriamente(8), in nome del principio che vuole sia lasciato a ciascuno ciò che gli spetta, e che spetta all’anima la libertà del volere.

3.8.Finché l’anima è libera di esentarsi dalla verità e di ignorare ciò che è il bene vero, inclinerà verso la Terra, dove trova nei beni falsi le sue soddisfazioni irrazionali, mentre non sentirà alcuna attrazione verso il Cielo, i veri mondi dove si soddisfano solo i desideri razionali, che l’anima per ora non prova. Finché l’anima cerca mezzi per ingigantire la propria importanza individualmente e soddisfare così la propria superbia, credendo che sia questo il bene, riservare a sé tutto il valore deprivandone gli altri, cade in nuove incarnazioni nel mondo terreno, in cerca di questa soddisfazione irrazionale, negare il valore del prossimo e ingigantire il proprio; quando invece l’anima vede che il bene è l’essere e che l’essere è la somma di tutte le molteplici sue coscienze e che perciò il vero valore di tutte le anime è infinito, e che bene è dunque l’eguaglianza, la fratellanza con esse, e non distinguersi ingigantendo a dismisura sé stessi per negare il valore degli altri, finalmente esaurisce i suoi attaccamenti ai falsi beni, svaniscono i suoi punti di alienazione del valore e con essi la sua malattia(9); e finalmente, vedendo l’essere, e che l’essere è il bene, e sapendo che l’essere è la somma di tutte le sue anime, ecco che ella infine le ama, perché noi amiamo ciò che sappiamo essere il bene, e dunque ivi ella si reca, presso i veri mondi, attratta finalmente dal vero bene, perché è là che ella trova appunto soddisfazione al suo nuovo desiderio, là dove si esplica nella fratellanza un tale amore, e finalmente è libera e non cade più negli inganni e nelle trappole del mondo terreno: da uomo è diventata dio. Ciò non può succedere in una volta sola, ma occorrono tante esperienze e tanti ritorni, tante prove, un lungo cammino. E in particolare è assurdo che si pensi sia condannata per sempre l’anima la quale abbia fallito la sua prova una volta sola, o che sia possibile nel breve arco di tempo di una vita sola “meritarsi il Cielo” ubbidendo passivamente a degli sciocchi precetti, o alle errate norme di una morale che impone solo i falsi valori terreni, o, peggio ancora, servendosi di un culto fatto di riti e sacramenti, senza operare attivamente per modificare e maturare la propria forma spirituale sradicando con i mezzi opportuni le tendenze maligne, e cioè confutando quegli errori concettuali che causano i desideri irrazionali e sono perciò la radice delle tendenze viziose e delle colpe. Spero che dopo aver ponderato seriamente ciò che si trova scritto ne La cura dell’anima e ne Il fondamento dell’etica, e dopo aver capito, grazie al nostro viaggio per i mondi che è stato materia dello scritto principale, di cui il qui presente è un complemento, qual è la vera realtà e come essa sia specchio e riflesso della coscienza e dei suoi contenuti, il Lettore comprenda bene e accetti quanto sto dicendo, e cioè che è impossibile all’anima accedere alla bellezza e alla beatitudine, ossia al paradiso, se porta in sé ignoranza e stoltezza, cioè mancanza di ragione e di logos, che è ciò a cui la condanna il dogmatismo irrazionale e illogico del Cattolicesimo, le quali nell’immagine sono la bruttezza e l’inferno; e spero che il Lettore, o la Lettrice, perciò, senta anche la necessità morale che siano concesse all’anima numerose prove e non una sola e numerose possibilità di dimostrare la propria capacità di rettificarsi in molte vite e non in una soltanto.

3.9.Riprendiamo dunque il nostro racconto, continuando a esaminare la fenomenologia di questa serie di esperienze, tanto per dirla con un termine moderno e un poco scioccamente enfatico. Faccio notare, infatti, che anche noi sappiamo usare il metodo fenomenologico, e lo stiamo facendo ora; solo che diversamente dalla fenomenologia novecentesca, la nostra non produce risultati oscuri e fuorvianti, perché noi non applichiamo il metodo fenomenologico (=raccolta di fatti, di esperienze, di fenomeni e loro descrizione) da solo e per primo, bensì lo impieghiamo come stadio finale dei nostri studi, cioè solo dopo aver costruito mediante il metodo logico-razionale una visione dell’essere chiara e completa, che ci consenta di interpretare i fenomeni, cioè le immagini sensibili, senza esserne ingannati: solo nel quadro di un’ontologia solida, ossia di una conoscenza che ci abbia istruiti sulla vera realtà, il pensiero,  possiamo comprenderne i segni sensibili, le immagini in cui le realtà invisibili si riflettono, conferendo a ogni segno il suo retto significato; altrimenti navigheremmo nel buio.

 


NOTE AL LIBRO III.

 

Nota 1: può sembrare scortese da parte mia aver ignorato la presenza di queste immagini di altre persone diverse da Giacinto che si affacciavano alla mia meditazione. In effetti, avevo annotato nella mia agenda di sfuggita che insieme con la visione del noto personaggio televisivo ce n’erano altre e che c’era stata anche la comunicazione da parte sua di alcuni simboli; se avessi registrati allora con precisione anche questi altri dati ora potrei capire che cosa costui avrebbe voluto dirmi. Avrei anche potuto capire se si trattava davvero dell’anima disincarnata di un essere umano o se invece era un demone che si presentava sotto quelle spoglie. Ho già parlato nel testo principale di questo problema, che non sai mai, quando vedi l’immagine di una forma macroscopica, chi diavolo ti trovi davanti, è proprio il caso di dirlo, tranne che dalla dinamica interna della comunicazione si può ricavare con sufficiente sicurezza tale informazione (vedasi il problema dell’aspetto affrontato nel libro IX del testo principale). Sono stato sciocco e negligente, ne faccio ammenda e speriamo che quel tale non si sia troppo offeso.

 

Nota 2: cfr. L’Essere, l’Anima, i Mondi, §§8.5-8.6. Si noti che anche in quell’occasione avevo visto il cagnolino dei miei vicini di casa presentarsi in due forme diverse, quella di gatto e quella di cane.

 

Nota 3: si ricorderà che nel testo principale avevamo offerto proprio questa come differenza specifica tra sogni e visioni. cfr. ivi, §§8.2-8.3. Devo dire però, come aggiornamento, che proprio nel momento in cui, tutto soddisfatto, avevo finito la stesura di questi due paragrafi con la loro classificazione scientifica di visioni e sogni, mi è capitato di avere una visione, cioè di uscire dallo spazio terreno e trovarmi consapevolmente in uno spazio diverso, nella quale però erano contenute per lo più immagini oniriche, che parlavano col simbolismo dei sogni, senza che si verificasse alcun incontro o alcuna visione di un mondo spirituale. Questo deve essere stato un avviso che arrivava tempestivamente per dirmi che i discorsi di tipo onirico non sono esclusivamente confinati nei comuni sogni umani, ma si tengono normalmente anche tra spazi, tra angeli che dialogano fra loro. La nostra classificazione va dunque aggiornata: nella categoria dei sogni comuni, che è come dire delle comunicazioni in simbolismo onirico tra anime, va distinta la specie dei sogni tra angeli, consapevoli di stare comunicando con angeli-spazio diversi, e sogni umani, dove il ricevente è totalmente ignaro di dove si trova e non ha la minima idea che vada fatta una distinzione fra varie realtà.

 

Nota 4: mi permetto qui di dilungarmi un momento a raccontare un messaggio onirico che, prevedendolo in anticipo, descrive con una mesta immagine questo mio atteggiamento, questo mio desiderio di far durare più a lungo possibile la forma macroscopica di Giacinto. Alla fine di un lungo sogno che narrava tutta la vicenda, e che vedremo quando si tratterà del linguaggio dei sogni, e di come ricavare da essi informazioni sul post mortem, c’era la seguente scena:

 

...Sto cercando Giacinto, sono in strada, in auto e c’è anche mio padre; mi sembra di averlo trovato in una saponetta profumata, rosa, ormai completamente consumata, ridotta a un velo sottilissimo: ma è questo Giacinto? come faccio a riconoscerlo? Qui è la parte più triste e mesta del sogno, perché se Giacinto è diventato quella saponetta completamente consumata, vuole dire che l’ho perso per sempre...

 

Ho ricevuto questo sogno il 13 gennaio 2000, cioè circa tre settimane prima che Giacinto morisse: come tutte le cose che si consumano e finiscono, anche questa saponetta profumata simboleggiava un corpo fisico, quello di Giacinto, e come si vede dal testo del sogno, anche dopo che Giacinto è morto, mentre già l’ho perso e lo sto cercando, sussiste ancora un residuo di esso, e cioè la memoria della forma macroscopica nella mente di Giacinto stesso, ma essa è in fase di dissoluzione.

 

Nota 5: so benissimo che agli occhi degli storici accademici, soprattutto se di matrice cattolica, questa asserzione sembrerà un’assurdità infondata; ma posso assicurare, invece, che essa può essere dimostrata per mezzo di un’analisi testuale accurata, e mi propongo di farlo in futuro, in un’opera apposita. Qui mi limito a suggerire al Lettore aperto che i passi del Vangelo che sembrano infantili e irrazionali se letti al di fuori di un sistema di idee socratico-platonico, prendono invece un profondo senso filosofico se visti e ricostruiti (è chiaro che i rozzi testimoni devono aver memorizzato le sue parole in maniera riduttiva e incompleta) alla luce di esso. Agostino di Ippona lo aveva capito, salvo poi smarrirsi per la sete di un ruolo prestigioso in una Chiesa dominante, per le tipiche ambizioni del cittadino romano in cerca di elevarsi per rango; e comunque basti pensare a quella appassionata e straziante professione di “intellettualismo” socratico che Cristo gridò dalla croce, nella sua sofferenza: perdonali perché non sanno quello che fanno; codesti farisei credono di procurarsi il bene, eliminando chi fa loro invidia e suscita la loro gelosia, perché credono che per loro il bene sia riuscire a ingigantire la propria importanza spacciandosi per sacerdoti e sapienti e distruggendo chi fa loro da termine di confronto e li smaschera professando la vera sapienza, ma questo accade perché essi non sanno che cos’è il bene, non hanno intelligenza, difettano della retta idea di bene nel loro intelletto, e scambiano perciò un male, la loro posizione di potere, piena di onore e prestigio, per il loro bene; non fanno dunque ciò che vogliono, non sono liberi, e non sanno quello che fanno, perché vogliono un bene, ma si procurano un male. Professione più chiara di socratismo non poteva esserci (si veda sul c.d. “intellettualismo socratico” la nota 11 al libro VI de La cura dell’anima). Se Cristo fu un uomo in grado di ripristinare la sua forma eletta sradicando da sé le tendenze maligne dell’anima che provengono dall’identificazione col corpo aggregato, deve essersi servito della retta scienza dell’essere e del bene; ma allora, storicamente, l’unica versione diffusa di essa nella nostra cultura era il pensiero socratico-platonico, e dunque è assai verisimile che egli di questo si sia servito, pur conservando molto della sua originaria matrice ebraica. Era un ebreo ellenista, sicuramente, essendo cresciuto in Egitto; ma non mi dilungo oltre, spero solo che i Lettori giunti fin qui sappiano liberarsi definitivamente di quell’obbrobrio cattolico, di quell’immagine contraffatta satanicamente, che rappresenta il Cristo come un essere soprannaturale, unico e speciale, la seconda persona della S.S. Trinità, Verbo incarnato etc., quando egli era un uomo, un’anima aggregata a un corpo terreno, ma impegnato nella ricerca della verità e capace di trovarla e di portare grazie ad essa la propria anima alla forma santa ed eletta. Chi lo ama, non lo imprigiona sotto una maschera assurda.

 

Nota 6: lo sa chi abbia letto con la dovuta attenzione lo studio intitolato La Natura con i suoi due complementi; abbiamo ivi dimostrato che chi regge questo mondo terreno ha un’unica intenzione: ingannare l’anima per farle attraversare il male, che è ignoranza del vero essere e malattia spirituale, malvagità intesa come l’insieme di tendenze verso ai falsi beni che si producono nell’anima per gli errori concettuali sul bene che le sono impressi dalla perdita della retta visione dell’essere. Gli interessi di Satana (è il nome che abbiamo dato alla Natura quando si occupa della storia umana) sono di impedire all’uomo di aprire gli occhi sulla vera realtà più a lungo possibile, in modo che il campo dell’esperienza del male duri e dia i suoi frutti. Per fare ciò gli astutissimi demoni della Natura, in funzione satanica, mettono in atto ogni sorta di trappole e tranelli, sicché chi voglia uscire dai loro inganni si trova continuamente di fronte all’estenuante compito di riconoscere i loro imbrogli e disinnescarli. Negli scritti succitati abbiamo iniziato a esaminare alcune delle loro operazioni, sicché chi li abbia letti sa già che questi saperi ispirati sono, appunto, diversivi satanici, inganni in cui cascano le persone deboli e accidiose. Sull’ispirazione, in particolare, leggasi ivi, §§3.8-3.10, e sulla funzione satanica delle religioni e di tutto ciò che proviene da ispirazione si legga  l’intero libro IV del medesimo studio.

 

Nota 7: il Lettore, o la Lettrice, avrà prestato attenzione alla retta definizione di “iniziato”, “iniziazione” che già abbiamo dato ne Il fondamento dell’etica, §5.7, la prima frase: iniziazione è la retta visione dell’essere, dunque un’anima è iniziata quando, studiando la retta ontologia e cioè applicando il metodo logico-razionale, ha trovato la retta idea di essere, la retta definizione di essere come pensiero di sé; in altre parole, è iniziato chi abbia trovato l’assioma fondamentale su cui possiamo costruire tutta la nostra scienza, per divenire infine, dopo un lungo e impegnativo lavoro che dura tutta la vita e anche oltre, un teleios, un perfetto, o, che dir si voglia un’anima eletta. Questi sono fra i concetti più storpiati entro quegli esoterismi stolti che sono scimmiottature sataniche (la “contro-informazione” di cui si parlava sopra) e che dunque si fa più fatica a recuperare alla nostra scienza, perché chi parla di elezione o di iniziazione viene confuso in mezzo a fanatici pericolosi e a bislacchi di tutti i tipi, che millantano chissà quali poteri paranormali, mentre l’unico vero potere è il pensiero retto, cioè logico-razionale.

 

Nota 8: si ricorderà che avevo tratto l’ipotesi di mondi vicari semi-meccanicistici che ospitano l’anima ancora in via, ancora incapace di essere mondo a sé, da alcune esperienze che ho descritto nel testo principale, come per esempio quella contenuta nel §6.5; vedasi anche il §7.4, dove ho congetturato la funzione intermedia di questi mondi.

 

Nota 9: questa era la materia trattata nei due scritti di etica, La cura dell’anima e Il fondamento dell’etica. Sono i due scritti di fondamento della nostra psicologia, ricordando che, poiché per noi la malattia dell’anima è la mancanza di bontà, e cioè lo stato dell’anima che non tende al bene perché ignora che cosa sia realmente il bene, né, di conseguenza, sa realizzarlo e condividerlo e dunque è ingiusta, etica e psicologia vengono a coincidere.


LIBRO IV.

 

 

 

 

 

 

GIACINTO E’ VENUTO A TROVARMI. MA CHI E’ GIACINTO? VERSO UNA NUOVA FORMA.


LIBRO IV.

 

INDICE DEGLI ARGOMENTI.

 

Racconto del primo incontro vero e proprio tra me e Giacinto dopo la sua morte(4.1). La chiave per accedere ai veri mondi e visione relativa(4.2).

 

Ripresa dallo scritto principale del problema dell’aspetto(4.3). Avevo perso due cose e non una sola: mentre io mi ostinavo a voler ritrovare Giacinto, i mondi mi impartiscono su questo un insegnamento importante, e cioè che è possibile distinguere Giacinto a prescindere dal suo aspetto e che, comunque, questo aspetto è destinato a mutare(4.4-4.9).

 

Incontri che mi insegnano a distinguere Giacinto, anche sotto una forma sconosciuta, da altri piccoli esseri: Giacinto è anche un delfino(4.4), appare più piccolo, come un micetto di qualche mese(4.6); incontri con piccoli animali che non sono lui: un micetto e un cagnetto antipatico(4.5), un tasso invisibile(4.6) e un porcellino selvatico(4.7). Riconosco lui e lo distinguo da altri gatti(4.7, seconda visione). Nelle visioni appare anche la gattina che è con me viva e vegeta nel mondo terreno: i gatti hanno maggior dimestichezza con gli spazi extra-terreni, tanto è vero che in un caso ho visto contemporaneamente due corpi della stessa Miranda e che spesso la gattina mi segue nelle estasi(4.8).

 

Constatazione che la forma macroscopica rimane fissa solo finché un’anima è legata al corpo aggregato corrispondente, poi tende a svanire: Giacinto verso una nova forma(4.9).


4.1.Come dissi nel §2.8, fino al 24 maggio ottenni delle visioni di Giacinto sempre molto brevi, che ritenni insoddisfacenti, anche se significative. Ero sempre profondamente in collera con l’Universo ed esprimevo spesso tale sentimento in maniera energica, con pensieri furibondi e insistevo perché volevo avere contatti più frequenti e prolungati con lui. Il 24 di maggio qualcosa cambiò, ebbi un incontro vero e proprio con Giacinto, con uno svolgimento consequenziale di fatti, lo vidi di nuovo agire e muoversi come quando era vivo con me, sulla Terra, per qualche breve minuto: non fu un’immagine istantanea come le altre, ma un avvenimento nel tempo. Eccone il resoconto, come lo stenografai nell’imminenza dei fatti:

 

h 6.10. Giacinto è tornato. Avevo appena mandato fuori dalla stanza Miranda perché faceva baccano come al solito, arrampicata sulla libreria, con il soprammobile rosso di pietra. Buttata fuori Miranda, ho chiuso la porta. Ma ho continuato a sentire gli stessi rumori nella stanza (cioè l’inconfondibile rumore di quel soprammobile di pietra tirato qua e là dalle zampate di un gatto)...; mi è venuta un po’ di paura. Poi ho avuto l’impressione di sentire qualcuno che, con voce femminile, diceva: “vieni, vieni!” e a questa voce era collegata l’immagine proveniente da un altro spazio, come se fosse Miranda che parlava al suo orsetto di peluche, uno dei suoi giocattoli, invitandolo ad avvicinarsi a me.

 

Non era Miranda che agiva in quel momento, ovviamente, ma un angelo che invitava Giacinto ad avvicinarsi; l’immagine dell’orsetto serviva per dire che Giacinto, la forma macroscopica che ricordavo io, non è la vera realtà, ma una rappresentazione infantile dell’anima di Giacinto. Comunque, è in quella forma che in quell’occasione Giacinto mi si è mostrato. E’ da notarsi che ho ricevuto questo sogno, Miranda che gioca con l’orsetto, mentre ero sveglio: infatti non mi ero addormentato, mentre udivo quei rumori che ho descritto ero perfettamente sveglio nel mondo terreno (tanto è vero che il mio sistema nervoso  mi ha mandato(1) una sensazione di paura che invece non provo mai nei contatti con gli altri mondi, quando sono separato da esso) e mi sono poi trovato in uno spazio diverso senza passare per il sonno. L’appunto, infatti, poi prosegue:

 

Poi mi sono trovato in un altro mondo, in un’altra sfera percettiva (scil.: nell’immaginazione di un altro angelo, diverso dalla Terra): Giacinto mi si è avvicinato e mi ha sfregato il muso contro il mento con affetto, come per salutarmi. L’ho visto bene, era lui identico a quando era vivo, il suo colore, la sua testa, il suo corpo. “Giacinto!” gli ho detto, è successo tutto proprio come quando era in vita: l’ho chiamato “amore piccolo!” proprio come facevo allora. Non era un sogno, io mi muovevo liberamente col pensiero e pronunciavo le parole col pensiero volontariamente, non come nei sogni. Dopo un po’ ho allungato un dito come per toccargli una zampina, come facevo a volte quando era vivo. Ma Giacinto ha risposto con una tipica mossa sua, difendendosi a colpi di zampa. Non per gioco, questa volta, era come se mi rimettesse al mio posto. In quella se n’è andato e io sono tornato in “modalità corporea” (scil.: nel consueto spazio terreno).

 

Giacinto detestava essere toccato, anche da vivo nel corpo aggregato, e spesso giocavo con lui in quel modo: tentavo di toccargli una zampina ma lui me l’impediva con mossa lesta, colpendomi a sua volta con una specie di piccolo ceffone. Rimasi un po’ male perché questa volta non aveva accettato di giocare con me, ma se n’era andato con aria offesa; forse ha pensato che io volessi prenderlo e riportarlo con me sulla Terra? Ma come avrei fatto?

4.2.Credo che questo incontro sia il risultato di una meditazione da me svolta il 29 febbraio precedente, e che sembrava essere rimasta infruttuosa: mi ero rivolto al “lago di Giacinto”, cioè all’angelo-mondo(2) nella cui immaginazione Giacinto doveva ora trovarsi, e gli avevo chiesto fermamente di ricevermi, e cioè di dare anche a me un corpo simbolico nel suo spazio e di comunicarmi le immagini in esso contenute; insomma di farmi entrare nel mondo dov’era ora Giacinto, per poterlo rivedere. Non avevo avuto alcuna risposta, sul momento, tranne un sobbalzo del mio corpo spirituale, per dir così, come l’impressione di sdoppiamento dell’immagine, o meglio la separazione dell’immagine mentale, il mio vero corpo, dall’aggregato terreno(3), soprattutto a partire dalla spalla; ma poi non accadde nulla, anche perché avevo dovuto interrompere la meditazione a causa di un formidabile attacco di dolore al dente del giudizio. Quel maledetto dente mi stava estenuando già da un po’, ed ero costretto ad alternare le meditazioni su Giacinto con quelle per tenere a bada il dolore, con mio sommo rincrescimento. Ma quella notte ebbi una visione molto significativa, che qui riporto:

 

h 6.00. Non posso più dormire perché Miranda gioca in maniera rumorosa; medito su Giacinto e soprattutto vorrei mettermi in contatto con il “lago di Giacinto” (...). Infine devo essermi addormentato, perché ho sognato: sono a casa, ma essa appare trasfigurata e oscura; i miei genitori, che nel sogno penso ancora giovani e sani, se ne sono andati temporaneamente; vedo che hanno chiuso una stanza e ci hanno chiuso dentro Giacinto. Mi chiedo perché, forse per tener fuori da quella stanza Miranda?

 

In realtà, era una visione e non un sogno, secondo la classificazione da noi proposta nello studio principale (§§8.1-8.3): infatti oltre dico, nel mio appunto di allora, di essere cosciente di stare “fuori dal corpo”; ero certamente in un altro spazio, nell’immaginazione di un altro angelo, che però rifletteva le forme macroscopiche delle stanze di casa mia, solo leggermente modificate per motivi simbolici; i “genitori” a cui stavo pensando durante questa estasi non sono quelli biologici, ma i demoni della Terra, il mio sistema nervoso e lo spazio che riflette gli atomi, quelli che in quel momento si erano ritirati e avevano lasciato che alla mia coscienza si comunicassero le immagini di quest’altro spazio e che dunque io fossi nell’immaginazione di un altro angelo, in un altro mondo; essi però hanno tenuto a specificare che se n’erano andati solo temporaneamente, e cioè che io non ero morto. Il mio nuovo interlocutore mi stava dicendo che in uno dei loro spazi, precluso ai comuni esseri umani, era chiuso Giacinto, e ribadiva che la morte di Giacinto era stata opportuna, altrimenti anche Miranda sarebbe dovuta entrare in quella stanza e cioè sarebbe morta, contagiata dalla FIV. Poi la visione prosegue:

 

Comunque, riesco ad aprire molto facilmente la porta della stanza chiusa servendomi di una chiave moderna rivestita di gomma nera, anche la serratura è rivestita nello stesso modo, sembra essere nuova, moderna e funzionare benissimo. Entro, è buio e io sto gemendo e lamentandomi perché Giacinto mi ha lasciato, con voce rotta dico: “non posso credere che tu mi abbia lasciato veramente”. Sono cosciente di essere “fuori dal corpo”, vorrei vedere la mia immagine allo specchio; mi rivolgo a uno specchio identico a quello che c’è nella realtà terrena, in camera di mia madre, è lo specchio del suo armadio: mi guardo e vedo con un certo stupore e un certo allarme, che ho la faccia annerita come se fosse stata coperta da un fondo-tinta color lucido da scarpe... In quel momento mi risveglio (scil.: torno nello spazio terreno). Comunque, in questo sogno (scil: visione) Giacinto non compare, lo cerco ma non lo vedo da nessuna parte.

 

Missione segreta, che si svolge nell’oscurità e con me truccato come chi vuole muoversi nel buio senza essere visto: era così che “mia madre”, cioè l’angelo della Terra, interpretava i miei tentativi di spostarmi tra mondo e mondo per rivedere Giacinto. Lo specchio di mia madre, in cui mi sono visto truccato come un agente in missione segreta, simboleggiava infatti la capacità riflessiva di “mia madre”, quella vera, la Terra e cioè lo spazio che contiene gli atomi con le intelligenze che se ne occupano (confermiamo qui l’idea che per simboleggiare uno spazio dentro un altro, nel linguaggio degli angeli si usa uno specchio, come avevamo già visto nel §6.5 dello scritto principale); e, in effetti, non avevo parlato di questi miei tentativi, né in generale della mia filosofia, con nessuno: ero un mystes, uno che tace, agivo in completo nascondimento e completamente da solo. Anche la chiave che avevo usato per aprire la porta chiusa era rivestita di gomma perché non facesse rumore: essa era simbolo della mia capacità, da me prudentemente tenuta segreta, di accedere ai mondi, dovuta alla mia conoscenza della retta ontologia, al mio rifiuto della falsa scienza materialista, cosa che mi consentiva di ricevere visioni senza scambiarle per sintomi di malattia mentale e di comprenderle grazie alla retta conoscenza del linguaggio simbolico dell’essere, sfuggendo alla storpiatura immonda che ne fa la psicoanalisi; ma tale chiave era anche il simbolo del mio rifiuto della fede religiosa, grazie al quale ora potevo chiedere fermamente ciò che mi spettava, e cioè di aprire la porta dietro alla quale era nascosto Giacinto, accedere al suo mondo e rivederlo: stavo infatti affermando un mio diritto, in piedi davanti a Dio, al consesso dei mondi, come un cittadino davanti a un’assemblea democratica, essendomi liberato, con l’impiego della retta ragione e grazie alla conoscenza del vero essere e della vera divinità, da quell’odiosa e ripugnante tendenza alla piaggeria, che tiene genuflesso davanti a Dio il fedele irrazionale che vede in luogo dell’essere vero, del nostro consesso di coscienze elette e giuste, un tiranno onnipotente di fronte al quale egli assume colpevolmente un atteggiamento adulatorio e sottomesso. Di tale odioso concetto, di questo assurdo nome di blasfemia(4), il Dio onnipotente, io mi ero liberato già da molto: non sono mai stato un suddito che si sottomette a un tiranno per ottenerne favori, ma un cittadino del mondo vero, consapevole dei suoi diritti, e per questo ho potuto ribellarmi alla morte di Giacinto, chiederne conto, denunciarne l’ingiustizia e sfiduciare l’intera assemblea dei mondi per il loro operato. E’ grazie a questa modernissima chiave così ben funzionante, l’intelligenza dell’essere e della vera realtà, del bene e della giustizia,  cose che mi sono procurato in tutti questi anni di studi e di meditazioni, di visioni e di esperienze, che sono potuto entrare nel mondo del post mortem e rivedere il mio gatto.

4.3.E’ grazie a questa chiave che ho potuto ricevere le loro istruzioni; era importante che focalizzassi la mia attenzione su una cosa, in particolare, e cioè il problema dell’aspetto, quello che poi ho intavolato e lasciato insoluto nello scritto principale: come individuare e riconoscere un’anima che amiamo, ma che abbiamo conosciuto solo nel suo aspetto terreno? Quello non è il suo vero aspetto, ma l’aspetto del suo “doppio” e una volta perso tale “doppio”, e cioè il corpo aggregato, la sua forma macroscopica non appartiene più allo spirito che per breve tempo con essa si è identificato, se non come un ricordo evanescente e, d’altronde, quella forma può comparire ovunque senza che insieme ad essa si trovi anche la coscienza che ne era stata rivestita durante il suo viaggio terreno. Infatti tale forma macroscopica era il pensiero di un angelo; quella di Giacinto, per esempio, era il prodotto della mente della specie felina e in quella mente è ancora registrata, e può ancora comparire in ogni mondo, essendo stata la forma di un organismo controllato da un sistema nervoso, il quale è un angelo, ed essendo il “doppio” di Giacinto, può a buon diritto manifestarsi dove gli pare con quella forma che, in fin dei conti, è più sua che dell’anima di Giacinto. Tutti i nostri “doppi”, tutti quanti i demoni che governano il nostro organismo e lo fanno funzionare, e che compongono il nostro sistema nervoso, possono assumerne l’aspetto e mostrarsi in qualche spazio con l’immagine della nostra forma macroscopica, perché essa è un loro pensiero, è più loro che nostra; anzi, per noi essa è solo una maschera e non è la nostra vera forma, che è invece proprio ciò che da codesta maschera viene eclissato. Perciò non mette conto, cara Lettrice, o caro Lettore, che Lei, se per caso volesse diventare mia amica o amico, si incontri con me qui nello spazio terreno, perché così non verrebbe a conoscenza del mio vero aspetto, ma di quello che ha pensato per me il demone della mia specie, o del sottogruppo, e che poi il mio sistema nervoso fa comparire nella mia coscienza, e che gli altri sistemi nervosi comunicano alle coscienze incarnate quando mi incontrano nel mondo terreno, nel modo già esposto nei §§9.6-9.7 dello scritto principale. Poi, una volta libero dal mio doppio, se Lei volesse rintracciarmi nel vero mondo, non dovrebbe cercare qualcuno o qualcosa con quell’aspetto, perché così non troverebbe me con sicurezza, ma forse scambierebbe per me un demone del mio sistema nervoso oppure il demone della specie o del sottogruppo della specie a cui il mio corpo biologico appartiene. Si troverebbe davanti un esercito di impostori che si spacciano per me, sparsi in tutti i mondi. Che incubo! No: se Lei vuole conoscermi realmente e poi ritrovarmi nei veri mondi, dobbiamo escogitare un altro sistema.

4.4.Sia le visioni brevi che continuai ad ottenere durante le meditazioni, sia gli incontri che successivamente vissi con l’anima di Giacinto furono rivolti a stimolare la mia riflessione su questo problema. Dovetti rendermi conto che, poiché io amavo due cose e non una sola, amavo cioè sia la coscienza individuale di Giacinto che la sua forma macroscopica, era logico che io mi mettessi a cercare non una cosa sola ma due. Un conto era recuperare l’anima di Giacinto, un conto era ritrovare la visione del suo bell’aspetto terreno(5). Dovetti rendermi conto che Giacinto, quel Giacinto che io amavo, il gatto grigio argentato con le sue proporzioni perfette, con quel determinato carattere, con quelle movenze affascinanti, con un particolare timbro di voce e così via, non era mai esistito realmente: egli non era un essere, una realtà, ma una combinazione di diverse realtà; e se avevo amato quella combinazione, ebbene, dovevo rassegnarmi, perché essa non c’era più. Ci fu una serie di incontri con Giacinto nei quali il suo aspetto non era quello consueto. Per esempio, il 13 novembre ho registrato la seguente esperienza:

 

Meditazione su Giacinto, penso che voglio vedere come vive, con chi, come sta, se è felice, se si diverte... Risultato: mi trovo in un luogo pieno d’acqua, non proprio il mare, ma penso un lago o qualcosa del genere; chiamo... intendevo chiamare Giacinto, e mentre chiamavo davo per scontato di stare chiamando lui, ma invece udivo me stesso pronunciare un nome diverso, che ora non ricordo più. Dopo un po’ appare un delfino. “Eccolo!” esclamo senza esitare, qualcosa dentro di me imperiosamente mi dice che è proprio lui. Nuoto insieme a Giacinto-delfino per un po’, beatamente; ma l’acqua non è molto profonda e a un certo punto mi trovo insabbiato in una specie di giardinetto...

 

Giacinto, in passato, era stato un delfino? Ma un delfino domestico, evidentemente, se aveva un nome; e il fatto che ci fosse poca acqua mi fa pensare che la sua vita da delfino sia stata breve.

4.5.La cosa importante da notarsi nella visione precedente è che io sapevo che quello era Giacinto, anche se non aveva l’aspetto a me noto. Lo spazio stesso dove mi trovavo mi illuminava su questo, e cioè mi comunicava non verbalmente, ma come con una consapevolezza imperiosa, che quello era proprio un aspetto dell’anima che mi stava a cuore. Successe anche l’incontrario: mi capitò altre volte di vedere gatti o piccoli animali il cui aspetto era completamente diverso da quello di Giacinto; ma, ebbene, poiché stavo meditando per vedere lui, poteva venirmi il sospetto che quell’immagine che vedevo fosse uno dei suoi aspetti passati, oppure un corpo simbolico... Invece in più occasioni mi trovai a dire con certezza: “questo non è Giacinto”. I mondi mi stavano mostrando così che è possibile distinguere un individuo dall’altro anche in stato disaggregato, prescindendo totalmente dall’aspetto. Capitò varie volte: il 1° aprile e il 12 aprile ebbi due incontri, ma uno con un micetto piccolo, l’altro con un cagnetto antipatico. Sentii in entrambi i casi che non erano lui; e anzi, nel secondo caso la distinzione tra Giacinto e l’altro animaletto è stata sottolineata dal fatto che prima, durante la meditazione, avevo sentito, senza riuscire a vedere la sua immagine, dei rumori che testimoniavano la sua presenza (ero sveglio e con Miranda sulle ginocchia, dunque non poteva essere lei la fonte dei rumori), i tipici rumori di quando un gatto si muove per casa, poi dopo essermi trovato in un altro spazio e tutto teso nella speranza di vedere lui, mi sono invece incontrato con un cagnolino di tipo yorkshire, di fronte al quale ho detto immediatamente, senza esitazione: “questo non è Giacinto”. D’altronde, anche il cagnetto mi considerò un estraneo, perché si mise a ringhiare verso di me con aria diffidente. Evidentemente, questo spazio voleva mostrarmi che anche fuori dalla Terra gli individui si possono distinguere l’uno dall’altro.

4.6.Il 29 agosto successivo vidi di nuovo un micetto piccolo, ma questa volta con la certezza che fosse Giacinto; e di nuovo ci fu un’antitesi tra Giacinto, chiaramente lui anche se aveva cambiato aspetto, e un altro animaletto, un piccolo tasso. Ecco che cosa ho registrato stenograficamente in quell’occasione:

 

In un corridoio, non so dove fossimo, in una casa sconosciuta, vedo per un momento Giacinto, sotto forma di gattino di qualche mese. Sono sicuro che sia lui, lo vedo benissimo: percorre un corridoio e sparisce dalla mia vista, vorrei chiamarlo indietro ma non mi risponde. Io, che sono un po’ indaffarato in altro, mi fermo un momento e focalizzo l’attenzione su Giacinto, dicendo con tenerezza: “guarda, c’è Giacinto...”. Lo dico a me stesso, ben consapevole di essere in un altro spazio e che Giacinto è morto.

C’è poi una scena strana. Io (ma appaio con un aspetto diverso dal mio consueto) in un boschetto, un luogo sconosciuto, un po’ selvatico e un po’ campagnolo, rimango leggermente turbato da uno strano incontro: sento le zampette di un animaletto che mi toccano la schiena, mi danno la sensazione di passaggio di energia; non è un gatto, è un tasso, ma è un tasso invisibile, la cosa mi sorprende e mi allarma un po’, anche perché la scossa è forte, quasi dolorosa.

 

Comparire con l’aspetto di un micetto di qualche mese, come il Lettore, o la Lettrice, ricorderà da quanto già detto sopra, al §2.8, era un simbolo con cui Giacinto voleva esprimere il fatto di essere entrato da qualche mese (6 o 7, per la precisione) nella sua nuova vita in stato disaggregato. E’ da notare che mentre qui sapevo di stare vedendo proprio lui, nella visione del 1° aprile, benché fosse molto simile, perché anche lì avevo visto un micetto piccolo, compariva una certezza diversa, sapevo di stare vedendo un gatto diverso. Ed è da notare altresì che nella visione del piccolo animale nel boschetto, benché quello spazio non mi avesse comunicato alcuna immagine ma solo sensazioni tattili, io sapevo che quello era un tasso. Come facevo a saperlo? Queste forme di consapevolezza devono essere delle comunicazioni non verbali degli spazi alla nostra anima: propongo di chiamarle “illuminazioni” e di giudicarle affidabili, perché gli spazi diversi dalla Terra non imbrogliano, in genere, sono spazi onesti. Che interesse avrebbero nell’ingannarci?

4.7.Posso aggiungere un altro esempio di questa serie negativa, dove cioè compare la certezza che l’incontro che sta avvenendo non sia con lui. Il 3 novembre registrai la seguente esperienza:

 

Sto su un letto diverso dal mio consueto letto terreno, sono già fuori dal mondo della materia aggregata, e quella luce azzurrina (quella di cui ho già parlato sopra, al §2.10) si muta in una specie di ricamo a forma di fiorellino che si sposta in una danza vivace; è opera di una presenza che rischia di perturbarmi un po’, ma tengo questo sentimento sotto controllo; è un animaletto marrone scuro con il muso da porcellino che sta comunicando con me, dopo essermi saltato sul letto. Senz’altro non è Giacinto. La cosa mi diverte, ma la bestiola se ne va subito, forse perché ha paura di spaventarmi. C’era anche la visione di un gatto grigio, ma non era Giacinto, perché era più scuro, visto in penombra non chiaramente.

 

Insomma(6), se compare un’immagine ignota, o essa è accompagnata da un’illuminazione, come nel caso del delfino-Giacinto, oppure non è quello che stiamo cercando. E un altro caso in cui Giacinto viene chiaramente distinto da altri gatti che non sono lui è il seguente, del 15 dicembre:

 

Visione-viaggio faticosa, per cercare Giacinto: trovo infatti lui o un gatto che gli somiglia; so di essere in stato disaggregato, so che c’è il problema di non poterlo riconoscere dal suo aspetto. Cerco di osservare la sfumatura del pelo, mi sembra più scuro di com’era nel corpo terreno: è lui o non è lui?

...(dopo una soluzione di continuità nella visione) sono con Giacinto, sicuro che sia lui (un’illuminazione proveniente da quello spazio, evidentemente), in un primo tempo percorriamo un po’ di strada insieme, attraversando luoghi sconosciuti, spero che mi segua docilmente come faceva da “vivo”, sulla Terra, quando voleva passeggiare con me... siamo entrati anche in qualche casa sconosciuta...

...Poi si ripete la scena di poter “uscire dal corpo” e mi trovo in un altro spazio dove Giacinto non c’è, ci sono altri gatti diversi che io osservo rendendomi conto che non sono lui. (Segue un incontro di cui ho già parlato nel testo principale, al §4.4, quello con persone che –in epoca di diffusione del famoso morbo della “ mucca pazza”- mi hanno offerto una bistecca al sangue con l’osso).

 

In entrambe queste visioni c’è un gatto che mi pone nell’incertezza, e poi c’è una sicura distinzione tra Giacinto e i gatti o animali di altro tipo che non sono lui. Evidentemente i mondi stavano cercando di rassicurarmi, di farmi capire che non dovevo angosciarmi per il problema dell’aspetto, che a distinguere con sicurezza l’anima di Giacinto dalle altre ci avrebbero pensato loro.

4.8.Il 2 luglio e l’11 agosto, inoltre, in due successive visioni, ero stato accompagnato in uno spazio extra-terreno da entrambi i miei due gatti, Giacinto e Miranda, nonostante il primo fosse morto e la seconda viva e vegeta. La prima volta, il 2 luglio, non era successo altro se non che eravamo rimasti a lungo a passeggiare nello stesso spazio tutti e tre; l’11 agosto, invece, accadde così:

 

...riesco a ritrovare Giacinto grazie alla forza del pensiero, l’ambiente è totalmente sconosciuto; lo vedo chiaramente, dura un po’ (c’erano avvenimenti precisi che però tornato nello spazio terreno ho dimenticato); solo che cerco di fare la stessa cosa una seconda volta, ma con disdetta mi accorgo che non è Giacinto quello che sto vedendo, bensì Miranda, la vedo chiarissimamente. Ciò mi mette molto in crisi...

 

Ma per farmi uscire da tale crisi, i mondi mi spiegarono la faccenda con più chiarezza: il 14 settembre successivo mi sembrò di nuovo di stare in compagnia dei due gatti, ma ecco quello che accadde mentre io dormivo e sul mio letto, nel mondo terreno, dormiva anche Miranda:

 

...a un certo punto, mi trovo con due gatti invece che uno, sul letto: uno è la Miranda “reale” del mondo terreno, e, poiché i due mondi si sono come fusi, l’altro do per scontato sia Giacinto, ma ben presto mi avvedo che, invece, è un’altra Miranda. Rimango sconcertato...

 

Interessante: avevo visto contemporaneamente due corpi dello stesso gatto, di Miranda, e cioè avevo continuato a vedere il suo corpo terreno, riflesso della sua forma macroscopica nello spazio terreno, ossia nell’immaginazione del mio sistema nervoso, ma contemporaneamente ne avevo visto anche un altro identico, riflesso della medesima forma macroscopica in un altro spazio. Capii che i gatti possono fare liberamente quello che anche a me piacerebbe tanto poter fare, e cioè essere specchiati dagli spazi extra-terreni e ottenere comunicazione dei loro contenuti nella propria coscienza, ossia, praticamente, muoversi da mondo a mondo come a loro pare. Miranda poteva trovarsi in stato disincarnato esattamente come Giacinto; d’altronde questo succedeva talvolta anche a me, e dunque era sciocco stupirsene... In effetti, è capitato più di una volta che durante qualcuno dei miei viaggi nei mondi io avessi con me uno o tutti e due i miei gatti. Per esempio, il 3 dicembre 2000 ebbi una sequenza di visioni che non c’entravano nulla con la ricerca di Giacinto, ma furono cupi incontri con gente poco incline alla simpatia: in uno di questi incontri, quello dove dovetti difendermi da un tizio che mi aveva aggredito proprio nel momento in cui cambiavo di spazio, e cioè comparivo nell’immagine simbolica come uno che si alza da un letto, c’era con me anche Miranda, che osservò tutta la scena, mentre io afferravo per il bavero il mio aggressore e, senza troppi complimenti, lo trascinavo fino alla finestra del balcone e lo gettavo di sotto. “Così impara a mancarmi di rispetto” commentai allora. Forse la gattina mi aveva seguito presentendo il pericolo? o per che altro motivo? Comunque, anche il 17 novembre mi trovai in una visione a passeggiare con entrambi i miei gatti, sia Miranda che Giacinto, ma, come allora annotai: “è molto più difficile riuscire a controllare dov’è Giacinto, perché non riesco sempre a vederlo chiaramente, c’è, ma tende a scomparire”.

4.9.Anche il 19 e il 22 gennaio dell’anno successivo, il 2001, rividi i due gatti insieme: nella prima visione “Giacinto sta leccando la testa a Miranda, lei è seduta davanti, lui nascosto dietro sporge solo la tesa e la lecca...” Nella visione del 22, mi dovetti rendere conto che era successo qualcosa: Giacinto era completamente cambiato, irriconoscibile, mentre era facile riconoscere Miranda; eccone il resoconto stenografico di allora:

 

...un tentativo di vedere Giacinto. Sono in camera mia e, benché siamo in uno spazio diverso, tutto è come nella realtà terrena. Non riesco a riconoscere Giacinto, vedo vagamente un gatto diverso da lui; invece riconosco benissimo Miranda che è proprio identica a come compare nella realtà terrena. Ciò mi induce a pensare, mentre sono ancora nel “sogno” (scil.: sveglio nello spazio extra-terreno), che, finché le persone conservano ancora il corpo aggregato, anche nel corpo mentale hanno lo stesso aspetto, ma poi dopo che l’hanno perso si modificano, nel loro aspetto, fino a diventare irriconoscibili.

 

Lo spazio in cui ero mi stava comunicando una certezza: l’immagine della vecchia forma macroscopica, dopo la dissoluzione del corpo aggregato, lentamente svanisce e al suo posto ne compare un’altra. Il mio Giacinto non c’era più, da un po’ di tempo gli spazi mi stavano comunicando la sua tendenza a “svanire”, e al suo posto... Allora non potevo sapere che sei giorni dopo questo incontro, e precisamente il 28 gennaio 2001, a casa di due amici che avevo frequentato saltuariamente si sarebbe verificato un lieto evento: una cestata di minuscoli gattini appena nati. Io non ne venni a conoscenza che il 22 febbraio successivo, per caso; nel frattempo Giacinto comparve un’ultima volta, il 15 febbraio, nel seguente modo:

 

Breve visione con Giacinto, dopo una mia ricerca di contatto: ci sono due gatti simili, uno non è Giacinto, è più grosso e più scuro, ma la tonalità del pelo è molto simile. L’altro è proprio Giacinto, ma perdo subito il contatto. Tutto si svolge in una casa sconosciuta, io sono all’interno e chiamo il gatto, loro entrano dall’esterno, siamo a piano terreno. Anche Giacinto aveva una tonalità più scura di pelo rispetto a quando aveva il corpo aggregato, e non riesco a vederlo bene, qualcosa mi dice che è lui ma è difficile riconoscerlo.

 

Chissà chi era l’accompagnatore di Giacinto? Un altro gatto o un angelo? Forse l’angelo della specie o del sottogruppo “gatti grigi”, oppure il suo “duale” di prima? Comunque, quando ricevetti questa visita la sua anima era già tornata ad aggregarsi a un nuovo corpo di terra, e per ciò il suo aspetto era cambiato e mi risultava difficile da riconoscere; ma questo io potei saperlo solo molto più tardi, grazie ai messaggi in linguaggio onirico contenuti nei sogni, che avevo diligentemente registrato (facevo così dal 1991) con anche i numeri del giorno, mese e anno in cui li avevo ricevuti. Solo grazie a questa mia diligenza potei essere certo che uno dei gattini di quella cucciolata del 28 gennaio, proprio quello che avevo poi adottato io, aveva il medesimo spirito di Giacinto. Torniamo dunque a parlare di reincarnazione: devo approfondire questo argomento completando anche la serie della visioni che mi avevano parlato di Giacinto tra la morte del suo corpo terreno e il suo ritorno in un nuovo aggregato, poi narrerò di come ho fatto a riconoscerlo nel nuovo corpo di terra e di come lui è riuscito a ritrovarmi... Sarà questa la materia dei prossimi libri.


NOTE AL LIBRO IV.

 

Nota 1: è interessante notare che nello stato di coscienza cosiddetto di veglia, quando cioè siamo in balia del nostro sistema nervoso e imprigionati in un corpo aggregato, una gran parte dei contenuti della nostra coscienza sono da essa ricevuti passivamente (li chiamiamo “medianici”, come si ricorderà) e non sono prodotti attivamente e consapevolmente da noi; così dicasi per esempio di quei sentimenti di perturbamento o paura che si provano davanti a fenomeni soprannaturali: l’anima, da sé, non li giudicherebbe pericolosi, ma il sistema nervoso vuole tenerci lontani da esperienze che potrebbero aiutarci a capire qual è la vera realtà e a liberarci da quella falsa, creata da lui stesso e dove egli vuole tenerci imprigionati più a lungo possibile, e per questo lancia un segnale d’allarme ogni volta che ci capita di assistere a qualcosa che esca dalle sue rappresentazioni e dai meccanicismi consueti del mondo terreno. E’ un argomento che metterà conto affrontare in sede monografica, per ora spero sia ormai chiaro che l’uomo, finché è vivo nel corpo aggregato, ha una mente duale, che siamo esseri a due teste; e attenzione che il nostro duale, o sistema nervoso, che dir si voglia, la mente cioè da cui provengono i contenuti medianici della nostra anima, non è affatto un “inconscio” soggetto a leggi naturali inderogabili e fuori dal nostro controllo, dove vanno a finire pensieri e sentimenti “rimossi” per poi tornare e divenire sintomi, come assurdamente pensa la psicoanalisi, ma è un’altra coscienza, intelligente e astuta più di noi, è un demone della Natura, che ha intenzioni molto precise nei nostri confronti, ma con il quale è possibile instaurare un dialogo su basi di parità per ottenerne rispetto. Inoltre, è sempre possibile, con un po’ di attenzione, distinguere un pensiero, un desiderio o un sentimento prodotto consapevolmente dalla nostra coscienza individuale da un contenuto che le provenga da altrove, questo è un esercizio che consiglio a tutti: un po’ di introspezione, un po’ di ordine interiore; non scappate sempre da voi stessi, tanto non ci riuscireste comunque.

 

Nota 2: il Lettore ricorderà, se ha letto con attenzione lo scritto principale, che nei veri mondi una coscienza angelica si manifesta come elemento liquido e cristallino che riflette la luce del sole, un lago, e che queste immagini significano la coscienza, la capacità riflessiva dell’essere, che appunto riflette le idee dell’intelletto, simbolizzate dalla luce perché esse sono ciò per mezzo di cui l’essere vede sé stesso. Si ricorderà anche che per essere in uno spazio, dentro a un mondo, è sufficiente che l’angelo che immagina tale spazio insieme con i suoi contenuti, comunichi alla nostra coscienza le immagini da lui prodotte, che sono lo spazio e gli oggetti visibili in quel mondo, segnalando anche tale comunicazione con la presenza di un’immagine della nostra coscienza, riflessa dentro al proprio spazio; in questo modo saremmo in quello spazio, cioè ci sarebbe il nostro corpo, mentre, ovviamente, come già più volte dicemmo, la nostra anima non è in nessun luogo perché non è immagine ma essere, ed è potenzialmente ovunque. Dunque chiamando il “lago di Giacinto” intendevo mettermi in contatto con l’angelo che in quel momento comunicava i contenuti della propria immaginazione alla coscienza di Giacinto, ne segnalava la presenza nel suo spazio con un’immagine, un corpo di pensiero, e che dunque era il mondo entro cui in quel momento si trovava Giacinto.

 

Nota 3: anche l’immagine della forma macroscopica è un vero corpo, naturalmente, perché è un’immagine e noi abbiamo stabilito di chiamare corpi tutte le immagini, come si ricorderà dal libro I de Il fondamento della ricerca, §1.9 e segg., mentre l’aggregato di atomi a cui la forma macroscopica è sovrapposta non è un vero corpo ma un insieme di numerosissimi corpi microscopici, come già più volte dicemmo. Ma se la forma macroscopica, con tutte le sue immagini riflesse ovunque, è un oggetto vero e un vero corpo, comunque, essa non è il mio corpo, perché essa contiene caratteristiche che non esprimono nulla della mia anima, e sono state affastellate insieme casualmente, o meglio applicando le leggi fintamente meccanicistiche dell’ereditarietà genetica, dai demoni che appunto si occupano di costruire nel primo spazio (quello che, come dicemmo, contiene gli atomi, mentre il mio sistema nervoso è il secondo spazio che serve per creare il mondo della mia esperienza terrena, come si ricorderà) gli aggregati di atomi che fungono per noi da corpi fisici secondo tali leggi, fingendo che siano leggi naturali meccaniche, mentre sono loro artifici congegnati per ingannarci, per farci credere che il nostro modo di essere dipenda dalla discendenza biologica. Le caratteristiche che sono confluite nel mio corpo fisico non appartenevano ai miei veri antenati, che sono le precedenti personalità che ha rivestito il mio spirito, né ai miei veri genitori, che sono le idee e i pensieri mediante cui ho formato la mia anima, ma a quei corpi fisici da cui fittiziamente le intelligenze della Natura han fatto derivare il mio per simulare una nascita che non è realmente tale, e una linea di discendenza, una parentela, che non è realmente tale. Per questo dico che il mio corpo mentale è il mio vero corpo, mentre quello fisico, o la sua forma macroscopica, benché anch’essa sia un pensiero, non lo è.

 

Nota 4: poiché a ogni nome corrisponde un concetto, il termine “nome” è sinonimo di “concetto”; i nomi di blasfemia, cioè quelli che insultano Dio, sono i concetti errati sull’essere, sul bene e sul divino. Tutti i concetti della teologia cattolica, e cristiana in generale, sono nomi di blasfemia, tutte le loro invocazioni, oltre che atti di ripugnante piaggeria, sono anche bestemmie. Infatti, nel versetto 17,3 dell’Apocalisse di Giovanni è scritto che la “bestia scarlatta” simbolo del clero, poiché lo scarlatto allude alla porpora ereditata dagli imperatori romani, con la quale si agghindano gli alti prelati della Chiesa di Roma, è ricoperta di nomi di blasfemia.

 

Nota 5: come il Lettore, o la Lettrice, vedrà se mi segue, io mi sono poi impegnato solo a ritrovare l’anima di Giacinto, pur consapevole che deve esserci un sistema per riavere indietro anche le immagini della nostra vita passata, che sono sicuramente registrate nella memoria della Terra, del nostro sistema nervoso, o insomma dell’essere, e che bisogna solo trovare il modo di accedervi perché esse possano tornare visibili nella nostra coscienza. Ma questa seconda ricerca è stata da me accantonata e rimandata, per il momento, perché non posso occuparmi di tutto, sono solo e non ho aiuto, e sono anche molto stanco. Per ora preferisco dedicare le mie ultime energie alla lotta contro i pensieri errati della cultura umana studiando la storia e la storia della filosofia che evadere dal campo di esperienza del male per rifugiarmi in altri mondi. Ma avrei urgente bisogno di qualcuno che mi aiuti, in quest’impresa -e approfitto qui per lanciare un appello: scrivetemi, per favore e prestatemi aiuto- perché la messe è molta, ma gli operai sono pochi, anzi finora, che io sappia, compreso me, di operai ce n’è uno solo.

 

Nota 6: la cosa più difficile da comprendere in questa come in altre visioni è il significato di tale luce azzurrina, che, come dissi, appare più di consueto quando sono sveglio nel mondo terreno, ma non sembra avere alcuna utilità (ne parlerò anche oltre); poiché qui, nonostante io fossi altrove, ho ricevuto medianicamente un senso di perturbamento, si potrebbe presumere che, questa volta, io non fossi del tutto libero dal mio sistema nervoso, ma che egli mi avesse seguito durante l’incontro con l’animaletto marrone e che continuasse dunque a controllarmi, sicché ho pensato che la luce azzurrina sia una sua manifestazione, l’immagine di qualche sua attività; il fatto poi che il porcellino avesse influito sulla forma della luminescenza azzurrina, inducendola a trasformarsi in un fiore e a muoversi in una danza, mi fa pensare che il mio demone avesse qualche motivo per rallegrarsi dell’incontro con quella bestiola.


LIBRO V.

 

 

 

 

 

GIACINTO IN ALTRE FORME. E ORA DOVE ANDRA’? ALTRI FENOMENI.


LIBRO V.

 

INDICE DEGLI ARGOMENTI.

 

Un sogno mi rivela che Miranda è la reincarnazione di una gatto con cui già in passato avevo avuto a che fare, è un esempio di come i sogni ti rivelano le cose nascoste(5.1-5.2).

 

Giacinto è anche un cane collie, o almeno ha tentato di esserlo: due visioni e un sogno su questo argomento(5.3-5.4). Il povero Agis è angosciato perché Giacinto gli ha comunicato attraverso visioni e sogni di voler andare a fare esperienze altrove(5.5), però mi dà anche segni di affetto(5.5-5.6).

 

Due visioni che servono a rammentarmi la distinzione tra spirito e forma macroscopica(5.7). I mondi cominciano ad ascoltarmi(5.7, in fondo). Richiamo dei mondi per la mia disattenzione, devo distaccarmi da una pretesa assurda(5.8).

 

Continua l’elenco di fenomeni che avevo iniziato sopra, al §2.8 e che avevo interrotto al 24 maggio(5.9-5.14). Racconto due esperienze con quell’incomprensibile luminescenza azzurrina, che forse ha qualcosa a che vedere con la morte(5.11-5.12).


5.1.A proposito di reincarnazione, nel frattempo avevo fatto una scoperta. Prestando attenzione ai sogni, avevo potuto ricevere e comprendere il seguente messaggio, che risale al 9 luglio 2000:

 

...Ero con Giacinto e un altro gatto; Giacinto si rotola a terra intollerante del guinzaglio; ma è opportuno tenerlo al guinzaglio per evitare pericoli. Ho in braccio un altro gatto che infine si rivela il “Pitocchino”: è come se avesse cambiato aspetto per rivelare la sua passata incarnazione (...). Giacinto ha qualche problema, ha su un occhio una strana macchia rossa che sembra il colore di una brace ardente.

 

Questo era un messaggio, non un vero e proprio incontro, perché non ero cosciente di essere “fuori dal corpo” durante questa scena, ed essa mi narrava nel linguaggio dei sogni una situazione della mia vita terrena, già da me vissuta nel recente passato, che già conoscevo dunque, salvo che il messaggio aggiungeva un particolare interessante del quale altrimenti non sarei mai potuto venire a conoscenza. La scena del sogno descrive la situazione tra l’ottobre del 1999 e il gennaio 2000, il breve periodo cioè in cui i miei due gatti avevano fatto parte insieme della mia vita, i pochi mesi tra l’arrivo di Miranda e la morte di Giacinto. Infatti, in quel periodo, soprattutto dopo aver saputo che Giacinto era positivo alla FIV, avevo dovuto restringere il raggio della sua azione (il guinzaglio significa questo) evitando di farlo scendere in cortile: i pericoli erano che contagiasse altri gatti oppure che si imboscasse da qualche parte, per istinto, sentendosi male e io non lo trovassi più e lui morisse da solo. La macchia rossa bruciante descrive perfettamente la congiuntivite da cui era stato colpito, uno dei sintomi d’esordio del male. Il momento in cui si rotola a pancia in su è quello della sua morte, perché cambiando posizione sposta lo sguardo verso il cielo, il che simboleggia il cambiamento di spazio, da quello terreno a quello nuovo celeste (cfr. anche supra, §2.3). L’altro gatto, che nel sogno tengo in braccio saldamente (è con me per restare a lungo) doveva essere Miranda, ovviamente; ma il sogno mi comunica che questa nuova gattina arrivata così fortunosamente in casa mia dopo essere stata abbandonata su una superstrada e dopo essere passata più volte di mano in mano, altri non era che una mia vecchia conoscenza: il povero “Pitocchino” disgraziato! Era questo un gatto assai sfortunato, che avevo trovato nel 1993 ridotto a uno straccio, dentro al cortile sudicio di una casa popolare; l’avevo poi fatto curare da un veterinario, ma non potevo tenerlo con me insieme a Giacinto, che era gelosissimo e feroce contro di lui, e anche perché allora in casa mia c’era ancora mio padre, il quale aveva fatto capire che non gradiva l’intruso con una delle sue formidabili crisi di malumore taciturno. Riuscii però a inserirlo in una famigliola di gatti che si era formata nei dintorni della nostra casa sul lago...

5.2.Le vicissitudini del povero “Pitocchino”, gatto scartato, abbandonato, perseguitato (per questo mi venne da dargli quel soprannome) sono molto istruttive per capire come funziona questo campo di esperienza del male, la vita terrena, e soprattutto il “principio dell’esca”, e dunque narrerò la sua vicenda per esteso in uno scritto futuro. Qui basti aver notato come si possono utilizzare, a volte, i sogni per vedere l’occulto. Avevo già sospettato che Miranda fosse il  “Pitocchino”, per via di alcuni messaggi onirici precedenti, anche se ancora non potevo esserne sicuro (vedi infra, epilogo, §4/b); trovai poi molti altri sogni che mi confermavano l’identità tra lo spirito che era stato nel “Pitocchino” e quello che ora era aggregato al corpo di Miranda, ma non posso citarli tutti in questa sede, perché andremmo fuori dall’argomento fondamentale. Ne cito solo uno, che mi serve anche per intavolare un nuovo tema: se si vuol trovare un sogno del passato che ci informi su un certo avvenimento, bisogna consultare quei messaggi onirici che ci siano stati comunicati in una data, le cui cifre, sommate insieme, diano la stessa somma ottenuta sommando le cifre della data dell’avvenimento in questione(1). Per esempio, quando capii che Miranda era il nuovo “Pitocchino” sommai le cifre della data del suo arrivo in casa mia (19 ottobre 1999: 1+9=10 e cioè 1, perché 1+0 fa sempre 1; 1 anche per il mese di ottobre, che è 10, cioè 1+0, e 1 per l’anno, perché 1+9+9+9=28 e cioè 2+8=1, sicché la cifra ottenuta dai numeri di tale data è 1+1+1=3) e poi andai a cercare i sogni pervenuti in date con cifre della stessa somma. Registrato sotto la data 1° febbraio 1998 (1+2+9=12 e 1+2=3) trovai il messaggio seguente:

 

Qualcosa di triste con “Pitocchino”: sto mangiando qualcosa cucinato da un uomo a me sconosciuto, lo trovo buono, ma dentro ci sono degli occhi. Sono gli occhi del “Pitocchino”.

 

Gli occhi, poiché l’anima è coscienza che vede sé stessa, simboleggiano l’anima, lo spirito; e mangiare, cioè saziarsi di qualcosa, significa saziarsi per la compagnia e l’affetto di qualcuno. Ciò che mi saziò a partire da quella data fu la compagnia e l’affetto di Miranda, un “piatto” gustoso, nonostante le sue tristi vicende, “cucinato da uno sconosciuto”, cioè dal demone della specie gatto e dalle altre forze della Natura che si tengono nascoste e ci sono sconosciute, quelle che avevano lavorato per aggregare il suo nuovo corpo. Dunque questo sogno mi confermava che nella piccola micetta che ora mi faceva compagnia era tornato lo spirito di Pitocchino. Di sua iniziativa quel povero gatto sfortunato mi aveva cercato per poter vivere un arco di tempo con me, ed era riuscito a trovarmi.

5.3.E così, essendo abbondantemente preparato alla faccenda delle reincarnazioni, non mi trovai troppo smarrito di fronte a quelle visioni che mi presentavano Giacinto in altre forme, come quella di delfino (cfr. supra, §4.4), o quelle che vengo ora a narrare. Oltre a essere stato Nolan, il nostro cane dalmata, tra il 1970 e il 1982, in qualche punto del tempo che non saprei individuare Giacinto deve essere stato anche un altro cane, un collie dal muso aguzzo e forse anche un bassotto. Seppi questo per via di due visioni, una del 10 e l’altra del 23 novembre 2000. La prima è la seguente:

 

In una casa sconosciuta, vedo Giacinto seduto sul pavimento, sul limite di una porta tra una stanza e l’altra. Gli dico: “come sei bello!” Lo vedo bene, il suo bel colore... Sono sveglio “fuori dal corpo” e sono perfettamente consapevole di stare vedendo il mio gatto che è morto ed ora è in spirito. Solo che Giacinto si trasforma in qualcosa di diverso: il suo pelo diventa come a rigoline grigie e beige, poi vedo che ha un musetto di cane pastore collie. La cosa mi inquieta assai...

 

Quello del 23 fu un breve incontro, in cui vidi me stesso mentre stavo dando da mangiare a Giacinto (egli voleva comunicarmi così che ancora si saziava del mio affetto, evidentemente), ma, come nella precedente visione, egli non aveva più il suo aspetto, il suo bel colore grigio argentato, ma presentava un pelo misto con il colore fulvo del cane collie: era come se avesse una livrea a rigoline grigie e beige. Alla fine del primo incontro, Giacinto se ne andò dopo avermi mostrato questo strano aspetto misto tra la sua bella livrea grigia, che mi era familiare, e il colore beige del cane collie, infastidito dal fatto che io stavo litigando con qualcuno, la cui immagine era presente nello stesso spazio e che appariva come un bambino. Forse era il suo stesso spirito: infatti i veri bambini sono quelle anime che non sono ancora diventate umane, e cioè non sono ancora entrate nel campo di esperienza del male, mentre i bambini umani sembrano solo tali, per l’aspetto del loro corpo aggregato che è solo una maschera, e in realtà sono anime involute e quindi vecchie. C’era un dissidio fra me e lui? Era in disaccordo coi miei pensieri, che tendevano a trattenerlo nello stato disaggregato e chiedevano insistentemente che egli conservasse più a lungo possibile la sua forma di gatto argentato, quella a cui io mi ero affezionato tanto?

5.4.Evidentemente sì. Già il 26 agosto mi aveva avvisato di questa sua identità di cane col muso aguzzo, ma mi era sembrato un bassotto in quell’occasione: forse un’altra incarnazione ancora? o era una mia interpretazione e in realtà si trattava del muso aguzzo del collie? Comunque, non fa molta differenza, l’importante è che Giacinto mi stava informando della possibilità di cambiare aggregato, personalità, e di iniziare altrove nuove vite e nuove esperienze. E in quella visione del 26 agosto mi avvisava anche, con mio dispiacere, che desiderava uscire dalla mia vita. Ecco come si svolse la visione:

 

Corridoio di casa, ma in un altro spazio; guardo Miranda, dico che voglio vedere anche Giacinto, e infatti lo vedo, sono sicuro che è lui, è grigio com’era nella realtà terrena. C’è solo una cosa strana: mi sembra che abbia un muso aguzzo, come quello di un cane bassotto, la cosa mi spiace assai. Giacinto è come rincantucciato contro la porta d’ingresso della casa, e cioè ho l’impressione che sentendosi cercato si sia diretto alla porta d’uscita per scappare, per non farsi trovare.

 

Ma se si fosse reincarnato altrove, l’avrei perso per sempre! Ero preoccupatissimo e gli mandavo continuamente pensieri, richiami, preghiere che non mi lasciasse. E mi preoccupai ancora di più dopo aver trovato fra le mie registrazioni stenografiche un sogno che parlava del cane collie, risalente al 14 marzo precedente, che me lo mostrava mal messo e maltrattato:

 

Un sogno assai penoso con dei gatti, in un luogo che somiglia vagamente a Segrate (scil.: dove avevamo abitato negli anni ottanta), ma sconosciuto, mentre nel sogno è sottinteso che invece dovrebbe essermi familiare, vedo un gatto grigio mal messo che potrebbe essere un discendente di Giacinto visto che ha il pelo grigio simile al suo, anche se arruffato e opaco; quando lo guardo sul muso vedo che è così mal messo da avere la punta del naso rotta; ha uno strano muso allungato, come quello di un cane collie, di cui l’ultimo pezzo penzolante e staccato, mi fa molta impressione.

 

Povero Giacinto, e povero me! Questo sogno mi informava che Giacinto aveva tentato di reincarnarsi in un cane collie, ma aveva subito già nella primissima parte della sua nuova vita maltrattamenti terribili e, anzi, forse era anche stato ucciso. Nel simbolismo onirico un nostro discendente significa una nostra futura incarnazione, perché è come se il nostro spirito generasse dei discendenti nelle sue nuove personalità, e questo “discendente” di Giacinto aveva sofferto spiritualmente, visto che il suo spirito, simboleggiato dalla sua vecchia forma, che appunto era rimasta registrata nel suo spirito, presentava un pelo opaco e arruffato; mentre il muso rotto mi fa pensare che gli abbiano inflitto sofferenze fisiche, nel nuovo corpo aggregato, fino forse ad ucciderlo. E questo doveva essere accaduto quando ancora era un cucciolo appena nato, perché il naso, che in un cane o in un gatto è l’inizio del corpo, significa appunto l’inizio della vita, mentre la coda, che è l’ultima parte del corpo, significa l’ultima parte della vita, come ho potuto constatare in altri sogni. Giacinto doveva essere stato un cucciolo collie maltrattato e precocemente soppresso.

5.5.Figuriamoci il povero Agis, com’era agitato e addolorato: di me non gl’importa più nulla, pensai, chissà dove andrà? si perderà per il mondo, e che altro gli succederà? Il 13 ottobre mi era arrivato anche un chiaro messaggio onirico, contemporaneamente ad altri due sogni: uno di essi mi narrava della sua prossima incarnazione (vedi oltre, §8.6) e l’altro era un lungo racconto della sua malattia, culminante nella decisione di “tornare a terra dalla riva di un lago che si era gradatamente riempito di sporcizia”, ossia di tornare nel vero mondo, morire, uscendo dallo spazio del suo sistema nervoso, il suo doppio, che è un angelo ed essendo una coscienza può essere rappresentato nei sogni da uno specchio d’acqua, e questo perché nel suo organismo si erano gradatamente introdotte molte infezioni a causa della sua sindrome da immunodeficienza; in tale sogno “io”, e cioè Giacinto, perché era lui che parlava in prima persona entro quel messaggio onirico(2), “stavo camminando senza scarpe”, ossia privo della protezione di un sistema immunitario. Ebbene, dopo questi due sogni preliminari, c’era il seguente episodio:

 

Me ne ero andato in giro per i fatti miei, ma i miei familiari mi fanno rintracciare dalla polizia (...). Ma mi chiedo che vogliono, non sono maggiorenne? non posso andare dove mi pare? Che fastidio!

 

Giacinto, insomma, era infastidito dalle mie meditazioni e dai miei richiami e voleva potersi dimenticare di me per andare altrove. Riuscii a dissuaderlo, però, perché evidentemente se da un lato tutto questo mio interesse per lui lo infastidiva, dall’altro deve averlo commosso: in due brevi visioni, una del 3 luglio e l’altra dell’11 settembre, mi seppe comunicare che sentiva il mio affetto e che desiderava io fossi con lui. Nella prima lo vidi “quieto, accucciato sopra un termosifone analogo a quello della nostra cucina”, cioè mi mostrò che sentiva il mio calore; la seconda mi portò in uno spazio a me estraneo, ed ivi ecco che cosa accadde:

 

...Giacinto mi ha fatto cenno indicando col suo nasino il mio braccio, come faceva da vivo quando voleva “fare la pasta” (si tratta di un movimento caratteristico dei gatti quando vogliono dimostrare affetto, è una specie di massaggio con le zampe anteriori); io, dopo una lieve esitazione, gli ho teso il braccio e ho lasciato che afferrasse coi denti la mia manica: mi sono riscosso con un po’ di stupore nel momento in cui Giacinto mimava un energico rapporto sessuale col mio braccio.

 

Non si scandalizzi il Lettore, o la Lettrice: era un simbolo e non uno di quei rapporti “contro natura” che inquietano i Cattolici, convinti che le leggi della Natura siano volontà divina, quando sono invece inganni satanici. Nel linguaggio simbolico, copulare e dunque concepire una nuova vita significa apprestarsi a morire, perché quando ti liberi dal corpo terreno concepisci un nuovo te stesso in forma disaggregata e inizi una nuova vita in uno dei mondi spirituali. Giacinto stava semplicemente dicendo: perché non muori anche tu?

5.6.E’ poi accaduta un’altra piccola cosa degna di nota, almeno per coloro che hanno il cuore gentile e notano anche le cose piccole, se si tratta di amore: alla fine di un sogno da me ricevuto la mattina del 2 ottobre, dove appariva Giacinto e che mi raccontava della sua prossima incarnazione, quella di ritorno da me (vedi oltre, §8.9), l’attore principale del sogno, che questa volta doveva essere -evidentemente- Giacinto stesso, si fermò un attimo in più e, fuori dal messaggio onirico, mi premette il nasino contro il mento (il mento del mio “corpo del sogno(3)”, ovviamente) come per stamparmi uno dei suoi piccoli baci. Faceva così quando era vivo: aveva imparato da micetto a “farmi il bacino” e lo usava continuamente come segno d’affetto. Avevo tutti i pantaloni strappati all’altezza del ginocchio, perché ogni volta che tornavo a casa lui infilava lì le unghie e mi dava uno strattone come per dire: “abbassati, che ti do il bacino”; io piegavo le ginocchia e lui premeva il suo nasino contro il mio mento, ed esattamente così fece anche alla fine del sogno del 2 ottobre. Era già venuto a ridarmi il bacino, però, in una visione del 16 settembre, il giorno del mio quarantesimo compleanno. Quella mattina, in mezzo a un elenco di sogni comuni, annotai:

 

Ho rivisto Giacinto, c’era anche Miranda con me; è notte e siamo sul mio letto, ma riflesso in un altro spazio, ero già fuori dal consueto spazio terreno quando l’ho rivisto; commento con entusiasmo che ora posso vederlo, è proprio lui, posso rivederlo... So di stare guardando con l’occhio spirituale. Lui fa cenno che vuole darmi il bacino, come faceva quando era ancora vivo, e io, dopo qualche esitazione, gli porgo il mento e lui me lo dà, sento il suo nasino fresco contro la mia bocca. Poi scompare, o meglio: io non lo tengo lì per forza, rilasso il mio sguardo e lui torna invisibile, mi è bastato questo contatto. Con me resta Miranda.

 

5.7.Insomma, nonostante la sua voglia di emanciparsi da me e di fare esperienze altrove, alla fine si rese conto di quanti sforzi stavo facendo per ritrovarlo e di quante pene e difficoltà stavo attraversando, di come mi angosciassi, per esempio, di fronte a visioni non del tutto chiare o a fenomeni ambigui. Erano infatti continuate le visioni istantanee e un po’ tormentose, e i fenomeni di altro tipo di cui ho già parlato sopra. Per esempio, nel mese di aprile era accaduto due volte, il 9 e il 25, che io vedessi il suo corpo grigio argentato, per un breve istante, ma tali visioni mi avevano lasciato perplesso, perché erano incomplete. Il 9 aprile scrissi:

 

...tentativo di vedere Giacinto in stato disincarnato. Alla fine, dopo una scena vaga, riesco a vederlo con precisione, riesco anche a toccargli la coda, proprio l’estremità, l’ultimo pezzetto... Ma non vedo il muso, vedo bene il corpo e soprattutto la sua coda lunga ed elegante...

 

e il 25 dello stesso mese scrissi, invece:

 

In una casa sconosciuta, sono entrato perché so che lì c’è Giacinto, c’è dentro anche mia madre (scil.: il mio angelo) alla quale chiedo se è sicura che Giacinto sia lì; in effetti, siamo sicuri che è lì, ma non riesco a vederlo; ci sono dei corridoi ad angolo retto intorno a varie stanze, la casa è piuttosto ampia. I corridoi sono arredati con delle belle librerie, che suscitano la mia approvazione: non è spazio sprecato quello dei corridoi, se servono per tenere tanti libri. C’è anche una servetta nera in questo spazio, ma non riesco a rivedere Giacinto, mi “sveglio” (scil.: torno nello spazio terreno) nel tentativo di vederlo, e forse proprio nel momento del risveglio avevo visto il suo pelo grigio, non la testa, ma il corpo.

 

Credo che questi spazi, facendomi vedere solo il corpo senza la testa, volessero comunicarmi la distinzione tra anima (la testa) e forma macroscopica (il corpo), della quale già parlammo abbondantemente. Dunque in questi due casi non ho visto Giacinto, ma solo la forma macroscopica del suo corpo terreno, ovverosia l’immagine di un complesso di pensieri prodotta dalla mente di un angelo. Il 30 dello stesso mese, cioè aprile, uno dei mondi mi ospitò nella sua immaginazione: il suo spazio mi donò un riflesso, sicché io vidi me stesso mentre mi recavo in un luogo ignoto, angosciato e disperato perché non trovavo più Giacinto: “grido assai”, scrissi nel resoconto stenografico di quel viaggio, “grido a gran voce tutto il mio dolore”. Il messaggio era: ti abbiamo sentito, la tua voce è potente e arriva fino a noi.

5.8.In una visione del 10 agosto, parimenti incompleta (“vedo chiaramente il suo pelo grigio, ma non la testa, solo il corpo; si sta nascondendo sotto qualcosa?”) sono anche stato rimproverato perché disattento: “...riguardava il fatto che non gli prestavo abbastanza attenzione”, scrissi allora di quella visione con Giacinto, “solo all’ultimo focalizzo il pensiero sul fatto che lui c’è e ha bisogno di qualcosa...”. C’è ma è nascosto, dallo spazio terreno, evidentemente, che mi impedisce di vedere la sua anima, o meglio il suo corpo simbolico; e io devo distinguere tra lui, la sua coscienza, e la sua forma macroscopica... E’ di questo che ha bisogno? che io comprenda che quella non è la sua vera forma e che dovrà cambiare di personalità? Credo proprio che sia così, perché io ero allora tenacemente legato a quel composto di anima e corpo terreno di specie felina, bello, argentato, sinuoso; e stavo cercando non altro che il mio gatto, pretendevo che nel post mortem rimanesse identico a com’era prima indefinitamente, pretendevo sempre di ritrovare la sua anima riflessa nella stessa forma. Faccio ancora fatica a liberarmi da questo desiderio. Ma i mondi non ti perdonano alcuna disattenzione, non ti concedono una benché minima debolezza.

5.9.Inoltre, anche dopo l’incontro del 24 maggio (cfr. supra, §4.1), continuò la serie di percezioni non visive di cui ho parlato sopra. Già la notte prima, il 23 maggio, mentre meditavo sul rivedere Giacinto, avevo sentito un gatto saltare sul mio letto e camminare sopra le mie gambe, e non poteva essere Miranda, perché l’avevo chiusa fuori dalla stanza poco prima; infatti la gattina, essendo ancora cucciola, non stava un momento ferma e non mi lasciava tranquillo. In quell’occasione Giacinto, se era lui, aveva tentato di dirmi qualcosa facendo dei giri sopra di me, ma non ho capito che cosa questo significasse(4). Per il resto, successivamente a quell’incontro del 24 maggio, continuai a sentire alcuni dei suoi rumori tipici: il 9 luglio, mentre ero seduto alla mia scrivania, ebbi la netta sensazione del suono che facevano le sue unghiette battendo sul marmo del corridoio, quando lui vi passava; durò a lungo. Controllai che non fosse Miranda: infatti non era lei, perché la trovai che dormiva beatamente appollaiata sul suo “alberello”, cioè sull’attaccapanni dello studio. Il 23 luglio udii di nuovo il tipico rumore che faceva schiudendo la bocca e leccandosi il pelo, due volte; anche questa volta controllai che non fosse Miranda. L’8 di ottobre, dopo le 21 circa, udii chiaramente un rumore di croccantini sgranocchiati provenire dalla cucina, mentre io, con Miranda acciambellata su una sedia vicino a me, ero in sala a guardare la TV. Il 14 dello stesso mese, mentre stavo studiando in camera mia, sentii chiaramente il rumore delle sue unghie, come quando se le tirava nella stoffa del mio divano letto, mentre Miranda era acciambellata sul mio tavolo a contatto del mio braccio. Il 14 novembre segnai sull’agenda che per alcuni giorni avevo continuato a udire un altro rumore tipico di Giacinto: quello di quando con la sua zampetta tentava insistentemente e prepotentemente di aprire una delle mie scatole di cartone per la biancheria: ne avevo una pila vicino alla libreria, causa mancanza di un armadio adeguato, e vi ricoveravo le mie camicie e i miei maglioni; Giacinto amava andarci dentro a dormire, e poiché non era facile aprirle, lottava sempre per riuscirci, facendo un putiferio. E’ proprio quel rumore che udii di nuovo in quell’occasione. Il 16 dicembre accadde qualcosa di simile all’esperienza descritta del 23 maggio: di mattina presto, mentre cercavo di riprendere sonno dopo aver chiuso fuori Miranda che saltava da tutte le parti e non mi lasciava dormire, sentii le zampine leggere di un gatto che premevano sulle mie gambe e contemporaneamente un tonfo al cuore, un caratteristico segno del contatto col soprannaturale. Il 4 gennaio dell’anno seguente, il 2001, mentre mi ero assopito sul mio divano-letto, dopo una meditazione, mi riscossi di colpo perché avevo sentito il rumore di un gatto che si tirava le unghie sul bracciolo del medesimo divano dove ero sdraiato: non era Miranda, perché aprii gli occhi e vidi che lì non c’era. La notte del 2 febbraio 2001, mentre ero sveglio con Miranda sulle ginocchia, sentii ripetutamente scricchiolare il cestino di vimini che era stato di Giacinto, e anche la sera prima avevo udito lo stesso rumore: era come quando Giacinto vi entrava e vi si acciambellava; il rumore era chiaro e forte, e durò a lungo, e fu seguito da altri rumori suoi tipici: si mise a scricchiolare più volte anche il bauletto di vimini su cui spesso si sdraiava a dormire, e che era quello dove poi avevo adagiato il suo corpo privo di vita per trasportarlo al luogo della sua sepoltura, poi udii un forte rumore nell’armadio, dove pure entrava spesso e si accucciava, dopo aver spostato rumorosamente ciò che gli impicciava; poi il rumore di un tonfo sul pianoforte, come quando ci saltava sopra...

5.10.Avevo anche avuto, il 28 agosto 2000 (in quest’occasione ero nella nostra casa al lago), la sensazione di un gatto che si sfregasse sulle mie gambe, cosa che si ripeté il 26 marzo successivo, nel 2001; in entrambi i casi Miranda era altrove, ed era altrove, precisamente sopra l’armadio, anche la mattina del 18 marzo 2001, quando di nuovo avevo sentito le zampette di un gatto che si appoggiavano sulla mia coscia sinistra. Inoltre, il 26 marzo 2001 la “visita” di Giacinto era stata accompagnata da un’altra sensazione: un forte formicolio lungo tutta la mia spina dorsale, fino alla testa. Non era una sensazione nuova: era accaduto che, durante delle meditazioni che avevo giudicate infruttuose perché non mi avevano procurato la visione di Giacinto, io avessi però percepito qualcosa sotto forma di energia, come una scossa o un formicolio in qualche parte del corpo. Per esempio, il 3 aprile 2000, mentre meditavo sulla natura del corpo e dello spazio e chiamavo Giacinto, sentii un forte formicolio all’anca sinistra accompagnato dal tipico senso di perturbamento che il nostro sistema nervoso ci comunica quando da svegli nello spazio terreno siamo in presenza di qualcosa di soprannaturale, perturbamento che invece, come già detto, è assente quando siamo altrove, liberi dai condizionamenti del sistema nervoso: ho provato il medesimo senso di scossa elettrica numerosissime volte, senza per questo spaventarmi, trovandomi libero dal corpo aggregato in altri spazi. Il 6 aprile successivo, il fenomeno si ripeté brevemente, accompagnato da una visione incomprensibile(5): vidi un foglio di carta con scritta la data “16 febbraio”. Il 30 aprile 2000 sentii di nuovo il formicolio lungo la gamba sinistra, a partire dall’anca, dopo aver provato la sensazione di un soffio d’aria fresca e pura (questo a Milano è proprio un miracolo) intorno alla mia testa.

5.11.Mi perdoni la Lettrice, o il Lettore, se sono noioso con questo elenco di fenomeni, ma poiché questo non è un romanzo, bensì uno scritto che ha l’ambizione di essere scientifico (nel nostro senso non materialista del termine, ovviamente) vorrei essere completo e non omettere nulla, per quanto posso; sarebbe un imbroglio, infatti, o un errore di metodo, elencare solo i fenomeni chiari e facilmente interpretabili nel quadro della nostra ipotesi, nascondendo quelli più ambigui che possono metterci in difficoltà. Già ho citato come fenomeno poco comprensibile (supra, §2.10) quella luminescenza che mi sta spesso davanti agli occhi, e che si muove e modifica la sua forma quando medito, quando prendo sonno oppure al risveglio, quando osservo qualcosa in penombra, e che compare a volte nelle visioni e persino nei sogni, la quale gli esoteristi, chissà perché, chiamano “luce astrale” o anche “occhio di Shiva”; ebbene, per completezza (qualcuno dice che sono pignolo), anche se non ne ho capito nulla, devo citare anche la sua presenza e i suoi comportamenti. Il 3 aprile 2000, oltre che dalla scossa elettrica intorno all’anca, fui colpito anche da “molte luminescenze azzurrine, e stavolta non a forma di tre occhi o spirale (due delle forme più consuete che assume la luminescenza), bensì come un disco unico con al centro una pupilla”. Il 28 aprile 2000, durante la consueta meditazione, la luminescenza azzurrina si era aperta come un sipario che si squarci e, in un lampo, mi apparvero due occhi felini, ma non gli occhi di Giacinto, sembravano più gli occhi di una pantera. Che fosse lo spirito della specie? Il 9 luglio 2000, cioè il giorno in cui sentii camminare a lungo Giacinto in corridoio, come ho appena detto qui sopra, fu una giornata piena di questi fenomeni: al risveglio, da questo “occhio azzurrino” uscivano strani oggetti di luce; durante la meditazione sentii qualcuno che mi toccava alla base del collo, il che mi provocò una lieve paura e una sensazione stranissima, “che non saprei descrivere” (così nei miei appunti di allora); gli rivolsi il pensiero: “siamo in pace?” e costui, chiunque fosse, se ne andò; tentai di ritrovare il contatto, per chiarimenti, ma non vi riuscii. Già nella notte precedente, la presenza di qualcosa di non meglio identificato mi aveva spaventato un po’.

5.12.Il 13 marzo 2000, durante una meditazione fruttuosa in cui Giacinto era comparso due volte, una da solo e una in compagnia di Miranda, la luce azzurrina si era fatta particolarmente persistente e dentro di essa mi apparve una piccola macchia luminosa a forma di gatto, che si muoveva, seguita da molte altre immagini che però non riuscii a trattenere nella memoria, a parte la prima, quella di una staccionata di legno grezzo ma piuttosto sottile, che probabilmente voleva dirmi: c’è un confine, ma se t’impegni lo puoi demolire. Il 23 giugno successivo, appena chiusi gli occhi per meditare, con mio stupore e sorpresa, al posto della solita luce azzurrina a forma di spirale o di occhio, o di tre occhi, comparve la solita luminescenza, ma stavolta con la forma di una bocca: essa mi mostrava la sua dentatura con intento lievemente minaccioso. Scrissi allora: “cerco di dialogare con il tizio, di capire chi è e che cosa vuole, di dirgli che dobbiamo sederci e parlarne con calma, ma scompare...”. Chissà che diavolo significa(6). L’unica cosa che mi pare di aver capito di questo inconcludente fenomeno della luminescenza azzurrina è che esso è in qualche modo connesso con la morte; infatti mi è capitato due volte, nella mia vita (o forse tre) di sentirmi come se stessi morendo, e in entrambi (il terzo è troppo complicato e ne parlerò altrove) si è presentato il fenomeno in maniera massiccia. La prima volta fu proprio quella mattina del 7 febbraio 2000, quando morì Giacinto: appena lo tirai fuori da sotto il letto in preda alle convulsioni e mi resi conto che non c’era niente da fare, che stava morendo, sentii un dolore al petto, mi mancarono le forze; tenendo Giacinto tra le braccia mi accasciai all’indietro, pensando “ci troveranno qui tutti e due, morti insieme”. Per lunghi secondi davanti alla mia vista comparve quella luminescenza azzurrina, sotto forma di grande occhio, sembrava che stessi vedendo il mio stesso iride dall’interno, e che contemporaneamente questo iride azzurrino, di luce stellare, fosse anche un cancello circolare, come fosse fatto di lamelle “a petalo” in procinto di aprirsi per lasciarmi passare. Non so quanto durò, ma poi comparvero nella mia coscienza due pensieri, rapidamente: il primo riguardava i libri che avevo lasciati aperti sul tavolo la sera prima, e mi diceva che avevo un lavoro da finire, prima di andarmene; il secondo era che, forse, se avessi introdotto qualche cucchiaino di acqua e zucchero nella gola di Giacinto, si sarebbe ripreso. Di fronte a questi due pensieri l’occhio-cancello si ritirò e mi lasciò la vista libera e libertà di movimento; portai, come già dissi sopra, Giacinto sullo sgabello del corridoio e gli versai in gola qualche cucchiaino di acqua e zucchero, che inghiottì; ma poi morì ugualmente. La seconda volta accadde in modo simile, ma fuori dalla vicenda di Giacinto: era il 9 giugno 2001 ed ero in biblioteca a studiare per la mia tesi di laurea. Chissà perché, mi prese un attacco di dolore al petto e di tachicardia, e ricomparve l’occhio-cancello di luce stellare; non chiesi aiuto ai presenti, perché mi immaginai al pronto soccorso del Policlinico, che è adiacente alla biblioteca, intubato su un lettino della sala rianimazione e in procinto di iniziare un calvario fatto di piaghe da decubito e chissà che altro. Aspettai gli eventi fingendo di continuare a studiare, ma quando mi avvidi che si stava avvicinando l’orario di chiusura della biblioteca, preso dal panico (come avrei fatto ad alzarmi e andarmene? Quella specie di stargate copriva completamente il mio campo visivo e io non vedevo quasi più lo spazio terreno, né d’altronde si decideva ad aprirsi per lasciarmi passare risolvendo il problema nel migliore dei modi, e cioè con la mia liberazione), ebbi un moto di collera e ringhiai mentalmente all’indirizzo del mio sistema nervoso: “ma si può sapere che cavolo state facendo? Siete impazziti? Finitela subito!” Il fenomeno cessò immediatamente: il dolore scomparve, il cuore si rimise a battere normalmente, e l’occhio-cancello stellare, o quel che diavolo era, si levò di torno, sicché potei raccogliere le mie cose e uscire con calma, anche se un po’ frastornato, dalla biblioteca.

5.13.Quanto sono fastidiosi questi demoni della Terra! Se penso che i Cattolici li adorano e tributano loro un culto credendoli il Creatore, il Dio onnipotente, il Sommo Bene... Per uscire dall’elenco dei fenomeni completandolo anche con quelli incomprensibili, ambigui o inconcludenti, citerò anche i seguenti: il 25 aprile 2000, durante la notte e dopo la solita meditazione all’indirizzo del “mondo di Giacinto” sentii dei rumori in casa, ma non erano rumori tipici di Giacinto; li ha sentiti anche Miranda, che dormiva con me, la quale nel momento del loro verificarsi ha dato un sobbalzo e s’è messa in ascolto. Ero troppo stanco e un po’ spaventato, e quindi ho ignorato il fenomeno e mi sono messo a dormire. Il 1° maggio, altri rumori privi di significato, stavolta di sera, mentre io, con Miranda sulle ginocchia, guardavo la TV. Si trattò di due piccoli schiocchi provenienti dalla cucina, “era come se un grosso insetto sbattesse contro qualcosa di plastica” annotai allora. Con un lieve senso di perturbamento andai a vedere che cosa poteva aver prodotto tali rumori, ma non trovai nulla. Nell’agosto dello stesso anno, eravamo nella nostra casa al lago e accaddero due cose abbastanza inquietanti: il 9 di quel mese, comparvero delle impronte di gatto sul tavolo nero ovale che teniamo sulla veranda, proprio sotto la finestrella della sala, “una fila che viene verso la finestrella, una che si allontana” annotai puntigliosamente sulla mia agenda. Era la strada che percorreva Giacinto per entrare e uscire da casa mentre noi dormivamo, noi gli lasciavamo la finestrella sempre aperta, di notte, e lui andava e veniva come gli pareva. Ora però, visto che lui non c’era più, lasciavamo chiusa quella finestrella, perché mia madre, essendo più apprensiva di me, teneva in casa la sua gattina durante la notte e le impediva di uscire, sicché Miranda non poteva aver usato quel percorso, che non conosceva neanche; le impronte dovevano essere dell’unico gatto che aveva mai conosciuto e adoperato quel percorso, e cioè Giacinto. Era un suo messaggio, dunque? ma come potevo esserne sicuro? L’altro fenomeno ambiguo accadde il 23 dello stesso mese, alle 9 del mattino: dopo che io avevo pensato intensamente a Giacinto e gli avevo chiesto “perché non ti fai vivo?” mentre ero seduto a quel medesimo tavolo nero ovale della nostra veranda, l’apparecchio televisivo collocato nella sala, proprio dietro alla finestrella di cui sopra, si accese da solo. Il telecomando ci era appoggiato sopra, e dunque non era orientato in modo che ne potesse partire accidentalmente un impulso verso il televisore. Ma che razza di messaggio è mai questo? che c’entra Giacinto col televisore? Non aveva alcun significato.

5.14.Devo qui citare anche quei tentativi di meditazione che non dettero alcun esito, ce ne furono molti in cui non vidi o udii nulla, ma magari finirono in una corroborante dormita; e altre visioni che però non riguardavano Giacinto: il 24 febbraio 2000 vidi mio padre, in aspetto giovanile e allegro, per un istante; il 6 marzo vidi una breve immagine di un attore molto famoso, già morto da tempo; l’8 marzo vidi un gatto, ma non durante una meditazione, bensì di sera, mentre stavo guardando un programma alla TV: Miranda era acciambellata su uno sgabello accanto a me, dunque non poteva essere lei, e io ho visto passare furtivamente un gatto a fianco della poltrona sulla quale ero seduto, ma non aveva l’aspetto di Giacinto, era un gatto soriano più scuro e dal colore più convenzionale, ed era un grosso gattone, non era magro e slanciato come lui. “Ne ho viste bene le orecchie e la nuca”, annotai allora sulla mia agenda, “poteva essere il gatto di Aurora (una mia allieva di yoga di alcuni anni prima, la quale se ne era tornata nella sua patria lasciando qui il suo gatto), era infatti un gatto un po’ robusto...”. Il 22 febbraio avevo visto proprio Giacinto, ma solo per un istante, immobile in posizione accovacciata; e la cosa si ripeté il 1° marzo, al momento del risveglio; ma questa seconda volta poi cambiai spazio e incontrai alcune anime ostili, che si manifestarono come una corrente d’aria priva di un’immagine precisa, e a cui io rivolsi il pensiero: “siamo in pace?” Si placarono un po’ e mi fecero sentire quella scossa di cui ho già parlato, in maniera sgradevole; io tentai di esprimere, non verbalmente ma sotto forma di sentimenti e stati d’animo, la mia tristezza, non solo per il fatto di Giacinto, ma per tutta la mia vita da emarginato, per la mia solitudine, ma rimasi inascoltato. Anzi, la visione fu interrotta da una prudente manovra del mio “duale”, sentii che mi stava riportando rapidamente nel suo spazio, nella sua immaginazione, e cioè nel mondo terreno, perché la cosa si stava facendo pericolosa. Infine, il 25 ottobre ebbi un’altra di queste percezioni istantanee di Giacinto, ma troppo rapida e non ne colsi il significato.


NOTE AL LIBRO V.

 

Nota 1: possiamo chiamare “corrispondente numerico” di un numero un altro numero le cui cifre sommate insieme diano la stessa somma delle cifre del primo numero. Per esempio 16 e 115 sono corrispondenti numerici uno dell’altro perché entrambi hanno come somma delle cifre 7. In genere i sogni attirano la nostra attenzione spostando di poco le cifre, e cioè lasciando una vistosa somiglianza tra la data del messaggio onirico e quella dell’avvenimento a cui si riferisce, tenendo conto che la cifra 9 va letta come 0, perché sommando a un qualsiasi numero la cifra nove, la somma delle sue cifre rimane invariata: 1+2=3; 1+2+9=12 e 1+2 del 12 dà sempre 3. Ad esempio, un sogno del 27 ottobre 1999 profetizzava con precisione la morte di Giacinto, che sarebbe avvenuta il 7 febbraio 2000: le cifre 7 e 2 sono evidenti nel numero del giorno, ed è sufficiente sommare 1+1, e cioè i corrispondenti numerici del mese e dell’anno, per ottenere il 2 che occorre per fare in numero dell’anno, 2000. Il testo di quel sogno era:

 

...stavolta acconsento a portare Giacinto in cortile (=devo rassegnarmi alla sua morte: il “cortile”, che sta fuori dalla casa, visto che la casa simboleggia la vita, è il post mortem, perché il post mortem sta fuori della nostra vita); vedo che la porta del cortile è aperta (=la malattia è mortale, morirà in breve), speriamo che non si perda (=la mia apprensione di non riuscire a ritrovarlo nel post mortem e di perderlo perché reincarnato chissà dove). Giacinto mi sfugge correndo avanti per le scale: io sono sempre più lento a scendere, mentre avrei voluto scendere insieme a lui in modo da poter sempre vedere dov’è; con la porta spalancata in quel modo prenderà invece la fuga e sarà impossibile seguirlo (=avevo sperato che la sua vita durasse molto a lungo, in modo che io potessi sistemare le mie cose nella vita terrena, finire ciò che ho cominciato e tornare nei mondi, cioè morire, a breve distanza da lui. La malattia, simboleggiata dalla porta del cortile spalancata, ha invece fatto sì che il gatto mi sfuggisse senza che io potessi trattenerlo). Insieme c’è anche la gattina nuova, Miranda (era con noi da meno di dieci giorni quando ho ricevuto questo sogno): mia lieve apprensione, ci sarà pericolo anche per lei? (=è sottolineato il pericolo che ha corso Miranda, di essere contagiata dalla FIV. Si noti che abbiamo avuto il primo sospetto della positività di Giacinto alla FIV soltanto il 2 novembre, cioè qualche giorno dopo il presente sogno, e ne abbiamo avuto conferma definitiva solo il 19 novembre, sicché alla data del sogno non potevo temere nulla per Miranda, né d’altronde mi aspettavo che Giacinto morisse così in breve tempo).

 

Nota 2: cfr. quanto detto nel testo principale, L’Essere, l’Anima, i Mondi, §8.2: “l’io stesso del sognatore ...non è che un segno pronunciato da altri, un simbolo che significa qualcos’altro dal sognatore etc.”

 

Nota 3: questa espressione non rimarrà criptica a coloro che abbiano letto attentamente lo scritto principale, dove dicemmo che in ogni spazio un’anima può ottenere un corpo, cioè un’immagine riflessa del suo essere; poiché in quel momento ero nel mondo del sogno, chiamo il corpo che quel mondo mi aveva procurato in sé stesso “corpo del sogno”, ricordando che è un corpo altrettanto reale che quello consueto che mi presta, anzi mi impone, lo spazio terreno. Si noti come in questa e nella successiva visione siano presenti chiaramente anche sensazioni tattili perfettamente identiche a quelle del mondo terreno, ma indipendenti completamente dal suo meccanicismo.

 

Nota 4: si può ipotizzare che i movimenti circolari a me comunicati da quella presenza simboleggiassero il suo essere sulla Terra, poiché solo i mondi fisici si muovono circolarmente secondo orbite, e uno spirito che è nei mondi veri, dunque, è fermo e non si muove in cerchio. Se è così, Giacinto stava dicendomi che sarebbe tornato a incarnarsi e a seguire la Terra nella sua orbita; oppure che già, contestualmente a questa sua manifestazione, era sulla Terra. Sarà stato quello il momento della sua brevissima incarnazione nel cane collie?

 

Nota 5: anche qui posso avanzare un’ipotesi, che cioè i mondi mi stessero suggerendo di prestare molta attenzione alle date, e in particolare ai corrispondenti numerici della data di morte di Giacinto, che è avvenuta, come si ricorderà, il 7 febbraio, sicché la data da me letta su foglietto della visione, 16 febbraio, era un suo corrispondente numerico.

 

Nota 6: l’unica ipotesi che mi viene in mente per questi fenomeni connessi a una lieve sensazione di minaccia, e con la luce azzurra, visto che essa, come dirò di seguito nel testo, è connessa con la morte, è che il mio sistema nervoso mi stesse suggerendo che il comportamento da me tenuto rischiava di convincere i mondi che fosse il momento di portarmi via dalla Terra, e cioè di farmi morire; del che, per altro non mi sarei molto spaventato. Si può pensare un intento del genere per la sensazione di essere toccato alla base del collo, perché lì c’è l’unione della testa col corpo, che simboleggia l’unione dello spirito con il corpo aggregato, cioè chi mi stava minacciando in quel momento voleva dire che rischiavo di dovermi separare dal corpo terreno; ugualmente la visione della luce azzurrina a forma di bocca, che mi mostra i denti in tono minaccioso, perché nel simbolismo onirico a mangiare qualcosa è spesso la morte che si porta via qualcuno distruggendone il corpo aggregato. Comunque, se erano minacce, non hanno sortito alcun effetto visto che io ho continuato le mie ricerche imperterrito.


LIBRO VI.

 

 

 

 

 

L’UFFICIO DEL SUD.


LIBRO VI.

 

INDICE DEGLI ARGOMENTI.

 

Ricapitolazione rapida delle dimostrazioni logiche della realtà di tutto ciò che si vede o percepisce in qualunque stato di coscienza(6.1); se un’immagine è incomprensibile, è comunque reale e non si può far altro che riflettere con serietà per arrivare al suo significato: un esempio di immagini di difficile interpretazione e un’ipotesi su di esse, la comparsa di attori famosi, il cui significato, per altro, mi era già stato suggerito parecchi anni prima(6.1-6.2).

 

Polemica contro chi usa malamente dei presunti poteri, che invece altro non sono che comuni percezioni del mondo spirituale(6.2). Prendo le distanze dalle pratiche di meditazione irrazionali: ciò che io faccio è parlare razionalmente coi mondi, e comprenderne razionalmente le risposte(6.3).

 

La visione dell’”Ufficio del Sud”(6.4-6.6). Per spiegare i segni del linguaggio complesso di questa visione ho bisogno di portare degli esempi: il simbolo di “stare nascosti sotto a un tavolo”(6.4) e quello del “bar” e del “caffè”, che compariva anche nel linguaggio strano di mio padre in agonia(6.5); spiegazione del simbolo del “Nord” e del “Sud” e di quello della “fredda burocrazia”(6.6).

 

Devo prendere atto che Giacinto ha intenzione di reincarnarsi: due visioni su questo, e nella seconda c’è un suggerimento sul suo nuovo aspetto(6.7). Un’altra visione più complessa, introdotta anche da un sogno comune, nella quale è rappresentata l’intera vicenda e dove mi si avvisa che ritroverò la sua reincarnazione e che dunque la sua anima sarà ancora con me(6.8-6.9).


6.1.Abbiamo detto, nel corso dei nostri studi precedenti, che definiamo essere il pensiero e realtà la coscienza con tutti i suoi contenuti; e abbiamo altresì proibito, a chi voglia dirsi realmente razionale, di tentare di distinguere tra esperienza reale perché “oggettiva” ed esperienza non reale, che non corrisponda cioè a niente di extramentale e oggettivo: abbiamo negato per via logica la possibilità che esista un mondo oggettivo esterno al pensiero, e una materia eterogenea alla coscienza e dunque degli oggetti extramentali. Abbiamo perciò deciso di chiamare “oggetti” i prodotti del pensiero, e “corpi” le loro immagini, distinguendo dunque tra la realtà dell’essere, l’invisibile, e la realtà dell’immagine, il visibile; in altre parole, ci siamo dovuti accorgere, poiché il corpo altro non è che estensione, e l’estensione è immagine, visto che ciò che è esteso è anche visibile e ciò che è visibile si chiama immagine, che i corpi sono immagini e che perciò essi non possono essere esterni al pensiero, ma devono essere suoi prodotti, perché anche l’immagine è un prodotto del pensiero: l’unica causa che può far essere un’immagine è un’immaginazione che la produca, e cioè un pensiero che pensi mediante il linguaggio delle immagini, altrimenti, da sé, l’immagine non può causarsi. Nessun corpo dunque è fuori dal pensiero, nessun oggetto può esistere in un mondo esterno, non esiste altra realtà che il pensiero e i suoi prodotti, e gli oggetti sono i prodotti del pensiero, perché non può esistere ciò che non è causato da nulla, né si causa da sé; e ciò che si causa da sé non è l’immagine, ma il pensiero. Abbiamo perciò concluso che, se definiamo realtà i prodotti del pensiero, ovvero i contenuti della coscienza, tutto ciò che è contenuto nella coscienza è realtà, e non esiste alcun contenuto della coscienza che non sia esperienza reale, ma che sia prodotto di suggestione o allucinazione. E pure questi ultimi fenomeni che ho narrato fanno parte dunque della realtà, anche se per ora non riusciamo a capirne il significato e la provenienza. Mi riferisco in particolare all’affacciarsi nella mia coscienza, durante la meditazione, dell’immagine di attori o personaggi televisivi famosi. In mancanza di uno svolgimento e di una dinamica interna alla visione, è impossibile capire chi stava comunicando con me in quel momento e che volesse. Dubito fortemente che fossero le coscienze disincarnate di quelle persone, perché essi non mi conoscevano, probabilmente non sanno nemmeno che esisto, e come mai dunque potrebbero essersi messi in contatto con me?

6.2.Penso piuttosto che fosse qualche demone della Terra, il quale, con la consueta ambiguità, mi ha manifestato la sua presenza usando come immagine quella della forma macroscopica di un attore per dire che essi fingono di essere ciò che non sono, che recitano; infatti codesti demoni fingono di essere meccanicismi. Dico questo perché, in effetti, ricordo che in una delle mie prime visioni, quando ancora non le registravo tutte per iscritto e che dunque devo citare a memoria, avevo visto Rita Hayworth, rimanendo assai perplesso: che cosa stavo vedendo? Che ci faceva lì(1) Rita Hayworth? Ma in quella il personaggio della visione mi fece capire che quell’aspetto era un simbolo e che altri non era se non una delle mie guide, un demone della Terra, un’attrice. Come li detesto quando fanno così! Quanta sottigliezza ci vuole per avere a che fare con costoro senza impazzire! Ma bisogna bene che qualcuno se ne occupi, o rimarremo in loro balia per sempre. Magari una persona impreparata, al posto mio, si sarebbe messa a fare il medium, avrebbe promesso ai parenti di quegli attori di metterli in contatto coi loro cari estinti, magari chiedendo loro dei soldi e arricchendo alle loro spalle, e avrebbe esibito un presunto potere che si sarebbe riservato in esclusiva, esaltandosi come per un dono, senza chiedersi da dove esso provenisse, senza indagare sui concetti di realtà e di esperienza. Io sono un filosofo, e sono razionale, e non mi esalto né ho scopo di lucro; e se cerco di comunicare le mie esperienze su internet tenendo nascosta la mia modesta persona fisica, e senza volere nulla in cambio, se non un po’ di rispetto, è perché spero di poter condividere le mie capacità con qualcuno che se lo meriti, che sappia cioè sgomberare la propria anima dagli errori concettuali e trovare così la via verso gli altri spazi, verso i veri mondi dove lo spirito si esprime, camminando, come ho fatto io, e magari meglio di me, nei sogni e guardando le proprie visioni senza scartarle come prodotti dell’”inconscio”, come cose non reali, come allucinazioni, sintomi di malattia mentale o prodotto di suggestione. Là c’è il mondo vero, la vera realtà, il risveglio; e non esistono poteri misteriosi che ti vengono conferiti in dono da chissà chi perché sei un prescelto; esistono le normali capacità dell’anima, che dobbiamo recuperare con le nostre forze e la nostra volontà, che sono la capacità di pensare correttamente grazie al metodo logico-razionale ossia di vedere le rette rappresentazioni dell’essere, le idee rette, e di capire il linguaggio mediante cui l’essere rappresenta sé stesso, i propri contenuti; sono le normali capacità di ogni anima sana e libera, e cioè veramente razionale, e non poteri paranormali e misteriosi, non quelle pretese capacità intuitive sopra-razionali, le quali in realtà sono solo torbide comunicazioni medianiche, ricevute passivamente da un’anima incapace, ma che tanto piacciono a coloro che vogliono illudersi di essere al di sopra della ragione umana e che la ragione umana disprezzano perché troppo comune, troppo condivisibile, troppo normale. Questi superbi rifiutano la normalità, ma non sanno che è proprio recuperando la normalità che si diventa divini, perché divinità è la capacità di seguire la retta norma.

6.3.E devo anche ricordare al Lettore, o alla Lettrice, che le mie meditazioni non erano quelle pratiche irrazionali che vanno di moda adesso e cercano i risultati sbagliati con metodi di tipo meccanicistico, come quelle di chi cerca di aprire i cosiddetti chakra recitando sillabe senza senso o mantra macchinali, né erano dello stesso tipo di quelle con cui certuni si illudono di eliminare il proprio ego e tornare al principio, nell’infinito, al presunto vero essere, svuotando la mente di tutti i pensieri, come se pensare fosse un’anomalia e un allontanamento dall’essere, quando pensare e essere sono la stessa cosa; quando meditavo, io riempivo la mia meditazione di contenuti razionali, come la richiesta allo spazio che ospitava Giacinto di comunicare direttamente alla mia coscienza sé stesso e i suoi oggetti, onde poter essere anch’io nello stesso mondo insieme a lui e poterlo rivedere; e come lo sdegno perché me l’avevano tolto, che è un sentimento razionale perché è razionale volere giustizia, e ribellarsi per una mancanza di rispetto e una sottrazione indebita... Mi impuntai su questo, finché non mi dettero soddisfazione ammettendo il loro torto, come si vedrà più oltre. Ma ora, terminando questa spero non inutile digressione, vorrei riprendere il racconto.

6.4.Il 27 ottobre ebbi una lunga e faticosa esperienza: mi sentivo agitato e non riuscivo a dormire, e meditavo vedendo la solita luce azzurrina, alla quale indirizzavo la consueta richiesta di lasciare libera la mia vista spirituale; Miranda era abbracciata al mio piede destro, e a un certo punto sentii qualcosa che mi stava toccando la gamba sinistra, accadde tre volte, e poi sentii anche qualcosa che mi toccava il braccio destro. Mi trovai all’interno di un sogno, una lunga vicenda complessa e consequenziale, che però al risveglio avevo dimenticato; annotai soltanto che si svolgeva in un bar affollato, dove aggirandomi in mezzo a molta gente sconosciuta, mi riscuotevo stupito, accorgendomi di essere in un sogno e accorgendomi per di più che quel sogno non mi era nuovo, curiosamente mi ricordai nel sogno di aver già ricevuto quel sogno molto tempo prima... C’è molto da studiare sulla memoria, e su come lo spazio terreno riesca a eclissarci le registrazioni dei contenuti passati della nostra coscienza, e ci proponiamo di farlo altrove. Quello che ci interessa qui è che con questo io recuperai la mia capacità di gestire autonomamente dal sogno e, cosciente di trovarmi fuori dallo spazio terreno, ne approfittai per esprimere la mia esasperazione non solo riguardo a Giacinto, alla mia solitudine, ma anche per quanto difficile fosse dovermi districare tra sogni e visioni, per quanto fosse pesante questo compito che mi avevano accollato e pretendevano che io svolgessi... Dopo essermi sfogato, iniziai a cercare Giacinto, prendendo di petto tutti coloro che incontravo in quel mondo col domandare: “Ha visto il mio gatto? Può aiutarmi a ritrovare il mio gatto?” Ecco che cosa accadde:

 

Io ho in mente solo che voglio ritrovare Giacinto e accuso tutti quelli che incontro (tutti sconosciuti) di esserselo preso e di avermelo portato via; ricordo (qui c’è un salto logico) di aver trovato dei gatti sotto a un tavolo in una stanza piena di questa gente, ma nessuno era Giacinto, io continuo a insistere che devono aiutarmi a ritrovarlo.

 

Non ho dubbi, in quel momento mi stavo aggirando tra spiriti disincarnati, me lo dice il simbolo dei gatti nascosti sotto al tavolo, è un simbolo del linguaggio onirico: il tavolo rappresenta lo spazio terreno che ci nasconde i corpi semplici delle anime disaggregate, e perciò stare nascosto sotto a un tavolo significa essere un’anima il cui corpo aggregato è morto, un’anima nel mondo del post mortem. Ho trovato questo simbolo in vari sogni e anche in una visione particolarmente tormentosa, risalente al 22 giugno 2000, che mi lasciò per lungo tempo incerto sulla sua natura di vero incontro con Giacinto, perché fu introdotta alla fine di un sogno che impiegava la forma macroscopica di Giacinto per significare tutt’altro(2); ma ora penso proprio di aver capito che cosa è successo, in quel caso: come anche nell’esempio già riportato al §5.6, quello del 2 ottobre successivo, era Giacinto stesso che recitava in quel sogno, e così, evidentemente, terminato il suo ruolo di immagine simbolica, avrà ceduto al desiderio di chiamarmi per avvertirmi che era lì. Infatti, risvegliandomi da quel sogno udii chiarissimo l’inconfondibile miagolio di Giacinto che mi chiamava; gli risposi “che c’è?” come quando era vivo; ma lo spazio dove mi trovai dopo il risveglio (non era quello terreno, evidentemente) mi mostrò inesorabilmente la realtà, mi comunicò il seguente messaggio in linguaggio onirico:

 

Giacinto si è nascosto sotto a un tavolo rotondo, è acciambellato su una sedia e la sedia è infilata sotto al tavolo, cosicché io non posso vederlo. Ma so che è lì, ho sentito il suo miagolio.

 

Traduzione: Giacinto è morto (la posizione acciambellata di un gatto che dorme, e anche la sedia significa la morte, perché quando si siede, uno cessa di camminare, di procedere, cioè di vivere) e perciò tu non lo puoi vedere, te lo nasconde lo spazio terreno (il tavolo rotondo). La Terra è come un tavolo perché su di essa “si mangia”, cioè ci si sazia di esperienza e si appagano desideri irrazionali(3).

6.5.Sicché quei gatti che ho visto al principio del viaggio che stavo narrando sono anime disincarnate, me lo comunicavano nascondendosi sotto al tavolo; e anche tutta quella gente che incontravo, tutte quelle persone a cui irosamente chiedevo di ridarmi il mio gatto, erano anime disincarnate, me lo diceva il sogno introduttivo, poiché esso me le ha mostrate in un bar, che è dove si beve il caffè. Infatti, nel linguaggio onirico bere un caffè significa morire, perché il caffè è la bevanda che risveglia e la morte è un risveglio, è quando l’anima si riscuote dai sabbiosi sogni, cupi e incomprensibili, che le impone lo spazio terreno, il sistema nervoso del suo corpo aggregato, e svegliandosi torna a vedere la vera realtà. Io l’ho capito dai tanti sogni che ho collezionato in questi diciotto anni, e devo dire che il linguaggio onirico è anche quello che usano i morti: quando mio padre era già praticamente morto, ma tenuto prigioniero del suo corpo aggregato ormai inservibile dall’assurdo accanimento terapeutico dei medici e dalla prepotenza di mia madre, si svolse, una volta, tra lui e uno dei suoi infermieri la seguente conversazione:

 

INFERMIERE: ti faccio un caffè?

MIO PADRE: ho ancora soldi.

INFERMIERE: ti faccio un caffè! Non vuoi un caffè?

MIO PADRE: non hai capito? Ho ancora soldi!

 

Non potei spiegare all’infermiere che per mio padre “bere un caffè” significava “morire”, e che perciò gli stava rispondendo: guarda che ho ancora un po’ di tempo da vivere qui sulla Terra (tempo=soldi, perché i soldi si guadagnano col tempo e si contano come il tempo, sono una misura di quanto tempo abbiamo lavorato). Che razza di equivoco. Ma proseguiamo con quel viaggio nel mondo del post mortem che stavo narrando, del 27 ottobre. I morti si sentivano accusati da me perché, evidentemente, le decisioni vengono prese collettivamente da tutte le anime e io, appunto, stavo impugnando la decisione di tutta l’Assemblea, quella di far morire Giacinto e di portarmelo via; essi, però, all’inizio, non si mostrarono inclini ad aiutarmi. La visione prosegue in questo modo:

 

Infine qualcuno mi dice che dovrei rivolgermi “all’Ufficio del Sud”. A questo punto mi trovo in auto con una signora dagli occhi chiari molto grandi, di mezza età, sembra quella più intenzionata ad aiutarmi, ella infatti mi parla per un po’. Tutto è reso difficile dal fatto che vengo frequentemente “risvegliato” (scil.: la mia attenzione è attirata nello spazio terreno) dai rumori della strada, ma ogni volta ritrovo il contatto con questa signora dagli occhi chiari e ci troviamo, infine, proprio nell’”Ufficio del Sud”. A uno sportello io chiedo l’informazione di cui ho bisogno, c’è una signorina dall’altra parte; mentre chiedo, io sto piangendo disperatamente per la perdita di Giacinto...

 

Che città invivibile e insopportabile è questa, Milano, voglio dire -perché è lì che abito- dove non puoi avere un’estasi in santa pace o incontrarti con gli spiriti disaggregati senza che un maledetto rombo di uno stramaledetto motore metta all’erta il tuo sistema nervoso e ti richiami indietro! Quante volte ho tirato una maledizione a questi idioti motorizzati che coi loro macchinoni e motociclettoni di lusso vengono a far benzina in piena notte al self-service aperto 24 h su 24 (che abominio urbanistico!) proprio sotto la finestra della mia camera da letto; e si dovranno ben accorgere costoro come la maledizione di un eletto sia una faccenda seria, quando saranno negli spazi dove i pensieri sono cose visibili e dove le maledizioni sono belve che ti azzannano... Comunque, riuscii a far sentire la mia pena all’”Ufficio del Sud” e questo significava che a tempo debito avrei ricevuto la risposta. La visione non finì così, ma proseguì su argomenti che non riguardano la storia di Giacinto, bensì le tesi che avrei poi esposto nello studio La Natura e perciò ne rimando la narrazione in altro luogo.

6.6.Non ebbi difficoltà a capire quella strana dizione, “Ufficio del Sud”: ho già accennato nello scritto principale che il Nord, ove i ghiacci(4) risplendono al sole, simboleggia il pensiero che pensa le verità necessarie, quelle la cui negazione reca contraddizione e che dunque sono sempre vere, non mutano mai; perciò il pensiero che deducendole dal primo assioma (quello dell’uguaglianza tra essere e pensiero) le pensa, le pensa eternamente ed è immobile, come elemento liquido ghiacciato e risplendente al sole della verità. Il Sud, la zona calda, è dove il liquido scorre, e cioè quella zona del pensiero dove si sperimentano le possibilità che solo in maniera contingente diventano reali, e dove perciò le cose si modificano e non sono sempre uguali in eterno. Dunque i mondi veri, dove il pensiero è eterno e la bellezza delle sue immagini riflesse negli spazi non svaniscono mai, perché ogni corpo è il riflesso visibile di una realtà eterna, sono il Nord, dove tutto è ghiacciato e immobile, mentre la Terra e quei mondi semi-meccanicistici che accolgono l’anima ancora in via, che deve mutare di forma per raggiungere lo stato di salute e la forma divina, sono il Sud. Mi si era mostrata, sotto il simbolo della fredda burocrazia di un ufficio e nell’immagine di quell’antipatica signorina che se ne stava dietro allo sportello con espressione indifferente, mentre io piangevo addolorato, l’opera dei demoni della Natura e, in particolare, quella di costruire un nuovo corpo aggregato per un’anima che deve, per qualche ragione, reincarnarsi. “Ufficio del Sud” significava, dunque, “reincarnazione”. Dovetti prendere atto una volta di più che la mia idea di conservare per sempre Giacinto nella stessa forma ad attendermi nel mondo del post mortem, insieme alla mia pretesa di acquisire la capacità di muovermi liberamente fra i due mondi per poterlo rivedere spesso e stare ancora con lui anche mentre ero ancora in vita, legato a un corpo fisico sulla Terra, era stata scartata e si era decisa un’altra soluzione. Giacinto si sarebbe reincarnato, avrebbe preso una nuova forma macroscopica e dunque avrebbe cambiato aspetto, e perciò se volevo riavere almeno la sua anima dovevo rintracciare il suo nuovo corpo aggregato.

6.7.Giacinto venne a dirmelo di persona. Il 1° novembre, infatti, si verificò quell’incontro con lui che ho già riportato nello scritto principale(5), e che perciò qui non ripeto. Devo però completarlo con l’ultima parte di quella visione che ivi, non essendo inerente alla materia trattata, avevo omesso. Il Lettore, o la Lettrice, ricorderà che, dopo aver ottenuto dagli spazi extra-terreni l’ammissione della giustezza delle mie ragioni, il mondo dove si trovava Giacinto mi aveva concesso di entrare, aveva anche dato segni di comprensione e di amore verso di me, e lì io avevo per qualche breve istante ritrovato il mio gatto. “Ecco, lì c’è Giacinto”, avevo scritto allora, “lo vedo benissimo, vedo il suo color argento meraviglioso”. Poi la mia annotazione stenografica proseguiva:

 

C’è solo una differenza: mi sembra che abbia la coda più folta e con il pelo più lungo rispetto alla realtà fisica di prima. Io, molto contento e commosso, mi chino sorridendo e protendendo le braccia verso di lui. Lui però mi volta la schiena e si mette a orinare su un mucchio di terra che è lì.

 

Inequivocabile: lo scorrere del liquido, nel linguaggio onirico, significa lo scorrere del tempo, e Giacinto, facendo scorrere la sua orina su un mucchio di terra, mi stava dicendo, appunto, che avrebbe passato un altro arco di tempo sulla Terra; e la coda più folta che mi ha mostrato, probabilmente, voleva dire che questa volta avrebbe vissuto anche l’ultima parte della sua vita, perché la coda, che è l’ultima parte del corpo, simboleggia l’ultima parte della vita. Dopo pochi giorni, l’8 novembre, ebbi un’altra visione dove comparivano entrambi i miei gatti, come era già accaduto (cfr. supra, §§4.8-4.9) e come poi sarebbe accaduto ancora; essa, come l’annotai stenograficamente allora, era la seguente:

 

...doveva esserci anche Giacinto, perché a un certo punto avevo fra le mani un gatto e Miranda era da un’altra parte perfettamente visibile, ne ho dedotto senza poterlo vedere che quello che avevo per le mani doveva essere Giacinto... Sto a lungo in questo spazio, passeggiando con questi due gatti, ma tornato nello spazio terreno la memoria di questi luoghi si è eclissata. Ricordo solo che nel momento di svegliarmi c’era uno strano giovane nero, ma nerissimo, come carbone; non vedo la sua faccia, ma solo la sagoma scura, egli tentava di divertirmi raccontandomi qualcosa in dialetto napoletano.

 

Orfeo, che poi grazie ai messaggi dei sogni avrei dimostrato essere la reincarnazione di Giacinto, è un gatto nero, ma nerissimo, come carbone, tanto che se sei in penombra ne vedi solo una sagoma scura che sembra più un ammanco a forma di gatto nel continuum spazio-temporale che qualcosa in positivo. “Sei un non-gatto” gli dico ogni tanto scherzando, per prenderlo in giro. E uno dei suoi soprannomi è “occhi nel buio”, perché a volte si vedono solo gli occhi, da quanto è nero. Egli allevia la solitudine della mia vita e mi diverte con le espressioni del suo corpo “meridionale”, cioè terreno, prodotto dell’”Ufficio del Sud”. Ma che questo fosse il significato del personaggio di quella visione avrei potuto capirlo solo circa cinque mesi dopo, quando, nell’aprile dell’anno successivo, il 2001, vidi il micetto nero per la prima volta; per allora, la visione del simpatico giovane nero mi lasciò alquanto perplesso...

6.8.Infine, prima di passare al nuovo argomento, e cioè come utilizzare i sogni comuni per vedere l’occulto, in questo caso per ritrovare la reincarnazione di Giacinto, oppure per comunicare coi mondi, per sentire la loro versione dei fatti e le loro ragioni, e così via, devo riferire un’ultima visione, un po’ complessa, che ebbi l’11 novembre 2000. Come più volte accaduto, anche in questa occasione entrai nel nuovo spazio passando attraverso un sogno comune; il messaggio onirico diceva:

 

Una vicenda che inizia per strada, siamo insieme a una donna e a un’altra persona; finché ci siamo noi in questo gruppo, non succede niente di male, appena ci separiamo, lei in una casa e io in quella di fronte, sento invece che è successo qualcosa, lo capisco dal suono delle sirene della polizia... Non capisco bene: qualcuno, o la forza pubblica o delle persone violente, le hanno portato via il bambino.

 

Mio padre, che era morto da poco (è lui che parla in prima persona(6) in questo messaggio) e cioè si è appena trasferito “nella casa di fronte”, si è reso conto che qualcosa o qualcuno mi ha portato via Giacinto; infatti la donna col bambino, nel sogno, significano me e Giacinto (per il mio atteggiamento materno verso di lui): finché era vivo mio padre, Giacinto stava bene e quando, invece, nel 1999 mio padre se n’è andato, Giacinto ha cominciato a star male, fino alla crisi finale iniziata nel dicembre di quell’anno. A questo punto inizia la visione, distinta dal sogno perché avevo riacquistato la consapevolezza di essere fuori dallo spazio terreno e, rivedendo Giacinto, ero consapevole di stare vedendo il suo corpo spirituale, e che il suo corpo fisico era morto. Ecco come l’ho trascritta allora stenograficamente:

 

La cosa fondamentale è che incontro di nuovo Giacinto: avviene che io sono a piedi nudi, e li ho infilati fuori da una finestrella, cioè nella fessura tra un vetro e l’altro di una finestrella “a ghigliottina”. Il problema è che questo invita Giacinto a uscire dalla stessa fessura e a rimanere in bilico sul davanzale... Questo è molto pericoloso perché, per rientrare, Giacinto deve ripassare in quella fessura stretta, ma nel frattempo si sono rotti i vetri e sicuramente il gatto si ferirà. Osservo la situazione abbastanza calmo, penso che anche se si graffia, poi guarirà, l’importante è che non cada giù dal davanzale e torni dentro. Invece il gatto non rientra come speravo io, ma scappa per un corridoio nella direzione opposta a quella che pensavo dovesse prendere per rientrare: lo vedo riflesso in un vetro. Una persona che è con me mi dice che ha preso la direzione verso “la parte opposta della città”; poi mi volto, guardo direttamente nel corridoio, ma Giacinto sparisce, vedo solo dei panni o stracci. C’è sì un gatto, lo vedo che dormicchia su una poltrona nascosto dietro a qualcosa, ma vedo che è Miranda, non Giacinto. La cosa mi rattrista molto e improvviso anche un semplice ma dolcissimo canto per esprimere il mio desiderio di mantenere il contatto con Giacinto e per protestare verso il Cielo che me l’impedisce.

 

6.9.Il fatto che quello spazio rappresentasse la mia voce come un canto, una semplice e struggente melodia, significava che essi, i mondi voglio dire, avevano approvato le mie ragioni, sentivano quei miei pensieri in armonia con i loro principi, li consideravano “intonati”, cioè razionali, comprensibili, chiari e sinceri, e li ascoltavano con piacere; ma essi vollero anche spiegarmi le loro ragioni e quelle di Giacinto. Dopo che Giacinto era entrato nel mondo del post mortem, si trovava in uno stato non definitivo, e rischiava di doversi reincarnare (era “in bilico sul davanzale”); questa, che “cada dal balcone”, e cioè torni nello spazio terreno, è la cosa che io vorrei evitare, come è messo in evidenza nella visione, perché se “cade”, cioè si reincarna, lo avrò perso per sempre e chissà che cosa gli succederà, probabilmente soffrirà. La finestrella a ghigliottina rappresenta la morte, perché la morte separa lo spirito dal corpo di terra, ed è dunque come una ghigliottina che separa la testa (infatti la testa rappresenta lo spirito, simbolicamente) dal corpo (che rappresenta, appunto, il corpo di terra). Io ero a piedi nudi nella visione, e avevo saputo infilarli al di là della finestrella, e cioè al di là del confine tra mondo terreno e mondo del post mortem: i piedi rappresentano il pensiero, e dunque lo spirito, perché sono strumenti per camminare, come il pensiero che ti fa progredire; ed essere senza scarpe significa essere, in quel momento, senza il corpo aggregato; infatti le scarpe, che sono di cuoio e cioè di un materiale di natura animale, rappresentano, appunto, la nostra parte animale, il corpo fisico. Insomma, quello spazio, mostrandomi in quella inconsueta posizione, mi rappresentava capace di “uscire dal corpo”, o meglio di liberarmi dalle prepotenti comunicazioni del mio sistema nervoso e dunque dallo spazio terreno, dalla sua realtà fittizia, e di portare il mio spirito nei mondi degli spiriti disaggregati e dei corpi semplici. Questo ha indotto i mondi a prendersi Giacinto (nella visione era proprio questo che aveva invitato Giacinto ad uscire dalla fessura e trovarsi fuori dalla finestrella, nel post mortem): probabilmente pensavano che io, sapendo che cosa succede nel post mortem, non ne avrei sofferto più di tanto. Ma, a questo punto, “i vetri si rompono”: il vetro, che è un materiale trasparente e capace di riflettere, rappresenta lo spazio, che è appunto trasparente e ha la funzione di riflettere le realtà invisibili per renderle visibili, cioè costruire immagini simboliche che manifestino i contenuti dell’essere. Con l’immagine del vetro rotto gli spazi, ovvero i mondi, cioè gli angeli, o insomma Dio, mi hanno detto che li ho colpiti mostrandomi disperato per la perdita di Giacinto e offeso per il loro operato: le mie ragioni hanno colpito le anime divine, perché erano ragioni rette e perciò efficaci. E c’è il pericolo che Giacinto, tornando in spirito nello spazio terreno per farsi rivedere da me, ne soffra, cioè si penta di avermi lasciato. Nella visione è anche registrato il mio atteggiamento disinvolto: infatti ho continuato a chiamare il gatto, senza curarmi dei possibili disagi che egli avrebbe avuto per questo, desideravo solo che “tornasse dentro, senza cadere dal davanzale”, cioè che si facesse rivedere senza incarnarsi più. Poi la visione mi avvisa che la soluzione da me desiderata è impraticabile: Giacinto non “cade in cortile” cioè non va perso per il mondo terreno, ma non rientra nemmeno da quella pericolosa “finestrella”; gli spazi, nei sogni e nelle visioni (“lo vedo riflesso in un vetro”), mi avvertono che Giacinto va nella direzione opposta rispetto a quella da me auspicata, ma mi promettono anche che tornerà a far parte della mia vita. Nei sogni, una città che stai percorrendo significa la tua vita, e “la parte opposta della città” significa la seconda metà della tua vita, calcolando una normale vita umana come un periodo di circa ottanta, ottantaquattro anni. Quando ritrovai lo spirito di Giacinto in Orfeo, io ero nel mio quarantunesimo anno di età, e cioè stavo passando il centro della mia vita, ovvero, nel simbolo, della mia città. La vita di Orfeo si sta estendendo dunque nella seconda metà della mia vita: ora mi sto lasciando alle spalle “il centro della città” e sto camminando verso “la periferia”, dove finirà il mio percorso terreno, la “città” che devo attraversare. Dunque dicendomi che Giacinto era diretto verso “la parte opposta della città”, mi stavano comunicando che l’avrei ritrovato e che sarebbe stato con me nella seconda parte della mia vita. Poi, nel mondo terreno (il corridoio), vivo direttamente quest’esperienza (mi volto e guardo direttamente, non più nel riflesso del vetro) e lì Giacinto, o meglio il suo aspetto, dipendente dal corpo aggregato e dalla sua forma macroscopica, è svanito perché il suo corpo terreno è come un vecchio abito divenuto uno straccio, è sepolto e si sta dissolvendo (“vedo solo dei panni o stracci”). Tutto stava ora, dunque, nel ritrovare il suo spirito reincarnato.


NOTE AL LIBRO VI.

 

Nota 1: era il periodo in cui solevo rimanere perplesso quando incontravo qualcosa di umano nelle visioni dei mondi, convinto che là dovessero trovarsi solo i simboli dell’essere e non un mondo corporeo abitato da coscienze; si figuri il Lettore, o la Lettrice, come rimasi sconvolto e disorientato quando mi trovai davanti, in uno scenario celestiale, niente meno che Rita Hayworth: oltre tutto, è possibile che la famosa attrice in quel momento fosse ancora viva sulla Terra, perché è morta nel 1987 e io ho ricevuto queste prime visioni negli anni ottanta, e ho cominciato a trascriverle in prosa dal 1988. Venne dunque opportuna quella pietosa spiegazione, che mi fece vedere come i demoni sanno cambiare aspetto e mostrare la forma macroscopica che a loro pare, con intento simbolico, insieme a un’altra, di una visione che parimenti mi aveva gettato nella disperazione, sul momento: avevo visto Osiris, il dio egiziano, ma avevo dovuto indovinare che era lui anagrammando le lettere di due parole ambigue che nascondevano il suo nome; fatto questo, mostrai il mio entusiasmo per un simile incontro, ma costui si mise a dire un sacco di cose incomprensibili e assurde, e questo, appunto mi gettò nella disperazione, ricordo che gridai contro a quel cielo che mi sentivo offeso e preso in giro da tanta ambiguità. Ricordo anche che mi venne da pronunciare il verso: cielo lontano, ahimé, perché ti celi... Ma venne poi la spiegazione di questo incontro: quel demone mi stava mostrando il loro comportamento consueto, mi stava dicendo: stai attento perché il significato letterale di tutto ciò che diciamo è assurdo e fuorviante, bada a trovare quello nascosto. Furono insegnamenti preziosi.

 

Nota 2: era un breve sogno in cui vedevo entrambi i miei gatti, ma senza ricordarmi che Giacinto era morto, dandoli per vivi entrambi, e constatavo come, al contrario di come mi sarei aspettato, Giacinto se ne stava spaurito ed immobile, mentre Miranda si scatenava nei giochi e nelle corse. Questo sogno non parla dei gatti, in realtà, perché riferito ad essi non avrebbe alcun significato: Giacinto e Miranda in questo caso sono simboli onirici che nascondono le due personalità di uno spirito umano, e ne parlerò altrove. Per adesso basti portare questa esperienza come esempio di come ci voglia molta attenzione e sottigliezza per distinguere i sogni dalle visioni, e per capire esattamente di che cosa parlano i messaggi onirici; e anche di come i personaggi dei sogni siano attori: in questo caso Giacinto stesso, evidentemente, era stato chiamato in questa scenetta a recitare la parte del simbolo, salvo poi, come detto nel testo, cedere alla tentazione di chiamarmi con un miagolio per farmi notare la sua presenza, cosa che ha indotto, però, il suo spazio a rimettermi al mio posto, a rammentarmi bruscamente che essendo io nel mondo terreno non potevo continuare a vederlo.

 

Nota 3: anche perché il tavolo è un piano e cioè uno spazio, esso simboleggia appunto lo spazio; e se ci sono delle specificazioni (in questo caso è rotondo, nel caso già visto al §3.2 era il tavolino dell’”apparecchio TV”, l’apparato percettivo fisico, oppure, come dico nel testo, la tavola dove si mangia, perché una porzione di cibo simboleggia l’arco di una vita terrena) si capisce che è lo spazio terreno e non un altro. Su altri tavoli, però, si fanno banchetti migliori... Quanto al fatto che all’interno di un viaggio in un altro spazio si possano trovare indicazioni espresse in linguaggio onirico, cfr. L’Essere, l’Anima, i Mondi, §8.6.

 

Nota 4: cfr. ivi, §5.4.

 

Nota 5: cfr. ivi, §§8.5-8.6.

 

Nota 6: si veda quanto già detto qui sopra, nella nota 2 al libro V.


LIBRO VII.

 

 

 

 

 

GIACINTO E’ UN GATTO NERO.


LIBRO VII.

 

INDICE DEGLI ARGOMENTI.

 

Racconto del momento critico, di quando cioè, essendo rimasto un unico micetto privo di adozione nella cucciolata dei miei amici, devo decidere se prenderlo o no con me, e non ho agio di consultare i sogni nel dovuto modo per avere la conferma della sua identità con Giacinto(7.1-7.4).

 

Difficoltà nell’impiego dei sogni, la loro lunghissima scadenza(7.1). Un sogno che avrebbe potuto risolvere la questione, mi mette invece in estrema difficoltà(7.2-7.3).

 

Sottili manovre provvidenziali dei mondi, atte ad assicurasi che io riavessi indietro Giacinto, e che non sbagliassi gatto(7.5-7.7).

 

Racconto di come ho cominciato a sospettare, dopo aver preso con me il nuovo gattino, che quello fosse proprio il nuovo Giacinto(7.8-7.9). Il sogno da me ricevuto nel giorno della sua nascita, chiaro ma che mi lascia ancora un piccolo margine di incertezza, e una visione che mi avvisa della sua avvenuta reincarnazione(7.10).


7.1.Quando Orfeo entrò in casa mia, il 10 aprile 2001, non ero affatto certo che fosse il nuovo Giacinto: le cose si erano svolte troppo in fretta e io non avevo avuto il tempo di consultare la mia raccolta di sogni per averne una conferma sicura. Rita e Valerio, i miei due amici a casa dei quali si era verificato il lieto evento, una cestata di nuovi micetti, mi misero alle strette perché volevano da me in breve tempo una risposta definitiva, riguardo a quel gattino nero che era rimasto l’ultimo della cucciolata a non essere adottato, volevano sapere se me lo sarei preso io oppure no. Ma io ero incerto: solo dai messaggi dei sogni, infatti, potevo ricavare l’informazione che mi serviva, se lì ci fosse l’anima di Giacinto, ma il fatto è che i sogni non arrivano mai quando ti servono, e non parlano mai così chiaro da essere intesi immediatamente, al momento della ricezione. L’unico modo per fruirne correttamente è il seguente: aspettare un evento significativo, annotarne la data, e, per essere informato di ciò che all’interno di tale evento ti è rimasto nascosto, consultare la tua raccolta di sogni, che devi aver tenuta molto ordinatamente, con tutte le date registrate; devi infatti cercare quei sogni le cui date siano formate da cifre che, se sommate, diano lo stesso risultato delle cifre, sommate, della data in cui si è verificato l’evento. Ma sei costretto a procedere all’indietro anche di anni, poiché i sogni profetizzano gli avvenimenti della tua vita anche con molto anticipo. Per esempio, c’è un sogno registrato nella mia raccolta, che mi rassicurava su Giacinto usando gli stessi simboli della visione qui sopra riferita (§§6.8-6.9):

 

Giacinto mi ha seguito mentre andavo in palestra, dall’altra parte di Milano; devo telefonare a mia madre per avvisarla di non preoccuparsi se non lo trova.

 

ma esso risaliva niente meno che al 29 ottobre 1991, quasi dieci anni prima degli eventi che profetizza, e ci misi molto tempo prima di trovarlo, in mezzo alla mia sterminata raccolta di sogni. Inoltre, la data 29/10/1991 fa riferimento al giorno 28/1/2001 (2+1+2=1+1+3; si noti come la corrispondenza delle date salti subito all’occhio, poiché è sufficiente scomporre il 29 in 28/1 e accorpare l’1 del mese col 2 dell’anno, per passare da una data all’altra), che è la data di nascita di quel micetto nero che poi avrei chiamato Orfeo, ma io questa non la possedevo nel momento in cui dovevo prendere la decisione, Rita e Valerio me la comunicarono, su mia esplicita richiesta, solo dopo, non ricordo con precisione quando, ma ricordo sicuramente che nel breve lasso di tempo che mi lasciarono per decidere non avevo il numero-chiave con cui procedere alla ricerca; comunque, anche se lo avessi avuto, non avrei potuto utilizzarlo appieno in un tempo così breve. Questo sogno, come la Lettrice, o il Lettore, avrà già capito, mi diceva che nella seconda parte della mia vita (“dall’altra parte di Milano”: la città dove abito, come detto sopra, rappresenta la mia vita, e “l’altra parte” è la seconda metà) Giacinto sarebbe stato ancora con me, e dunque che dovevo avvisare me stesso (“mia madre”=la mia coscienza, me stesso; noi nasciamo dal nostro stesso spirito, e dunque i genitori nel linguaggio onirico possono rappresentare la nostra coscienza) che se anche per un breve periodo avevo perso Giacinto (“se non lo trova”), e cioè nel periodo tra la morte di Giacinto e l’arrivo di Orfeo in casa mia, non dovevo comunque preoccuparmi, che lo avrei ritrovato, e, vista la coincidenza delle cifre della data del sogno con quelle della data di nascita di Orfeo, che lo avrei appunto ritrovato in Orfeo.

7.2.Prima, io possedevo solo una data certa che mi potesse aiutare a prendere la decisione, e cioè il 22 febbraio, il giorno in cui avevo avuto notizia di questa cucciolata: una mia paziente saltuaria di shiatsu-terapia, amica di Rita e Valerio, quel giorno era venuta a casa mia a farsi curare il mal di schiena e, vedendomi triste per la morte di Giacinto, mi aveva raccontato dei gattini appena nati a casa dei nostri comuni amici e mi esortava a prendermene uno. Ma io, dopo questo, mi agitai moltissimo, perché se avessi sbagliato gatto sarebbe stata una catastrofe: già avevamo Miranda e, se avessi preso con me un secondo gatto, nel nostro piccolo appartamento milanese non ci sarebbe stato spazio per un altro animale e il nuovo Giacinto sarebbe rimasto quindi escluso dalla mia vita. D’altronde, se c’era lui in mezzo ai gattini di Rita e Valerio sarebbe stata una catastrofe anche non riuscire a riconoscerlo e non prenderlo con me. Cercai all’indietro, nella mia raccolta di sogni, un messaggio che mi fosse pervenuto in una data le cui cifre, se sommate, dessero 9: 22/2/2001 dà infatti 4+2+3=9. Trovai, registrato sotto la data 14/1/2001, quindi risalente a poco più di un mese prima, il seguente episodio onirico:

 

Una breve scena, nella quale è con me Miranda, e siamo in una casa sconosciuta, in realtà, ma che nel sogno consideravo come mia: a un tratto vedo comparire un gatto dietro alla porta finestra, sicché esclamo: “Eccolo!” alludendo a Giacinto, perché lo stavo aspettando, era in giro da un po’ e io stavo aspettando ansiosamente che tornasse.

 

Questa scena è chiarissima, e avrebbe dovuto togliermi da ogni dubbio, se non si fosse verificato un problema, anzi due. Uno dei due problemi fu che una delle mie allieve di yoga, S.B., con molta contentezza, mi comunicò, in quei giorni, di essere rimasta incinta, finalmente, dopo anni di tentativi: io ricevetti questa comunicazione il 15 marzo successivo. Ora: le cifre 15/3 (a volte contano solo il giorno e il mese, senza l’anno) corrispondevano esattamente a quelle della data del mio sogno, 14/1/2001; infatti, 14+1=15 e 2+1=3. Panico completo! Dove stava andando Giacinto? verso la forma umana o verso un’incarnazione di nuovo felina? O povero me! Quale delle due nuove vite era Giacinto? Ero terrorizzato all’idea che la piccola anima innocente di Giacinto potesse essere entrata nel campo di esperienza del male diventando umana e rischiando così di trasformarsi in qualcosa di brutto e mostruoso. Inoltre, quando riferii incautamente a S.B. il mio dubbio, ella mi guardò con diffidenza, e con un po’ di irrisione, sicuramente preda del sospetto che io fossi un bislacco, benché mi conoscesse orami da tanto tempo; e sentii(1) anche nel suo animo un forte moto di gelosia, come se avesse il timore che io, per via di questa convinzione, mi intromettessi nella sua vita, accampassi con questo il diritto di legarmi affettivamente al suo bambino o che, insomma, mi prendessi troppa confidenza, quando invece ella, nonostante i numerosi anni di frequentazione, ha sempre mantenuto verso di me un atteggiamento scostante. Ciò veniva a complicarmi le cose, mentre io già mi trovavo imbrogliato nella questione fondamentale. L’altro dei due problemi era, infatti, che il sogno comune del 14 gennaio, quello che avrebbe dovuto informarmi con precisione che il 22 febbraio successivo Giacinto sarebbe ricomparso nella mia vita, invece, inusitatamente, si era trasformato in una visione ed era perciò fallito: ero talmente concentrato sulla possibilità di rivedere Giacinto nel mondo spirituale, in quel periodo, che là dove il sogno avrebbe dovuto terminare, con l’immagine di lui che voleva rientrare in casa mia, nella mia vita, cosa che avrebbe profetizzato il ritorno di Giacinto in uno dei gattini di Rita e Valerio, invece la mia coscienza si riscosse, sfuggendo al controllo dello spazio del sogno e al condizionamento che tale demone esercitava su di essa nel comunicarle il messaggio, sicché tornai sveglio e autonomo pur rimanendo nel medesimo spazio in cui si era svolto il sogno, e sperai che si stesse verificando un incontro con Giacinto. Ma appena guardai attentamente quel gatto, mi accorsi che non era Giacinto, era un bel gatto grigio, ma la sua corporatura era più massiccia, le righe del pelo erano quelle più nette e precise di un banale soriano, differenti dalle sfumature straordinarie del pelo grigio argento da soriano “marmorizzato” di Giacinto. Sicché la visione finì con me che, perfettamente sveglio, ma ancora fuori dallo spazio terreno e consapevole di questo, esattamente come si fa quando ci si risveglia da un sogno e si recupera la consueta memoria degli eventi passati, dicevo a “mia madre”, cioè a me stesso: “per un attimo ho pensato di aver visto Giacinto, per un momento avevo dimenticato che è morto”, consapevole che quello non era Giacinto, mentre un istante prima, nel sogno comune, era implicita la certezza che fosse lui e che fossimo ancora nella nostra vita terrena, prodotta dal condizionamento esercitato su di me e sulla mia memoria da parte del demone che mi stava comunicando quel messaggio(2).

7.3.Oggi, dopo aver trovato tanti sogni che confermano l’ipotesi che Orfeo, il micetto della cucciolata di Rita e Valerio che poi presi con me, sia davvero la reincarnazione di Giacinto, non posso che spiegare in questo modo quello strano episodio del 14 gennaio 2001; ma allora ne rimasi estremamente confuso. Infatti allora non ero capace come oggi, dopo le riflessioni che ho riferito nel testo principale, di distinguere i sogni dalle visioni, e cioè i messaggi onirici che ci annunciano il futuro, o ci parlano di lati nascosti della nostra vita, dalle percezioni vere e proprie, ossia dalle immagini estemporanee che ci provengono dai mondi e ci parlano del loro presente, e non sono racconti scritti in linguaggio criptico del nostro futuro; allora mi venne il dubbio di dover leggere tutto di seguito sogno e visione, come se anche la seconda parte di quell’esperienza fosse un pezzo di messaggio onirico, e che la traduzione dovesse essere: in futuro un gatto cercherà di entrare nella tua vita, ti illuderai che sia Giacinto che ritorna, ma non sarà così, ti accorgerai che è un altro gatto, che non è lui. Quel sogno, congegnato per informarmi che Giacinto stava per rientrare nella mia vita, e per aiutarmi a trovarlo, invece per poco non ha combinato una catastrofe, essendo stato un po’ maldestro quello spazio che me l’aveva comunicato: per via dei dubbi che mi vennero sulla sua interpretazione, non riuscii a convincermi che il gattino di Rita e Valerio fosse Giacinto, anzi inclinai per il no, e così stavo per perderlo per sempre: dissi infatti a Rita e Valerio che non avrei preso il gattino. Ma il 1° di aprile, che era una domenica, mi recai appositamente a casa dei miei due amici per vederlo; speravo di riuscire a levarmi dai miei dubbi, pensavo che, se davvero quel micetto nero era Giacinto, mi avrebbe riconosciuto e avrebbe dato qualche speciale segno di affetto verso di me. Il micetto, invece, non si curò affatto di me: giocò volentieri col topolino finto che gli avevo portato in regalo, poi si distrasse, divertendosi molto, con gli uccellini della grossa voliera che Rita tiene sul balcone; me, non mi degnò di uno sguardo. “Non è lui” dissi a Rita e Valerio, ai quali avevo confidato che stavo cercando l’anima del mio vecchio gatto, perché essi sono persone di mentalità molto aperta e credono nella reincarnazione. Peccato che essi siano aperti, sì, ma solo agli irrazionalismi in voga, in quanto credono a tutto quello che sentono di alternativo al sapere ufficiale, tranne che a ciò che è dimostrato per via logica, sicché nemmeno con loro posso avere un dialogo. Mi hanno frequentato per un po’ perché erano interessati allo shiatsu, ma poi, infastiditi dalla mia filosofia, sono spariti, come tutti gli altri. Povero Gregorio, sempre solo!

7.4.Comunque si sa che effetto fanno i gattini sulle anime solitarie dei mystai, degli uomini erotici(3): chiesi a Valerio se poteva tenere il micetto nero in casa sua, mentre io avrei pensato al suo mantenimento, ma mi rispose di no, che aveva la casa già piena di animali (e di figli: Rita e Valerio hanno tre bambini, e in più hanno accolto in casa il figlio di un fratello di lei un po’ sconsiderato e irresponsabile), gatti, uccellini, tartarughe, pesci rossi; ora questo gattino, l’ultimo rimasto della sua cucciolata, voleva sistemarlo, doveva risolvere il problema in qualunque modo. Mi venne un brivido: pensava forse, alla peggio, di sopprimerlo? Occorreva prendere una decisione molto in fretta, e l’incertezza mi angosciava perché nonostante la mia cattiva interpretazione del sogno del 14 gennaio e l’indifferenza del gattino verso di me, qualcosa mi diceva che stavo sbagliando, qualcosa dentro di me ancora mi avvisava che quello poteva essere Giacinto... Consultai febbrilmente i quaderni dove tengo registrati i sogni; non trovai niente di decisivo in quei pochi che riuscii a rileggere nel breve tempo concessomi (bisogna anche considerare che in quel periodo ero impegnato nella stesura della mia tesi di laurea, e avevo delle scadenze da rispettare), ma il 6 di aprile telefonai a Rita e, mentre mia madre mi strillava nelle orecchie che lei non voleva un altro gatto, che era assolutamente contraria, che mi avrebbe cacciato fuori di casa, me e il nuovo gatto, e così via, io comunicai alla mia amica la mia decisione, che cioè il gattino l’avrei adottato io.

7.5.Tante considerazioni mi avevano spinto a questo, ma la fondamentale era che nell’ambito di un lungo sogno, da me registrato sotto la data 12 giugno 2000, e quindi risalente a circa dieci mesi prima, in una delle scene in esso contenute compariva

 

un gatto straordinariamente bello perché di un colore nero particolare, uno strano nero luminoso che emana una luce indescrivibile, non è tigrato come i soriani, è un nero compatto di una tonalità particolare bellissima; vedo anche gli occhi neri e lucidi di questo gatto straordinario.

 

Questo sogno non collegava con Giacinto il gatto nero e, anzi, per il resto mi risultò incomprensibile, perché raccontava di avvenimenti della mia vita che sarebbero dovuto accadere dopo, la cui criptica profezia capisco dunque solo ora, a posteriori; e anche l’episodio del gatto non era immediatamente comprensibile, e non lo è nemmeno ora, sicché devo ritenere che i fatti che esso profetizza non si siano ancora verificati a tutt’oggi e che questo sogno non parlasse affatto di Orfeo(4). Però allora, nella foga del momento, pensai che questo messaggio onirico si riferisse al mio incontro col gattino nero di Rita e Valerio, e che mi parlasse della sua particolare bellezza, fisica o spirituale che fosse; ma dunque, se questo micetto è una creatura straordinaria -dissi a me stesso- perché non goderne? perché perdere l’occasione di essere confortato nella mia vita così solitaria e triste da qualcosa di bello?

7.6.Sono sicuro che il simbolo del gatto nero presente in questo sogno è stato congegnato apposta per spingermi ad adottare Orfeo: per esprimere il medesimo significato, che oggi posso a malapena intravedere come evento futuro, i mondi avrebbero potuto usare qualche altra immagine, magari anche più perspicua. Ma fecero apposta, provvidenzialmente, a farmi incontrare questa immagine, sapendo che io l’avrei fraintesa, per evitare che Giacinto finisse altrove, per restituirmelo, perché avevano ascoltato le mie proteste e avevano trovato valide le mie ragioni; e anche Giacinto, evidentemente, voleva tornare da me. Per lo stesso motivo, sospendendo eccezionalmente le loro artificiose leggi della genetica, quelle che controllano l’ereditarietà dei caratteri fisici, in mezzo a tanti micetti chiari ne avevano fatto nascere uno nerissimo, perché così nessuno lo ha voluto, essendo i Milanesi ancora assi superstiziosi, e così il gattino è rimasto scartato, è rimasto per me. Il papà di Orfeo era un siamese di pura razza e la sua mamma gatta è una di quei persiani dal pelo lungo, perfettamente candida, e non si capisce da dove può essere saltato fuori il nero profondo del pelo di Orfeo. Io non ho scelto attivamente tra i micetti della cucciolata, ma ho aspettato che ne rimanesse uno solo, cosa che accadde il 18 marzo, prima di fare il mio passo iniziale, perché ero sicuro che se avessi scelto io, avrei preso quello sbagliato e perciò preferii fidarmi del destino. I mondi sanno calcolare al millimetro l’entità e la direzione delle forze efficaci nella tua anima, sanno a quale argomento sei sensibile e a quale no, che desideri hai, che sentimenti provi, che pensi; sanno dunque prevedere senza tema di errore le tue decisioni. A volte danno una spintarella verso una soluzione piuttosto che un’altra, e questo è il caso: bastò farmi vedere un micetto scartato da tutti e in pericolo di vita, bastò istillarmi l’idea che era una creatura di bellezza particolare perché io, anche senza essere stato capace di capire se la sua anima era la stessa che avevo conosciuto in Giacinto oppure no, decidessi infine di prenderlo con me. E così mi hanno restituito ciò che mi avevano tolto.

7.7.E che i mondi siano stati ben attenti a ridarmi il mio gatto, e abbiano dunque congegnato le loro manovre sottilmente per evitare errori, lo dimostra il modo in cui hanno congegnato il contenuto del seguente sogno, da me ricevuto in data 3 settembre 2000:

 

Un gatto nero molto bello, dico che questo non è Giacinto, non è quello che cercavo; in trasparenza, però, vedo riemergere sotto il nero del suo pelo delle screziature come di soriano marmorizzato, uguali a quelle di Giacinto; ma il pelo è nero profondo, una sfumatura straordinariamente bella.

 

Questo messaggio è stato congegnato apposta perché io, solo dopo aver conosciuto e adottato Orfeo, e dopo essere entrato in possesso della sua data di nascita, trovassi in questo sogno la conferma che quello era proprio il nuovo Giacinto. Infatti, il sogno profeticamente descrive me mentre osservando il piccolo Orfeo dico a me stesso e ai miei amici che non è lui quello che cerco, non è Giacinto, salvo poi accorgermi gradatamente che, invece, sotto la nuova personalità si poteva ancora intravedere quella passata, cosa che in effetti, come dirò qui di seguito, si è poi puntualmente verificata. Ho potuto così riconoscere a posteriori tutta la vicenda e ritener confermato che, nonostante la mia prima esitazione, avevo ritrovato il gatto giusto, anche perché la data del sogno 3/9/2000 corrisponde a quella della nascita di Orfeo, 28/1/2001, visto che il 3 del giorno, scomposto, ci dà l’anno 2001 (infatti, 2+1=3), mentre il 9 e il 2 del mese e dell’anno servono per fare 28/1 (28+1=29). Ma c’è da chiedersi perché questo sogno non sia stato più esplicito, perché non mi abbia mostrato direttamente Giacinto sotto l’aspetto di quel gatto nero, invece che farmi dire “non è lui”, e limitarsi poi soltanto a mostrare le sfumature del soriano vagamente visibili in trasparenza sotto al pelo nero, lasciando il finale così in sospeso. Ebbene: se questo sogno fosse stato più esplicito, se avesse fatto comparire un inequivocabile Giacinto, sarebbe successo un disastro. Infatti capitò nel dicembre successivo che, essendo io già avvisato della possibilità che l’anima di Giacinto si reincarnasse, la mia attenzione fosse attirata da un annuncio pubblicato nella Bacheca di Tuttomilano, un inserto del quotidiano La Repubblica, dove un gattino di tipo grigio certosino cercava qualcuno che l’accogliesse. “Sarà lui?” pensai angosciato e preso dal panico; poi andai a cercare consiglio nei sogni. Era il giorno 2 dicembre, e cercando all’indietro nelle mie registrazioni di messaggi onirici, inevitabilmente incappai in questa del 3 settembre precedente, che aveva gli stessi numeri: infatti il 12, che esprime il mese, può corrispondere a 3+9, somma del giorno e del mese della data del sogno, e il 2, che è il numero del giorno, può corrispondere alla cifra 2 dell’anno 2000: 2/12 può essere corrispondente a 3/9/2000, perché 2+12=3+9+2. Sicché se avessi trovato nel sogno la certezza inequivocabile che il gatto nero del suo contenuto era proprio Giacinto, trascurando la sfumatura diversa di colore -in fondo i sogni non sono mai precisi su questi particolari e il certosino è un gatto più scuro di com’era Giacinto- mi sarei precipitato ad adottare il gatto dell’annuncio, perdendo così la possibilità di ritrovare il vero Giacinto. Invece, quel 2 dicembre, quando lessi nella mia registrazione: “dico che questo non è Giacinto, non è quello che cercavo” mi convinsi che il messaggio del sogno mi stesse avvisando che quello era il gatto sbagliato, trascurando di capire che cosa potesse significare la frase successiva, e non risposi all’annuncio trovato nella Bacheca di Tuttomilano. Questo messaggio onirico è stato congegnato apposta, molto abilmente, perché succedesse così, anche se il suo significato era diverso da come l’ho inteso io quel 2 dicembre. Quando arrivò la notizia dell’esistenza di Orfeo, come ho detto, non fui capace di risolvere la questione in breve, ma i mondi già avevano messo in atto la mossa opportuna per spingermi ad adottarlo comunque, con il messaggio sopra riportato al §7.5, anche se poi esso parlava di tutt’altro, e le cose andarono a posto.

7.8.I mondi, dunque erano sicuri di quello che facevano; quanto a me, invece, come ho detto all’inizio del presente libro, non ero affatto certo né che quel gattino nero fosse Giacinto, né che non lo fosse. Nel prenderlo con me pensai, però, che se anche quel micetto non era Giacinto, la mia decisione poteva servire a impedire che Giacinto si reincarnasse, non trovando più posto in casa mia, sicché avrei potuto continuare con le mie ricerche nel post mortem e rivederlo ancora. Ma poi, studiando con calma i vecchi sogni (ne porterò qualche esempio nel prossimo libro), capii che non ce n’era bisogno, che la mia ricerca era finita, che avevo di nuovo Giacinto con me. Cominciai a sospettarlo il 10 aprile, dal primo istante in cui il nuovo gattino entrò in casa: la prima cosa che fece fu acciambellarsi sullo sgabello del corridoio a fianco della porta della cucina, e cioè nel posto preferito da Giacinto, e con un’espressione che non dimenticherò mai, quella di chi, dopo essere stato via tanto tempo e dopo aver passato tante traversie, si sente finalmente a casa. Di solito i gatti e i gattini, in un ambiente nuovo, e di fronte a persone sconosciute, si mostrano smarriti e spaventati e come minimo trovano qualche nascondiglio dove rintanarsi, o sotto un mobile o in qualche cantuccio. Orfeo no, ma appena arrivato sembrava già a casa sua; la seconda cosa che fece fu saltare sul piccolo tavolo bianco della cucina, cercando qualcosa da mangiare. Il tavolo in quel momento era vuoto e pulito, non c’era traccia di cibo che potesse attirarlo, ma quello era esattamente il posto che aveva scelto Giacinto per mangiare: Giacinto aveva uno spiccato senso della dignità, un certo orgoglio, e quando era piccolissimo decise che si sarebbe rifiutato di mangiare per terra, in una ciotola apparecchiata su un foglio di giornale; mi fece capire che lui voleva mangiare sul tavolo come i grandi, e io, in brodo di giuggiole anche per gli straordinari salti che faceva in elevazione da fermo per salire sul tavolo e mostrarmi dove voleva gli collocassi la pappa, oltre che per quella sublime espressione che aveva sul musino (mi guardava fisso col tono di chi dica: “esigo rispetto”), lo accontentai, e così quel tavolo, in breve, fu suo. Orfeo, immediatamente, riprese possesso del tavolo, e ancora oggi quello è “il tavolo dei gatti”; noi mangiamo in sala da pranzo.

7.9.Inoltre, finalmente si sciolse con me e mi mostrò che non mi considerava un estraneo: una delle mattine seguenti, mentre dormivo, si mise ad accarezzarmi le gambe con le sue zampine vellutate, mi svegliai a questa sensazione inconsueta e incantevole; e un’altra mattina mi ritrovai nel dormiveglia, riscosso da una voce infantile che mi chiamava: “babbo! babbo!”. Tornato nello spazio terreno, mi resi conto che era il gattino, il quale era stufo di aspettare che io mi svegliassi, aveva voglia di giocare, e mi stava chiamando con un miagolio che suonava: “uah vù, uah vù!” e che -lo giuro- assomigliava molto alla parola “babbo”. Quello spazio me ne aveva dato una traduzione in simultanea, evidentemente. Insomma, il micetto mi aveva già come suo punto di riferimento senza che io avessi dovuto fare nulla per fargli capire che il suo “babbo”, e anche la sua mamma, ero io. Andai dunque con più calma alla ricerca dei sogni la cui data corrispondesse alle date-chiave di tutta la vicenda: 28/1/2001, la sua data di nascita; 22/2/2001, il giorno in cui ebbi la notizia della cucciolata; 1/4/2001, il giorno in cui l’ho visto per la prima volta a casa di Valerio e Rita, e 10/4/2001 (che aveva, per combinazione, cifre identiche a quelle della data precedente), il giorno del suo arrivo in casa mia; considerando anche che i sogni impiegano una doppia datazione perché, come avevo scoperto per altre vie, l’anno 1993 viene considerato dai mondi l’ultimo dell’Evo di mezzo (33 d.C.-1993 d.C.), e il 1994 è dunque, anche se nessuno se n’è accorto sulla Terra, l’anno 1° dell’Evo nuovo, il terzo evo della nostra storia. Così periodizzano(5) i mondi, diversamente dalla storiografia accademica terrena. Sicché l’anno 2001 era anche l’8 dell’Evo nuovo (abbreviamo, d’ora in poi: e.n.) e così via. Devo chiedere alla Lettrice, o al Lettore, di prestarmi un po’ di fiducia su questo, perché non posso fermarmi qui a dimostrare quanto dico, è materia complessa e occorrerebbe un’esposizione lunga e complicata. Sarà materia di futuri scritti, altrove; qui basti averlo accennato(6).

7.10.Intanto, non dovetti cercare molto lontano, dopo che finalmente ebbi la data di nascita precisa della cucciolata con Orfeo: quella stessa mattina del 28 gennaio 2001 avevo trascritto un breve sogno chiarissimo:

 

Qualcosa di strano con due teglie che contengono i resti, una, di Giacinto, e, l’altra, di qualche altro animale, come se dovessimo mangiarli, cosa che dà un’impressione di stranezza.

 

Come ho già detto, “mangiare”, nei sogni può voler dire saziarsi della compagnia di qualcuno e la “teglia”, dunque, dove nel sogno venivano “cucinati”, perché noi li potessimo “mangiare”, i resti di Giacinto e dell’altro animale, e cioè la loro anima, che è appunto ciò che resta dopo la morte, simboleggia il corpo aggregato che ci consente di stare con loro nello stesso spazio e di goderne la compagnia. Infatti due anime si stavano incarnando nello stesso momento, quella di Giacinto e un’altra, una in Orfeo e una (come detto sopra, al §7.2) nella bambina ancora in gestazione della mia allieva S.B.: la cosa era stata proprio concomitante, perché S.B., la quale mi aveva dato la festosa notizia il 15 marzo, facendo i conti sostenne di essere rimasta fecondata da suo marito proprio tra il 27 e il 28 gennaio precedente, negli stessi giorni della nascita di Orfeo. Sicché c’era ancora un solo margine di incertezza: la “teglia” con i resti di Giacinto era Orfeo o la bambina di S.B.? Ritenni poco probabile che Giacinto andasse a incarnarsi in una famiglia diversa; e comunque, il 27 marzo, quando il micetto era già nato e la bambina di S.B. era in gestazione, avevo avuto la seguente visione:

 

Sono in camera mia (scil.: in uno spazio diverso ma che riflette le stesse forme macroscopiche di camera mia e degli oggetti in essa contenuti), e vedo che sopra l’armadio ci sono due gatti: uno è Miranda, l’altro sicuramente è Giacinto. Cerco di vedere Giacinto che è dentro a una delle mie scatole di cartone per la biancheria (quelle che prima tenevo a fianco della libreria e dentro le quali Giacinto, da vivo, amava rifugiarsi a dormire; poi le avevo spostate sopra l’armadio, esattamente dove la visione le rappresenta), quella collocata più in alto; cerco di ritrovare la visione del suo corpo grigio-argentato, ma invece vedo che ha l’aspetto di un gatto comune, un soriano più scuro come Miranda. La cosa mi fa disperare, dura a lungo, perché o non è lui o ha cambiato aspetto. Come fare a riconoscerlo? Ha cambiato aspetto? sarebbe un disastro! Urlo piangendo che Giacinto non è più lui...

 

Giacinto mi stava avvisando che si era reincarnato: è infatti dentro a una scatola di cartone, e nei sogni ciò che è di materiale deperibile simboleggia il corpo terreno che è mortale e cioè, appunto, deperibile; e mi avvisava anche che ora aveva l’aspetto di un gatto comune, e non più quello di un soriano grigio marmorizzato dai riflessi argentati. Non c’è alcun cenno alla natura umana, che, invece, avrebbe dovuto essere rappresentata in qualche modo nella visione, se Giacinto si fosse trovato nella fase di una simile trasformazione, se stava, per così dire, indossando la forma umana. Se Giacinto si era mostrato in una scatola di cartone dove era già stato e dove gli piaceva stare, era per dire che stava di nuovo in una forma specifica a lui già consueta, che egli già aveva sperimentato in passato, e cioè quella di gatto, non quella umana. C’è da aggiungere che quando i sogni mostrano animali strani dalla forma vaga e incomprensibile, come era stato nel sogno delle teglie per descrivere la reincarnazione che non era Giacinto, in genere alludono ad esseri umani, perché mentre gli altri animali sono anime innocenti, dalla forma ben netta e comprensibile, gli uomini sono involuti in forme maligne vaghe e complicate, difficili da capire. Comunque, ebbi la conferma di questa mia congettura, che l’anima di Giacinto fosse quella tornata da me sotto forma di Orfeo(7) e non quella che stava per entrare nel corpo aggregato in gestazione nell’utero(8) di S.B., da molti altri sogni, alcuni dei quali vedremo qui di seguito.


NOTE AL LIBRO VII.

 

Nota 1: certi psicologi o certi esoteristi direbbero che io sono un “empatico”, usando, come è loro consuetudine, una parola priva di significato, perché coniata appositamente a posteriori per indicare un fenomeno senza averne dato la retta definizione con metodo logico: si usa in questi ambienti chiamare così chi percepisce chiaramente i sentimenti o gli stati d’animo interiori dei suoi interlocutori, considerando questa capacità come una specie di dono, un potere “paranormale”. In effetti, anche quando sono nello spazio terreno, ho questa capacità di percepire nettamente i moti affettivi dei miei simili, ma questa non è né un dono di chissà chi né un potere “paranormale”, bensì è una delle normalissime capacità che avrebbero tutte le anime, se non fosse che molte persone, per egocentrismo, omettono di prestare attenzione ai sentimenti altrui. Inoltre, bisogna dire che spesso questo tipo di percezioni rimane offuscata per il fatto che le persone negano ipocritamente di avere dentro di sé certi affetti e certi stati d’animo, e le loro manifestazioni esteriori sono spesso in contrasto con essi, sicché uno che li percepisca crede poi che questa percezione sia stata ingannevole, che sia stata frutto della propria immaginazione, e magari se ne fa una colpa, mentre è ingannevole e ipocrita l’immagine che vogliono dare le persone di sé stesse. Anch’io ho avuto bisogno di parecchie esperienze, prima di cominciare a fidarmi di queste percezioni e a prestare loro maggior attenzione.

 

Nota 2: questo può farci capire come funzionano i sogni comuni: come già detto nel testo principale, al §8.10, anche gli oggetti visti in questo tipo di sogni sono veri oggetti (nel nostro senso ridefinito di questo termine, ovviamente): il gatto che ho visto nel sogno del 14 gennaio non era Giacinto, ma un attore che recitava il ruolo di Giacinto, che fungeva cioè da segno in un messaggio che parlava di lui, e comunque, ciò nondimeno, era un essere reale, probabilmente un gatto disincarnato e vivente nei mondi dei corpi semplici, oppure un demone; anche i sogni comuni sono dunque dei viaggi e degli incontri nei veri mondi e sono, come le visioni, comunicazioni della nostra anima con altri spazi, solo che essi, nel comunicarci il messaggio onirico, condizionano la nostra anima impedendoci di focalizzare l’attenzione sul fatto che non siamo, in quel momento,  nel consueto spazio terreno e possono anche sottrarci alcuni ricordi e istillarci alcune convinzioni, piegando il nostro pensiero: per esempio, io ero convinto, un istante prima, di aver visto Giacinto, laddove c’era un gatto solo un po’ simile a lui, perché quello spazio mi aveva come “ipnotizzato”, per dir così, mi aveva cioè comunicato imperiosamente il pensiero che quello fosse Giacinto e, inoltre, non ricordavo più che Giacinto era morto, perché quello spazio mi aveva eclissato tale ricordo, e per di più consideravo casa mia una casa completamente diversa da quella reale nel mondo fisico ed ero convinto di stare lì aspettando che Giacinto tornasse dopo una semplice passeggiata, tutte convinzioni queste prodotte dal condizionamento di quello spazio sulla mia coscienza. Per questo, in genere, quando ci risvegliamo dai sogni siamo convinti di aver visto qualcosa di non reale, perché magari ci era sembrato di vedere una persona morta, e che fosse ancora qui con noi nella vita terrena o, insomma, perché nei sogni vediamo le cose come nel mondo fisico non stanno; ma, invece, ciò che vediamo nei messaggi onirici è reale, quanto è reale un gruppo di attori che mettono in atto una recita in uno scenario contenente degli oggetti di scena. In quel caso dev’essere semplicemente successo che io mi sia riscosso dal condizionamento ipnotico operato su di me da quello spazio, ma senza tornare nello spazio terreno, bensì continuando a ricevere le immagini e le sensazioni del medesimo spazio del sogno, sicché ho potuto già lì recuperare le mie memorie e rendermi conto che quel gatto non era Giacinto, perché il vero Giacinto era morto (e si noti un particolare interessante, che le mie riflessioni con me stesso avevano comunque ricevuto un’immagine simbolica in quello spazio, e cioè quella di me che parlo con mia madre). A onor del vero, dunque, bisogna dire che questi spazi non fanno così per ingannarci, ma con la loro recita, col loro messaggio congegnato nel loro tipico linguaggio criptico, ci avvisano sul futuro o su vicende del passato o del presente il cui vero senso ci è rimasto nascosto, ossia su cose che non conosciamo, e che invece così possiamo scoprire, se sappiamo tradurli correttamente.

 

Nota 3: sul significato dell’espressione mystes o “uomo erotico” vedasi: L’Essere, l’Anima, i Mondi, punto 7 della Conclusione e passim. E sulla propensione dell’anima erotica ad innamorarsi dei micetti si ricordi quanto detto supra, §1.3 e segg.

 

Nota 4: l’immagine del messaggio onirico, che precedeva la menzione del gatto nero straordinariamente bello, e la cui profezia si è realizzata più tardi e che dunque ho potuto capire solo in seguito, è quella di me che stavo lavorando a maglia, ma che avevo iniziato due lavori contemporaneamente, prima pensando che fossero due parti dello stesso maglione, poi invece accorgendomi che andavano separati. E’ quello che poi è accaduto, in effetti, a partire dal 1°/1/2007: in quel periodo mi sono messo a scrivere due opere contemporaneamente: Il fondamento della ricerca e Introduzione alla scienza sacra (lavorare a maglia, cioè concatenare punti, significa ragionare per via logica, cioè concatenare argomenti), pensando di inserirle entrambe nella stessa raccolta, quella che ho offerto nel presente sito, salvo poi rendermi conto che la seconda delle due non era adatta a essere divulgata subito, sicché l’ho tenuta da parte per utilizzarla in qualche altro ambito; e, in mezzo ad altre cose già verificatesi che qui non mette conto citare, c’è poi la scena del gatto nero, che invece non corrisponde a nulla di ancora realizzatosi: c’erano tre gatti, tutti e tre miei nel sogno, ma era ben chiaro che nessuno dei tre fosse Giacinto (sicché anche per questo, quando adottai il micetto di Rita e Valerio, lo feci convinto che non fosse affatto Giacinto). Ripensando con più calma a questa scena mi sono reso conto più tardi che non aveva alcun significato, se riferita alla vicenda del micetto nero e di Giacinto, perché non c’era nessun motivo di rappresentarne tre, a meno che questo messaggio non profetizzasse l’arrivo di un terzo gatto dopo Miranda ed Orfeo, cosa che però non si è mai verificata, sicché a tutt’oggi propendo per pensare che questa scena del sogno mi annunci (come d’altronde ho già letto in profezie di altro tipo) l’arrivo nella mia vita non di tre gatti, ma di tre anime potenzialmente elette, poiché, come ho già detto altrove, i gatti, animali capaci di vedere nel buio e che sanno amarti solo se li rispetti, possono simboleggiare gli eletti, le anime cioè che, essendo sapienti, sanno affermare i propri diritti di fronte a Dio, all’assemblea dei mondi, e lo amano solo se agisce rettamente e con giustizia, anche per antitesi coi cani, che sono i fedeli della religione tradizionale,  in quanto propensi a essere fedeli, appunto, anche a un padrone violento che manca loro di rispetto, come quelli che credono a un Dio unico e onnipotente e che gli tributano un culto.

 

Nota 5: i mondi fanno iniziare l’Evo volgare o Evo di mezzo non alla nascita di Cristo, ma all’anno della sua morte, e cioè dopo il 33, perché la sua vita fa ancora parte del mondo antico, in quanto egli è ancora un uomo del mondo antico, formato in parte dalla matrice giudaica, in parte dalla matrice ellenistica: la sua anima era formata soprattutto dalla filosofia socratico-platonica e così la sua dottrina fa parte ancora della tradizione del mondo antico. L’Evo di mezzo inizia quando inizia il Cristianesimo fasullo, quello che con la vera dottrina del Cristo non ha niente a che vedere, il quale ha la sua radice nella predicazione di Pietro e di Paolo, iniziata, appunto, appena dopo la morte del Maestro, nell’anno 33, che dunque è l’ultimo del mondo antico, essendosi in esso verificata quella che gli storici chiamano giustamente “la grande svolta”. Ma gli storici più sapienti, quelli sopramondani, sottolineano, con la loro periodizzazione diversa da quella accettata nell’accademia umana, come la tradizione apostolica, quella su cui la Chiesa di Roma fonda la propria autorità e il proprio monopolio sul Cristo e sulla sua dottrina, non discenda affatto dagli insegnamenti del Cristo e come non ci sia alcuna continuità tra il pensiero del vero Gesù e tale tradizione: infatti essi segnano, col far finire l’ Evo antico nel 33, una cesura netta tra i due fenomeni, per dire che per loro ciò che è accaduto in quell’anno ha prodotto una soluzione di continuità, ossia che tale tradizione della Chiesa apostolica non ha il suo inizio negli anni precedenti, nella parola del Cristo, ma è una novità ed un inizio assoluto.

 

Nota 6: posso qui soltanto dare un’indicazione sul valore di questa data, il 1993, come ultimo anno dell’Evo medio: nel Levitico (25,8 e segg.), c’è un famoso passo che recita: “Conterai sette settimane di anni... Dichiarerete santo il cinquantesimo anno e proclamerete la liberazione nel paese per tutti i suoi abitanti.” Questa è la profezia della durata dell’Evo di mezzo, perché parla di un periodo divisibile in 7 periodi a loro volta ancora divisibili per 7, e cioè di un periodo esattamente divisibile per 49. Ebbene, il periodo che va dal 33 d.C. al 1993 è lungo 1960 anni e la cifra 1960 è divisibile esattamente per 49. Infatti 1960:49=40. A maggior riprova, nel versetto 25,9 è riportata un’altra coppia di divisori del periodo in questione: “Al decimo giorno del settimo mese...” significa, infatti: dopo un periodo divisibile prima per 7 e poi per 10..., e 1960 è appunto divisibile in 7 “mesi” lunghi ognuno 280 anni, i quali “mesi” sono a loro volta divisibili in 10 “giorni”, lunghi ciascuno 28 anni. Il periodo che seguirà, dice la profezia, “sarà per voi un giubileo” (25,10): questo è il vero giubileo, non quello celebrato dai Cattolici che scelgono le loro date a vanvera e giubilano a casaccio.

 

 Nota 7: devo aggiungere che anche i fatti successivi mi hanno dato ragione, perché dopo qualche anno ho rotto i rapporti con la mia allieva S.B., l’ho espulsa dalla mia piccola scuola di yoga insieme ad altre, per la loro mancanza di rispetto verso di me, e non l’ho più rivista, sicché, se Giacinto fosse tornato nella bambina di costei, non si potrebbe certo dire che egli sia con me “dall’altra parte di Milano” cioè nella mia vita presente, come invece asserisce chiaramente il sogno del 29 ottobre 1991, riportato qui sopra al §7.1.

 

Nota 8: il pessimo trattamento che fa la psicoanalisi dei simboli vorrebbe che la scatola simboleggi l’utero, ma non è così: è completamente assurdo pensare, come faceva Freud, che tutte le cose cave simboleggino l’utero o la vagina e le cose allungate il fallo, i sogni si esprimono in tutt’altro modo e non usano un linguaggio tanto rozzo. Dalla mia esperienza ho compreso che nel linguaggio onirico un corpo fisico di sesso femminile può essere simboleggiato da una pianta con il fiore, mentre le piante senza fiore alludono a corpi fisici di sesso maschile, perché il fiore è l’organo femminile della pianta; e un abito a fiorellini, parimenti, significa un corpo fisico di sesso femminile. E per mostrare specificatamente l’utero, i sogni impiegano un anello (anello=un cerchio, cioè un ciclo vitale, una vita e dunque una persona) con lo spazio per il castone: questo spazio è appunto l’utero, e se la pietra vi è incastonata effettivamente quella è una donna che ha avuto dei figli, se invece il castone non c’è e all’anello manca la pietra, si tratta di una donna senza figli. La gestazione viene espressa da una casa in fase di ristrutturazione, oppure dall’atto di entrare in una vasca da bagno, ma la vasca da bagno non è l’utero, né l’acqua è il liquido amniotico (i sogni non parlano mai delle realtà fisiche con questa precisione anatomica, perché esse sono solo simulazioni e non sono realtà, e i sogni parlano della realtà): l’acqua simboleggia la coscienza del sistema nervoso entro cui l’anima si trova come immersa, durante la sua vita terrena. E hanno torto gli psicoanalisti quando vedono nella candela un simbolo fallico (che idiozia!), perché la candela, come tutte le cose che si consumano, è simbolo del corpo terreno, che, appunto, con il tempo invecchia e si consuma, mentre lo stoppino è simbolo dell’arco di tempo che l’anima, rappresentata dalla fiammella, passerà legata a tale corpo terreno. Infatti, se una donna sta tentando di rimanere incinta, sognerà sé stessa nell’atto di tentare di accendere una candela e se vi riesce la gestazione andrà a buon fine, altrimenti no. E una donna destinata a rimanere incinta può anche sognare che un altra persona entri con lei nella stessa vasca da bagno in cui ella si sta lavando, perché per un certo periodo madre e bambino hanno lo stesso corpo fisico e dunque lo stesso sistema nervoso. Non l’utero, ma l’atto di nascere in un nuovo corpo aggregato viene a volte espresso come un ascensore, perché l’ascensore ti fa cambiare di piano, cioè di spazio; e anche prendere il treno significa nascere, perché nascendo stai iniziando un viaggio, la tua vita; ma anche scendere da un treno può significare la tua nascita nel mondo dei corpi aggregati, perché hai appena terminato un viaggio, cioè la tua vita nel mondo dei corpi semplici, e la stazione in cui ti trovi scendendo dal treno rappresenta la tua famiglia di origine. Sicché prendere un treno può significare sia nascere che morire, cioè iniziare una nuova vita o nel corpo fisico o dopo la sua morte e parimenti scendere da un treno può significare sia morire che nascere, perché in entrambi i casi si è alla fine di un viaggio, o quello terminato col morire del corpo fisico o quello compiuto nella vita in stato disaggregato, a riprova del fatto che quel che gli uomini chiamano nascita è anche una morte, e che, viceversa, ciò che noi chiamiamo morte è anche una nascita. Spero che già da questi pochi esempi la Lettrice, o il Lettore, si possa rendere conto che il linguaggio simbolico dei sogni non è il mezzo che usa un “inconscio” per sostituire con immagini “innocenti” quelle censurate perché scabrose o perturbanti per la coscienza; invece, il simbolismo è, in generale, ciò che rende visibile le realtà invisibili e, in particolare, il simbolismo dei sogni è un sofisticato codice cifrato che nasconde le verità agli stolti e ai presuntuosi, e cioè agli indegni (compresi quegli abominevoli pseudo-scienziati che presumono di analizzare la psiche altrui con metodi assurdi fondati su teorie completamente irrazionali), per comunicarle solo a chi è in grado di procurarsi la vera sapienza e dunque di comprenderlo.


LIBRO VIII.

 

 

 

 

 

IO TI CERCO NEI SOGNI.


LIBRO VIII.

 

INDICE DEGLI ARGOMENTI.

 

Sogni comuni che mi confermano l’identità di Orfeo e Giacinto: il gatto persiano candido e le mandorle(8.1-8.2); Giacinto con le zampe nell’acqua, e un messaggio molto esplicito(8.3); il sogno dell’elefante(8.4); Giacinto addobbato per Natale con fili di lana(8.6); il sogno dell’uccellino e del letto a castello(8.7); un messaggio scritto in prima persona da Giacinto(8.8); Giacinto rientra perché vuole una porzione di pappa(8.9).

 

Cenni sull’importanza di non confondere sogni comuni e visioni(8.3-8.4). Confronto tra il sogno dell’elefante e la visione del delfino: anche se sembrano simili, appartengono a due specie di esperienze completamente diverse(8.4). Un sogno che profetizza la visione del delfino, il che conferma l’appartenenza di questa al genere delle visioni e non a quello dei sogni comuni(8.5). Si cita un caso particolare, quello in cui in un sogno comune Giacinto recitava la parte di sé stesso, e alla fine del messaggio onirico svela la sua presenza e crea un incontro con me(8.9). Complicazioni e difficoltà: fra attori, simboli onirici, demoni, e così via, non sai mai chi ti trovi davanti(8.10).

 

Breve cenno su: non occorre altro mezzo che il pensiero retto, per entrare nei mondi(8.7, in fondo).

 

Per interpretare rettamente il significato del messaggio onirico, è un elemento importante la corrispondenza numerica fra la data dell’avvenimento e quella del sogno (8.1; 8.3; 8.4; 8.5; 8.6, in fondo; 8.7, all’inizio; 8.8; 8.9).


8.1.Andai all’indietro, e sotto la data del 26 gennaio 2001 trovai la registrazione stenografica di un sogno penoso, che trattava di Giacinto e del suo cambiamento di aspetto. E’ la seguente:

 

In una stanza che nel sogno mi era familiare, ma sconosciuta nella realtà consueta, c’è Giacinto. Ma è completamente cambiato, ha l’aspetto di un gatto come la Brigitta, bianco di tipo persiano, col pelo lungo...

 

La Brigitta era la gattina di una mia affezionata allieva di yoga (dico “era” perché -ahimé- è morta proprio nei giorni della stesura del presente scritto) ed era identica alla mamma di Orfeo, che però io al momento della ricezione di questo sogno non avevo mai visto, anzi, ne ignoravo l’esistenza(1); Orfeo non ha lo stesso fenotipo della sua mamma gatta, come ho detto, ma deve averne ereditato il patrimonio genetico, anche se poi le intelligenze che organizzano la struttura atomica dell’aggregato e quelle che associano ad essa la forma macroscopica non hanno seguito le istruzioni in esso contenute e hanno conferito al nuovo corpo l’aspetto di un gatto completamente nero, per lo scopo di cui sopra si è parlato (§7.6). Per questo nel sogno Giacinto ha assunto l’aspetto di un gatto di tipo persiano a pelo lungo, di colore candido, perché ciò è scritto nel suo nuovo patrimonio genetico, quello di Orfeo. Basta già questo per provare che Orfeo è il nuovo Giacinto, e la cosa è confermata dai numeri della data: se usiamo la nuova datazione (cfr. supra, §7.9) nella quale il 2001 diventa l’anno 8 e.n., la data del sogno appena riferito diventa 26/1/8, corrispondente alla data dell’arrivo di Orfeo in casa mia, il 10/4/2001 (8+1+8=17 e cioè 1+7 equivalente a 1+4+3).

8.2.Questo sogno proseguiva con una chiara spiegazione (chiara per chi sa capirla, ovviamente, e cioè per chi abbia sufficiente dimestichezza col linguaggio dei mondi e con ciò che essi raccontano) di che cosa accade a un anima che viene aggregata a un corpo terreno. Ecco come prosegue il mio resoconto stenografico:

 

...e ha gli occhi molto strani, sembrano due grosse mandorle sgusciate. Dico che tutto questo cambiamento è dovuto al fatto che gli abbiamo rasato una chiazza di pelo, quel suo bel pelo grigio, intendo; lo rassicuro che presto gli ricrescerà. C’è una cesta piena di queste mandorle accanto a questo strano Giacinto-gatto bianco, il quale è sdraiato a terra sotto una sedia o comunque a un mobile di legno (visto solo vagamente); il fatto che queste strane mandorle della cesta siano diventate, adesso, i suoi occhi dà un senso di stranezza, di tristezza... L’immagine di Giacinto è resa da ciò particolarmente penosa, perché queste mandorle che hanno preso il posto dei suoi occhi lo fanno sembrare qualcosa di finto.

 

Io ero contrario, come ho detto, alla sua reincarnazione, al suo cambiamento di forma (cfr. anche supra, §7.10, dove alla fine della visione è rappresentata la mia disperazione per la perdita del suo bell’aspetto), e la pena che provai all’inizio, quando seppi che si stava reincarnando, pari quasi a quella che avevo provato per la sua morte, è correttamente riportata in questo messaggio onirico; ma forse vi è espressa anche una tristezza generale per tutta questa situazione di continue morti e reincarnazioni, che dobbiamo subire e che è estremamente dolorosa per lo spirito. Le mandorle rappresentano i demoni del sistema nervoso, perché sono a forma di occhio e le coscienze intelligenti come codesti demoni sono quelle che hanno la capacità di vedere l’essere e possono dunque rappresentarsi come occhi(2). Ora, quando l’anima è aggregata a un corpo, le immagini sensoriali che riceve dipendono, come già spiegammo nello scritto principale, dalle immagini che i demoni del suo sistema nervoso le comunicano in occasione delle alterazioni che interessano gli atomi componenti gli organi di senso del suo corpo aggregato, ed è per questo che il Giacinto trasformato ha le mandorle al posto degli occhi, perché ora le sue percezioni dipendono da tali demoni, ed è per questo che sembra qualcosa di finto, perché i corpi aggregati non sono vera realtà, ma simulazione. Forse il fatto che le mandorle in questo sogno appaiano come sgusciate vuol dire: tu hai capito bene quello che siamo, hai tolto il “guscio”, l’apparenza esterna, e hai guardato dentro. La posizione del gatto, steso a terra sotto una sedia, rappresenta la sua morte (sul significato di “sedia”, “sedersi” cfr. anche supra, §6.4, in fondo), che però è vista in modo vago ed evanescente perché è un evento superato, non è più così, sono io che lo credo ancora morto, o meglio disincarnato e nascosto nel post mortem, mentre ormai Giacinto (Orfeo sarebbe nato dopo due giorni e io sarei venuto a sapere della cucciolata solo un mese dopo circa) è di nuovo vivo nel mondo terreno. Infine, anche il simbolo del pelo rasato significa morte: il pelo è l’elemento più propriamente animale, e rasarlo, dunque, come anche per gli uomini rasarsi i capelli, nel linguaggio onirico significa “morte” perché il corpo fisico, che è ciò che si separa da noi con la morte, è la parte del nostro essere più propriamente animale. Quella frase del sogno significa dunque che se Giacinto ha cambiato forma è perché il suo corpo aggregato, quello grigio, come è ben specificato nel testo del messaggio, è morto, si è dissolto, e quindi ha dovuto riceverne un altro. La mia rassicurazione “ti ricrescerà” potrebbe essere un’interferenza della mia coscienza individuale, che, addormentata, si credeva nella consueta vita terrena; ho notato spesso questo fenomeno nei sogni comuni, e bisogna stare attenti a espungere questi elementi spuri dal loro dettato, o altrimenti il senso ne rimarrà alterato.

8.3.Non posso qui riportare tutti i sogni che mi comunicavano la trasformazione di Giacinto in Orfeo, perché sono molti e si estendono per l’arco di molti anni, e mi porterebbero ad allungare troppo questo studio, che mi è venuto già fin troppo lungo, ma anche perché la lingua dei sogni sarà oggetto di altri scritti, e riprenderemo perciò tutta questa materia altrove. Ora mi contento di mostrare ancora qualche esempio. In data 23 dicembre 2000 ricevetti due brevi sogni che riguardavano la reincarnazione di Giacinto; ecco il primo:

 

Un sogno complicato sul fatto di non riuscire a riconoscere Giacinto: mi sembra di averlo ritrovato, ma sarà lui? Mi sembra abbia il pelo più scuro... Scena isolata e chiara: gli chiedo esplicitamente se è Giacinto, mi risponde: “sì”.

 

Questa volta il sogno ha usato solo il numero del giorno e del mese, trascurando l’anno, per indicare simbolicamente la data di realizzazione dell’evento profetizzato: 23/12 corrisponde a 1/4/2001 (5+3=1+4+3); e in effetti il contenuto del sogno descrive me mentre, sospettando di aver rintracciato Giacinto, mi trovo davanti a un gatto più scuro, e mi chiedo se davvero quello è lui: esattamente l’evento che si è verificato il 1° aprile 2001. Il sogno aggiunge l’informazione di cui ho bisogno: quella è proprio la reincarnazione di Giacinto. Il secondo sogno della stessa mattina mi mostrava Giacinto alle prese con un piccolo corso d’acqua:

 

Vedo che Giacinto si è bagnato, finendo con le zampe in un fiume o torrentello, o forse in un laghetto; penso che Giacinto odia bagnarsi, invece poi vedo che è entrato volontariamente nell’acqua, e nuota anche.

 

Come nel caso dell’acqua della vasca da bagno (cfr. supra, nota 8 al libro VII) anche il simbolo di immergersi in un laghetto o torrentello significa reincarnarsi, perché il liquido cristallino simboleggia la coscienza del sistema nervoso, e cioè lo spazio entro cui siamo immersi mentre viviamo la nostra vita terrena, quello che ci comunica le immagini di sé e dei suoi contenuti costruendo in sé stesso le immagini delle forme macroscopiche associate alle strutture d’atomi contenute nello spazio terreno, quelle immagini che sono poi gli oggetti comuni della nostra esperienza di veglia, come si ricorderà. Questo messaggio onirico, dunque, completa il precedente, chiarisce cioè che la breve scena a cui fa seguito non è una visione ma un messaggio onirico sul futuro, il quale prevede che io trovi un gatto nel mondo fisico che si rivelerà poi essere Giacinto: esso, insomma, ha la funzione di farmi capire che questo gatto che mi ha assicurato di essere proprio Giacinto non è il suo spirito disaggregato che mi compare in visione, ma è un simbolo onirico che parla del mio incontro futuro con la sua nuova incarnazione. Comunque, grazie alla mia precisione nel trascrivere i messaggi dei mondi, non ho corso il rischio di scambiare il primo di questi due sogni comuni per una visione, perché registro sempre la consapevolezza di essere fuori dallo spazio terreno, nel caso ci sia, che è la differenza specifica tra messaggio onirico e visione, e in questo caso tale consapevolezza non è registrata.

8.4.Questo è un elemento importantissimo, e voglio sottolinearlo qui, perché è facile confondere i due generi di esperienze, sogni e visioni, se non si presta attenzione, rimanendo ingannati, come ho già detto nel testo principale. A questo proposito posso portare il seguente esempio:

 

Qualcosa sul fatto di ritrovare Giacinto, ma non ha il suo aspetto, bensì quello di un elefante. Mia preoccupazione: come farò a tenere in casa un elefante?

 

 

Questo messaggio è arrivato in data 14 agosto 2000, e di nuovo abbiamo la data del mio primo incontro con Orfeo, 1/4/2001, oppure quella del suo arrivo a casa mia, 10/4/2001, che ha cifre identiche, simboleggiata nel giorno e nel mese della data di ricezione del sogno, tenendo conto che qui viene usata la nuova datazione, dove il 2001 è l’anno 8 e.n.: 14/8=10/4/8. Questo messaggio onirico fa riferimento al fatto che Orfeo, essendo il figlio di un siamese, ha ereditato il suo profilo: ha un lungo nasone che, soprattutto quando era piccolo, risaltava un po’ per la sua sproporzione. Appena arrivò a casa nostra, mia madre si mise a brontolare che mi avevano appioppato un gattino proprio brutto, con quel nasone e gli occhietti lievemente strabici, che per di più era sproporzionato nelle zampone troppo lunghe. Povero Orfeo, detto anche, in milanese, nasùn panterùn (nasone panterone)! sembrava il brutto anatroccolo, ma crescendo, proprio come il brutto anatroccolo, è invece diventato un bellissimo gatto, e anche il suo particolare profilo di siamese ora è un tratto assai apprezzabile del suo aspetto. Questo, dunque, era un sogno un po’ scherzoso e conteneva un messaggio profetico, anche se può sembrare assai simile alla visione di Giacinto trasformato in delfino (cfr. supra, §4.4); la differenza è che qui non ero consapevole di stare sognando: come accade più comunemente, mi sono reso conto che non era la consueta esperienza terrena solo nel momento in cui mi sono svegliato, mentre nell’incontro con il delfino ero perfettamente consapevole di aver cambiato spazio, di stare cercando l’anima disaggregata di Giacinto e così via. Perciò, se nel delfino avevo visto una delle sue incarnazioni precedenti, l’aspetto del suo corpo fisico, ovvero l’immagine della forma macroscopica che aveva avuto legandosi a un corpo terreno di specie delfino, nel caso dell’elefante avevo visto un simbolo onirico (elefante=persona dal naso lungo) e non l’aspetto di una sua passata incarnazione. Quanto alla preoccupazione finale, di non poter tenere in casa un elefante, è un altro esempio di come la coscienza individuale del sognatore, non rendendosi conto di stare in un sogno, possa interferire nel messaggio onirico con i suoi pensieri.

8.5.E che la visione di Giacinto-delfino non fosse un sogno comune, ma un episodio reale di visione del presente (mentre i sogni comuni, ricordiamolo ancora una volta, anche se sono comunque esperienza reale, sono esperienza di recite congegnate per descrivere nel criptico linguaggio onirico avvenimenti futuri, e cioè hanno un significato profetico, oppure ci rivelano qualcosa del presente o del passato che ci era rimasto nascosto) è dimostrato dal fatto che, sfogliando all’indietro il mio quaderno dei sogni, ne ho trovata la profezia in un sogno comune; eccone il testo, come l’ho registrato stenograficamente in data 4 aprile 1999:

 

Stavo sognando un delfino, di nuotare nel mare con questo delfino, vedendo un albero subacqueo piuttosto affascinante; stacco e getto via una zolla di terra che mi inquieta un po’ perché potrebbe intorbidare l’acqua. A questo punto, tra le 4 e le 5 del mattino, vengo svegliato dagli strilli di quella vecchia isterica (scil.: mia madre, quella terrena) e dal suo agitarsi perché papà (allora ancora vivo e affetto dalla sua gravissima malattia neurologica) non sta buono e fermo.

 

Di norma, nessun sogno profetizza un altro sogno, ma quando il contenuto di un messaggio onirico racconta qualcosa, questo qualcosa è un fatto che avverrà, non un’altra descrizione anticipata di qualche fatto; sarebbe assurdo dare la profezia di una profezia(3). Perciò l’incontro con Giacinto-delfino profetizzato in questo sogno è un avvenimento reale, una visione, e non un sogno comune. La data in cui questo messaggio onirico mi è pervenuto, 4 aprile, simboleggia quella dell’avvenimento, 13/11/2000, perché 4+4=4+2+2. Nel sogno, inoltre, è rappresentato un albero: è il ceppo della specie delfino, con le sue ramificazioni; in questo modo ci conferma che quello che ho visto era proprio una forma specifica in senso biologico, la forma macroscopica di un individuo di specie delfino. Quanto alla zolla di terra che io nel sogno elimino, è chiaro: ho confutato l’identificazione dell’essere, della coscienza, con il suo corpo di terra, che altrimenti mi avrebbe confuso e mi avrebbe impedito di riconoscere Giacinto in quel delfino (“potrebbe intorbidare l’acqua”). Peccato che il sogno sia stato interrotto dagli strepiti di quell’anima oscura, mia madre, che s’era messa in mente di far durare a tutti i costi quel povero corpo ormai devastato dalla malattia e inservibile, nonché la personalità di mio padre ormai dissoltasi, e che teneva dunque imprigionato in un carcere orrendo e sotto tortura uno spirito che avrebbe potuto serenamente condurre la sua esperienza altrove, libero da pene fisiche e umiliazioni; peccato: forse questo messaggio avrebbe potuto insegnarci qualcos’altro di interessante sul rapporto dell’anima con la specie del corpo fisico. E’ questo un argomento che dovremo impegnarci a studiare in futuro. Qui basti aver confermato che vanno distinti con attenzione i messaggi onirici dalle visioni, e cioè da episodi reali che ci capitino nei mondi spirituali.

8.6.Un esempio più complesso è il sogno del 13 ottobre 2000, quasi sei mesi prima che io ritrovassi Giacinto in Orfeo, facente parte di una sequenza di sogni che parlavano di Giacinto (due ne ho già citati sopra, al §5.5), più uno che descriveva un avvenimento concomitante accaduto in quello stesso periodo, che riguardava solo me e che mi profetizzava un attacco da parte di un gruppo di teppisti: il 5 dicembre 2000, infatti, quasi due mesi dopo il sogno, fui insultato da un docente di Storia della filosofia medioevale durante un esame, un incompetente clericale, che s’infuriò scompostamente perché citavo dei dati storici, che egli invece avrebbe voluto ignorare, su come il dogma cattolico sia stato prodotto da un processo storico e da un’elaborazione umana, e non siano una rivelazione originaria di Cristo; ma quei teppisti del sogno finirono tutti stesi a botte (nel mondo simbolico so picchiare meglio di Bud Spencer), e in effetti accadde che poi io mi trovai l’incompetente come correlatore della mia tesi di laurea, ma, dopo aver letto il capitolo storico che conteneva tutti quei dati che egli avrebbe voluto negare con tanto di documentazione e fonti, il giorno del mio esame batté in ritirata e non si presentò, e mandò le sue domande per iscritto. In questa sequenza di sogni, oltre a quello che parlava della malattia di Giacinto e di quello sulla sua insofferenza per i miei insistenti richiami, dei quali ho già parlato al §5.5, ce n’era un altro che parlava della sua reincarnazione. E’ il seguente, come l’ho trascritto in stenografia quella stessa mattina:

 

C’è Giacinto. E’ Natale e c’è V.C. (era stata mia allieva di pianoforte molti anni prima), stiamo addobbando l’albero di Natale; ci sono dei pacchetti regalo che contengono campanellini e quelli già aperti io li uso per addobbare l’albero, trovo molto grazioso questo addobbo di campanellini dorati...

 

V.C. rappresenta la mia amica Rita, perché entrambe erano state mie allieve, ma entrambe erano state allieve svogliate, che non si erano impegnate gran che (nei sogni una persona con determinate caratteristiche=un’altra persona con caratteristiche simili). Chi parla in prima persona(4), nel sogno, è la Natura, le intelligenze che aggregano corpi, ovvero Dio in funzione satanica (ricordiamoci che non è un diavolo malvagio ma sta compiendo tutta questa impresa a fin di bene, come sa chi ha letto la nostra precedente opera La Natura, disponibile nel presente sito insieme ai suoi complementi); egli si mostra mentre, insieme a Rita, sta facendo incarnare delle anime (i pacchetti con dentro il campanellino sono appunto corpi aggregati con dentro delle anime, perché il campanellino ha la capacità di emettere suoni, come l’anima che è capace di emettere pensieri): Rita, come ho già detto, ha avuto tre bambini e ne ha allevato un quarto non suo, e si è presa cura anche di tante bestiole e ha fatto nascere tanti gattini (non era quella la prima cucciolata in casa sua, infatti), per questo è presente (nascosta sotto l’immagine di V.C.) e collabora mentre Dio, l’insieme degli angeli della Natura, addobba “l’albero di Natale”, e cioè la Terra, con quei pacchetti, sottolineando anche che “sono già stati aperti”, e cioè con corpi aggregati le cui anime si erano già liberate in precedenza dei loro corpi terreni e che dunque ora si stanno reincarnando; questa scena vuole dunque intavolare il tema della reincarnazione. Infatti il sogno procede:

 

Nel frattempo su un tavolo c’è anche Giacinto (è lui anche se non lo vedo proprio bene). V.C. addobba anche lui con dei fili di lana di molteplici colori; disapprovo, perché so che Giacinto non tollera roba addosso, però forse questo è un pensiero di veglia. Ormai Giacinto è coperto di fili di lana... Il gatto non reagisce, sembra docile.

 

Mi ero accorto che la mia disapprovazione alla vista degli addobbi su Giacinto era un’interferenza della mia coscienza individuale nel sogno: il gatto diventava furibondo se si tentava di mettergli addosso qualcosa, o il collarino o il guinzaglio, o anche se solo si trovava una qualunque pinzillacchera sul pelo e io, non sapendo di essere in un sogno, paventavo la sua reazione, anche perché Giacinto infuriato era una potenza della natura. Una volta mi ha fatto quasi letteralmente a fette un veterinario nel momento in cui tentava di introdurgli l’ago per la vaccinazione, divincolandosi mentre io e mio padre lo tenevamo fermo; anche mio padre ne uscì malconcio, io invece non ricevetti neanche un graffio. Perciò bisogna espungere quella frase dal testo del sogno, e non pensare che Dio, ossia i demoni che operano nella Natura, fosse contrario alla reincarnazione di Giacinto in Orfeo, che sarebbe una cosa assurda, visto che le decisioni di questo tipo le prendono loro e solo loro possono farle diventare effettive. La lana è un materiale animale, e dunque rappresenta il corpo animale, quello terreno, e i fili colorati devono essere le catene di atomi che si aggregano in cellule, tessuti e organi  per formare il nuovo corpo. E’ grazie a Rita se i nuovi gattini sono nati, ed è per questo che il sogno mostra lei, dietro al simbolo abbastanza trasparente dell’altra mia allieva, occupata ad addobbare Giacinto coi fili di lana, cioè a farlo nascere. La data del sogno, giorno e mese, senza l’anno, e cioè 13/10, corrisponde alla data di nascita di Orfeo, 28/1/2001: salta subito all’occhio che il 10 corrisponde a 2+8 del numero del giorno, e il 13 a 1, per gennaio, e al 2+1 dell’anno 2001. Orfeo è Giacinto “rivestito di fili di lana”, è cioè la sua reincarnazione.

8.7.In data 29 novembre 2000 trovo registrato un sogno che riassume tutta la vicenda e mi spiega il perché si è decisa la reincarnazione dello spirito di Giacinto. I numeri della data di ricezione del sogno simboleggiano la data della sua morte: infatti se usiamo la nuova datazione, l’anno 2000 diventa il 7 e.n., e il 29/11/7, e cioè 2+2+7, corrisponde a 7/2/2000, 7+2+2, che è il giorno in cui Giacinto è morto. Il sogno che ho stenografato sotto tale data dice:

 

Sto armeggiando intorno a un uccellino e a una gabbietta per gatti, stando sul materasso superiore di un letto “a castello”, che è molto in alto. Dapprima l’uccellino mi si appollaia sul dito: ho fatto io il gesto di chiamarlo, altrimenti non sapevo come fare a tenerlo, tutte le altre soluzioni mi sembravano scomode.

 

Il sogno inizia con l’anima di Giacinto (l’uccellino) che si è già separata dal corpo aggregato (è libero, fuori dalla gabbia) e con me che nel mondo superiore (la parte superiore di un letto “a castello”: il letto è dove si sogna, cioè dove si ricevono percezioni, e perciò un letto simboleggia un mondo, che è appunto uno spazio dove si ricevono percezioni), quello spirituale, l’ho chiamato e dunque l’ho attirato e indotto a farsi rivedere e a rimanere legato a me (mi si appollaia sul dito); le soluzioni alternative sarebbero state morire anch’io, oppure rinunciare a riaverlo con me, ma le ho rifiutate. Poi il sogno continua:

 

Solo che reggere l’uccellino sul mio dito risulta troppo faticoso: è piccolo e grazioso, ma com’è pesante! Sento la stretta delle sue zampine sul mio dito molto chiaramente, è molto forte; poi gli dico che non posso passare tutta la notte con lui sul dito perché è troppo pesante... Se andasse nella gabbietta, gli dico, allora sì che sarebbe comodo. Ho infatti un trasportino per gatti dove potrebbe stare al sicuro.

 

Ecco perché i mondi hanno deciso di far reincarnare Giacinto: hanno giudicato che per me fosse troppo faticoso continuare con le visioni e con gli incontri nel mondo del post mortem; e in effetti dover comprendere i simboli delle visioni, impegnarmi a distinguerle dai sogni comuni, essere continuamente in ansia per il timore di non poterlo più riconoscere a causa del cambiamento di forma, e così via, mi stava affaticando troppo. Il fatto che io nel messaggio onirico abbia sentito chiaramente la forte stretta delle zampine di quell’uccellino che simboleggiava l’anima di Giacinto mi dice che in tutti i miei incontri con lui io ho percepito chiaramente la sua presenza e non mi sono sbagliato. Ma, per togliermi da questa fatica, c’è stato bisogno che Giacinto si reincarnasse, che l’uccellino si inducesse a “entrare nel trasportino per gatti”. Poi il messaggio dice:

 

Ma in quella non so che cosa succede e gabbietta e passerotto mi cadono giù dal letto, è molto alto e temo che l’uccellino si sia fatto male.

 

Questo deve essere il momento in cui Giacinto si è reincarnato nel cane collie (cfr. supra, §§5.3-5.4) e io ho perso le sue tracce. Ma, dopo un momento di panico, tutto finisce bene, come il Lettore, o la Lettrice, già sa:

 

A questo punto, non avendo la scala (una scala identica a quella della mia libreria è appoggiata lontano, non è a portata di mano) mi accorgo di essere intrappolato sul letto; so che c’è mia sorella che dorme vicino, grido aiuto con quanto fiato ho in gola; ma è inutile perché trovo comodamente una soluzione migliore: mi calo a pertica giù dalla stanga cilindrica del letto “a castello”, che è di metallo chiaro, trovo la manovra semplicissima. Corro a vedere che cosa è successo al mio uccellino: sta bene, non gli è successo niente.

 

Mi manca ancora, evidentemente, quella competenza che è simboleggiata dalla scala della libreria: deve essere la capacità di consultare le memorie di persone morte, le registrazioni delle loro passate incarnazioni. Infatti i libri, che avrei potuto raggiungere con la scala della libreria, simboleggiano questo nei sogni, ogni libro una vita con i suoi avvenimenti; e, in effetti, questa è una materia che mi è ancora ignota, come fare a rintracciare codeste memorie. Ma nella vicenda di Giacinto-Orfeo ho potuto fare a meno di questa capacità, non c’è stato bisogno di accedere alle sue memorie, perché mi sono servito dell’aiuto dei sogni (la stanga cilindrica del letto “a castello”, lucida e chiara e cioè capace di riflettere, anche se in maniera deformata, le cose, e infatti i sogni non ti fanno vedere le cose direttamente, creano immagini ma un po’ deformate dal loro simbolismo criptico); in questo, me lo dice il sogno, ed è proprio una soddisfazione sentirselo dire, sono competente: infatti l’immagine onirica mi mostra mentre compio la manovra con estrema facilità. Il grido di aiuto che rivolgo “a mia sorella” è la fase in cui giravo per i mondi chiedendo a tutti di aiutarmi a ritrovare il mio gatto (cfr. supra, §6.4 e segg.), ovvero, che è lo stesso, è quando i miei sentimenti furono ascoltati e rappresentati nei mondi spirituali: se uno grida, in sogno o nelle visioni, significa che si sta facendo udire dai mondi e da chi li abita, e per farsi udire da loro è sufficiente pensare e sentire rettamente; infatti, essi ascoltano sempre e soltanto i sentimenti razionali, quegli altri per loro non hanno suono, perché non hanno senso. Come si vede per accedere ai mondi non servono mezzi meccanicistici(5) o riti e preghiere: la vera realtà è pensiero e sentimento e per accedervi è sufficiente pensare e sentire in modo retto. Se riesci ad essere pensiero, ma pensiero retto, sei già nei mondi e loro te lo mostreranno anche nell’immagine, comunicandoti i loro spazi e i contenuti di essi, le immagini appunto, poi tutto quello che devi fare è capirle quando le ricevi. E’ importante comprendere questo, è l’unico modo per accedere alla vera realtà.

8.8.Continuando a procedere all’indietro nella mia raccolta di sogni, in data 5 ottobre 2000 si trova la seguente registrazione stenografica:

 

C’è papà, io mi sono allontanato e papà si allarma perché non mi trova più, io non do peso alla cosa; solo che poi mi viene un po’ di rimorso quando lo sento chiamare il mio nome con voce molto allarmata e piena d’angoscia. Mi sembra un po’ ammalato, ma tutto sommato capace di parlare e ragionare. Allora cerco di farmi vedere alzando un braccio in segno di saluto.

 

Giacinto (è lui che parla in prima persona nel sogno(6), e che mi vede come suo “papà”) ha sempre pensato, per istinto, che gli esseri umani sono tutti bislacchi, pericolosi e inaffidabili; per questo si stupisce che io sappia ragionare, anche se continua a vedermi come un po’ “ammalato”. In questo messaggio mi conferma quanto già detto sopra, che voleva andarsene verso nuove esperienze, ma che poi, quando mi ha sentito disperato, si è fatto ritrovare. E che io lo abbia ritrovato in Orfeo, lo conferma il fatto che la data del sogno 5/10/2000 equivale a 10/4/2001: basta spostare soltanto un’unità e scambiare il giorno col mese per passare dall’una all’altra di queste date. Questo è anche stato un esempio molto evidente di come sia necessario stare attenti a distinguere i messaggi onirici dalle visioni: poco dopo la fine del sogno, la stessa immagine di mio padre è ricomparsa, ma stavolta non era più un simbolo onirico che rappresentava me, bensì era proprio lui in un incontro breve ma chiarissimo, nel quale mi comunicò il pericolo che poi si sarebbe realmente verificato, la serie di ischemie culminate in un ictus che avrebbe colpito mia madre di lì a poco: “tra poco ci buttano la benzina”, mi disse (prendere fuoco=ammalarsi).

8.9.Spero, con tutti questi esempi, di aver convinto la Lettrice, o il Lettore, che Orfeo e Giacinto sono due perle della stessa collana, due personalità del medesimo spirito. Se continuassi a consultare il mio quaderno dei sogni, troverei ancora molti di questi messaggi che me lo confermano, ma ormai stanno diventando ripetitivi e dunque mi fermo qui, per non annoiare il Lettore, o la Lettrice; ne riporto ancora uno, perché esso ha una particolarità interessante, è quello del 2 ottobre 2000:

 

Sogno molto chiaro con Giacinto, si svolge in casa nostra ed è tutto uguale come nella realtà consueta: dal balcone della cucina vedo che Giacinto si è sdraiato sul davanzale del bagno, è in una sua posa classica, accucciato con le zampine davanti composte, e guarda giù tranquillamente. Si sta godendo un po’ d’aria fresca (il sogno è ambientato in estate) perché sono aperte le finestre, il che fa sì che ci sia una gradevolissima corrente; lui si è messo proprio nel punto più bello e più fresco. Sono un po’ in apprensione perché temo possa cadere dal davanzale, ma non faccio nulla per levarlo di lì forzatamente, obbligandolo; invece, lo chiamo in cucina, o forse lui ha sentito la mia presenza e dunque scende subito dal davanzale e viene in cucina. “Hai fame, non è vero?” gli dico: evidentemente è accorso perché vuol chiedere da mangiare. Ho intenzione di dargli un po’ di pappa...

 

Qui il Lettore, o la Lettrice, ritrova la solita storia, e cioè la posizione di Giacinto nel post mortem (il davanzale), il pericolo di reincarnarsi (temo possa cadere) e, come avrà già compreso da sé, l’asserzione che la morte, almeno per un’anima innocente come quella di Giacinto, non è un male perché ti porta in una situazione gradevole, libero dalle costrizioni terrene e capace di visitare i mondi (le finestre sono aperte). Giacinto ha risposto volontariamente al mio richiamo perché desiderava saziarsi del mio affetto, trascorrendo un altro periodo di tempo con me, un’altra vita terrena (accorre in cucina attirato da me perché vuole mangiare, vuole una porzione di pappa, cioè una vita). La data, 2/10/2000, può far riferimento al 10/4, la data dell’arrivo di Orfeo in casa mia: basta sommare le due cifre 2 del giorno e dell’anno e lasciare il 10 com’è per passare dalla prima alla seconda data; oppure 2/10/2000 può simboleggiare 28/1/2001, la data di nascita di Orfeo, perché 2+1+2=1+1+3. La particolarità interessante di cui dicevo sopra è la seguente: la Lettrice, o il Lettore, ricorderà che ho già raccontato (cfr. supra, §5.6) che alla fine di questo sogno si è verificato un vero e proprio incontro con Giacinto, il quale alla fine dello svolgimento del messaggio onirico si è fermato per farmi il bacino. Non c’è dubbio che quello fosse un sogno comune e non una visione, perché io non ero affatto consapevole di sognare e di essere fuori dalla nostra comune vita terrena, e avevo dimenticato che Giacinto fosse morto. Di solito i sogni comuni non sono incontri, nel senso che in quello spazio che ci comunica il sogno non è presente anche la coscienza di chi stiamo sognando, ma il dettato del sogno cita i suoi personaggi in terza persona, come in una lettera, usando come segni, però, degli attori che prendono con qualche trucco le sembianze di coloro che noi conosciamo e che appaiono nel sogno. Invece, in questo caso, l’attore che recitava la parte di Giacinto nel sogno era proprio Giacinto, evidentemente(7).

8.10.Sicché possiamo concludere che, se vediamo l’aspetto di una persona conosciuta nella vita terrena, ma che ora è morta, mentre siamo fuori dallo spazio terreno, se è una visione e se la dinamica interna a tale visione lo consente, quella che vediamo è la sua anima, o meglio l’immagine della sua anima, che chiamiamo anche corpo semplice o corpo spirituale: questo significa che anche la sua coscienza in quel momento sta ricevendo le immagini dallo stesso spazio che comunica con noi, compresa l’immagine della nostra coscienza riflessa in quel medesimo spazio, il nostro corpo spirituale, e dunque ci stiamo vedendo reciprocamente, siamo entrambi insieme nello stesso mondo, nello stesso luogo; se però la dinamica interna alla visione non lo consente, perché il messaggio ha un significato che non avrebbe senso se riferito a quella persona, con ogni probabilità stiamo vedendo un demone (uno di quegli dèi che si occupano di aggregare materia atomica e che governano la Terra, o che si occupano di produrre le immagini che noi erroneamente crediamo realtà oggettiva), che è lì per raccontarci qualcosa su qualche argomento; se siamo in un sogno comune, la persona che ci sembra di vedere generalmente non c’è, ma nella recita è impersonata da un attore, e in molti casi ha valore simbolico, e non significa sé stessa: per esempio, in molti sogni in cui ho visto Giacinto, non si parlava affatto di lui e dunque ho dovuto districarmi fra mille messaggi che sembravano riguardarlo, mentre parlavano di tutt’altro. Ma si dà anche il caso che qualcuno sia chiamato a recitare la parte di sé stesso durante la breve rappresentazione di un messaggio onirico: al limite può essere accaduto che nei sogni dove Giacinto fungeva da simbolo per qualcos’altro, a impersonare Giacinto fosse... Giacinto stesso! Sicché, senza potermene rendere conto, durante quei sogni comuni che non parlavano di lui io mi sarei trovato insieme al vero Giacinto. Che complicazione! E ricordiamo anche che in certi sogni si parla delle persone a noi care senza che esse compaiano affatto, neanche rappresentate da un attore, perché il sogno può simboleggiarle con altre immagini. Insomma, se vedo Giacinto, può non essere lui, oppure può essere lui ma significa qualcos’altro; se non vedo Giacinto può esserci o può essere che se ne stia parlando, perché magari si mostra con una forma macroscopica diversa oppure la menzione di lui è nascosta dietro a qualche simbolo, come quello della maglietta grigia contesa tra me e mio padre nella parentesi onirica contenuta all’interno della visione da me citata nello scritto principale, L’Essere, l’Anima, i Mondi, §8.6, o come nella storia dell’uccellino qui sopra riportata, al §8.7.


NOTE AL LIBRO VIII.

 

Nota 1: come ho detto, seppi dell’esistenza della cucciolata solo il 22 febbraio, e conobbi di persona la mamma gatta di Orfeo solo il 1° aprile, quando mi recai a vedere il piccolo nero per la prima volta; conoscevo invece il papà di Orfeo, un vetusto siamese che prima produceva cucciolate di pura razza con una moglie, appunto, anche lei siamese: questi due bei gattoni li avevo visti già nel periodo in cui frequentavo la casa di Rita e Valerio per insegnar loro la tecnica shiatsu, sembravano molto interessati alla faccenda e mentre noi operavamo uno sull’altro anche loro due si acciambellavano uno a contatto dell’altro, guardando tutto quello che facevamo con aria di approvazione. Poi, non so perché, la moglie siamese fu sterilizzata e sostituita con questa candida persiana dal pelo lungo, che produsse nuove cucciolate, ma per breve tempo, perché il vecchio papà di Orfeo dopo poco passò a miglior vita.

 

Nota 2: posso qui anticipare, a proposito del simbolo delle mandorle, che se il candelabro a sei bracci e sette lampade che Dio chiede a Mosè è ornato da fiori di mandorlo (cfr. Esodo, 25,33 e segg.) questo non è esclusivamente per motivi di estetica, ma perché si sta parlando simbolicamente del corso della storia umana, dove operano codesti “mandorli”, gli Elohim biblici, e cioè i demoni della Natura, Satana.

 

Nota 3: al massimo si può trovare all’interno di un sogno la spiegazione della funzione dei sogni, come vedremo in seguito.

 

Nota 4: che nel sogno possa parlare in prima persona qualcun altro, diverso dal sognatore, ovvero che “l’io del sogno” possa essere o Dio o un’altra persona (morta o viva che sia), lo dicemmo già nel testo principale al §8.2; vedasi anche gli esempi di supra, §5.5 e §6.8.

 

Nota 5: spero sia chiaro che chi si serve di scorciatoie chimiche, nell’illusione di poter accedere alla realtà spirituale con droghe o sostanze psicotrope, non fa altro che mettersi in grossi guai; i mondi sono spietati con gli accidiosi che non operano con i mezzi opportuni ma pretendono di ottenere tutto facilmente, senza mettere in atto le cause che servono per ottenere realmente gli effetti desiderati; ciò vale anche per metodi di meditazione irrazionale e preghiere o riti.

 

Nota 6: vale di nuovo quanto appena detto, a nota 4 di questo stesso libro.

 

Nota 7: forse non è un caso poi così eccezionale: mi è venuto il sospetto, infatti, che sia successo qualcosa di simile nel caso di mio padre, quello che ho appena raccontato qui sopra al §8.8, quando cioè egli è apparso prima come simbolo onirico che significava me come papà di Giacinto e immediatamente dopo come sé stesso in un incontro. Forse l’anima di mio padre stava prestandosi come attore nel sogno comune, ma appena finito lo svolgimento del messaggio onirico ne ha approfittato per parlarmi brevemente e avvisarmi di un pericolo. Devo aggiungere che recentemente ho avuto un’esperienza che conferma questo mio sospetto: il 7 settembre scorso, cioè del 2008, stavo ricevendo un sogno comune piuttosto sereno, dove mi trovavo a camminare per vie spaziose in un ambiente urbano molto moderno o forse in un insediamento abitativo di nuovo tipo, non una città; ebbene: dopo i vari avvenimenti di questo messaggio onirico, il sogno si è interrotto, perché durante una scena nella quale mi ero introdotto in una scuola e stavo osservando la sua attività didattica, ho visto mio padre, e mi sono reso conto che egli stava recitando come attore in una scena che non faceva parte del mio sogno, ma si svolgeva lateralmente rispetto a dove stavo io, e che doveva essere l’episodio di un sogno comunicato a qualcun altro; allora, consapevole di essere in uno spazio extra-terreno, ho chiamato mio padre e l’ho salutato, ci siamo parlati brevemente, mi ha detto una cosa strana che potrò capire, evidentemente, solo in futuro.


LIBRO IX.

 

 

 

 

 

LA LITE PER GIACINTO.


LIBRO IX.

 

INDICE DEGLI ARGOMENTI.

 

Un sogno inizia il dibattito dandomi dell’irrazionale perché sono legato alla bellezza del corpo terreno di Giacinto(9.1). Mia obiezione alle loro critiche e un sogno che ne prende atto; ma l’esito finale è scritto nel sogno introduttivo(9.2).

 

Nel vivo della discussione: i sogni mi accusano di prevaricare la volontà di Giacinto coll’impedirgli di morire mediante cure veterinarie; mie reazioni a tale accusa, corroborate anche da due sogni e una visione che confermano la mia convinzione, che invece Giacinto sarebbe rimasto volentieri ancora un po’ con me(9.3). In un altro sogno gli angeli ammettono che le loro accuse erano infondate e ivi viene registrata anche la mia collera(9.4).

 

Le ragioni di Giacinto: mi ritiene lagnoso e sentimentale, e lo dice nel sogno in cui mi rappresenta come una piaga(9.5, all’inizio); egli ritiene che la miglior soluzione sarebbe liberarsi del vecchio corpo aggregato ormai logoro, e sfuggire alle aggressioni della malattia, pensieri questi espressi nel sogno dei capelli grigi troppo rovinati, che però sono una parrucca(9.5, seconda metà) e nel sogno del cane lupo e della strategia di fuga(9.6). Anche dal punto di vista di Dio, o meglio del sistema immunitario di Giacinto, sembra  troppo faticoso tenere a bada la grave malattia: il sogno della pantera al guinzaglio(9.7).

 

Interessante rappresentazione onirica che registra i due punti di vista e li dichiara entrambi contemporaneamente validi(9.7).

 

Dio è certo che il nostro dissidio si esaurirà appena avvenuta la mia liberazione, lo dice in un sogno dove mostra mia madre rammaricata per la lite su un televisore(9.8); ma per ora la lite prosegue: il sogno dove sono in collera e urlo perché mia madre ha fatto sparire il mio gilè; e che la mia collera li abbia colpiti me lo mostra un sogno dove io somministro a “Giacinto”, che rappresenta Dio stesso, un sonoro sculaccione perché ha mandato in frantumi una statuina di gesso(9.9). Digressione sul fatto che la medesima statuina e la medesima situazione era già comparsa in un altro sogno, molti mesi prima, e che questo sogno mi aveva lasciato speranze di guarigione, andate perse a causa dell’ottusità di mia madre(9.9). Altri sogni mostrano i demoni colpiti dalle mie accuse: l’extraterrestre che si getta via da sé e si lascia triturare da un camion della spazzatura, e un breve messaggio esplicito senza maschera simbolica(9.10).

 

Monito per i Lettori: chi non è perfettamente sicuro di sé eviti di iniziare accuse verso i mondi, essi saprebbero difendersi: un tentativo di intimidirmi, ma non riuscito (9.11, prima parte). La lite riflessa nelle visioni: i demoni della Terra ammettono il loro torto(9.11-9.12). Sfogo contro costoro la mia collera nell’immagine di fracassare oggetti, e di prendere per la collottola il mio sistema nervoso, astutamente travestito da gatto, senza risparmiargli i dovuti scrolloni(9.12).

 

C’è un argomento appena accennato e lasciato in sospeso: tutta la vicenda era già scritta nel programma della mia vita, prima che io nascessi(9.7, in fondo)? Gli angeli hanno un’intenzione nascosta nel farmi vivere questa esperienza(9.11, in fondo)? E’ forse ciò che mostra il sogno dove “la Angela” spolvera e lucida il mio tavolo(9.4)?

 

 


9.1.Attreverso i sogni e le visioni si può discutere con Dio, con i mondi voglio dire; il Lettore, o la Lettrice si ricorderà, spero, di quella partita a carte con “mia sorella” che Gli (o Le) ho mostrato sopra, al §1.9. Ebbene: i sogni rappresentarono le mie ragioni, alle quali contrapposero le proprie, sicché la discussione si protrasse un po’. Ci fu, insomma una sorta di silenzioso dibattito tra me e i mondi che ebbe come esito quello che il Lettore, o la Lettrice, già sa, che io riebbi indietro ciò che mi era stato tolto. Innanzi tutto, i sogni si mostrarono stupiti che io fossi tanto legato al corpo terreno di Giacinto: non avevo ormai da anni professato la dottrina che il vero essere è pensiero e il corpo aggregato non è vera realtà, ma è solo un’ingannevole maschera? E ora, come mai mi ero innamorato di un corpo terreno e chiedevo di poter gustare ancora a lungo la sua bellezza e saziarmene? Legga la Lettrice, o il Lettore, il seguente sogno, tenendo conto del significato simbolico che nei sogni hanno gli escrementi: ciò che va eliminato dal nostro essere è il corpo aggregato, che è qualcosa di estraneo, come un soverchio peso che l’aggravi, e perciò evacuare, cioè eliminare il soverchio, significa, appunto, liberarsi del corpo aggregato, morire, mentre gli escrementi simboleggiano il cadavere. La data del seguente sogno è 17 dicembre 1999, meno di due mesi prima che Giacinto morisse; eccone il resoconto che stenografai quella mattina stessa:

 

Giacinto è andato a dormire sul letto di papà: dopo essermi alzato vedo che è salito sul letto (nel sogno appare ancora il letto matrimoniale come c’era prima che papà si ammalasse) con papà, il quale non è morto (nella realtà fisica era morto il giugno precedente), ma è migliorato molto, anzi lo considero praticamente guarito. Solo che ci accorgiamo che la trapunta del letto presenta una macchia di umidità: Giacinto deve aver orinato sul letto. L’annuso, ma non puzza, forse non è orina. Ma sì che è orina, sostiene mia madre, che altro potrebbe essere? Mio padre ci fa notare che non ha orinato soltanto, ma “ha fatto anche la cioccolata”. Ohimé, poveri noi! ha ripreso a parlare nella sua maniera bislacca da ammalato neurologico! Ma allora non è del tutto guarito, dà ancora segni di malattia! “Vuoi dire la cacca” diciamo noi... In effetti, anche se non puzza quella macchia consiste proprio in orina e feci di Giacinto sulla coperta matrimoniale di raso...

 

Il sogno mostra me (mio padre=me: tutti nasciamo da noi stessi, e per ciò se sogni un genitore, o anche la coppia di genitori, questo simbolo rappresenta te, il tuo spirito) mentre chiamo “cioccolata” gli escrementi di Giacinto, cioè mentre dico che il suo bel corpo fisico mi appaga e mi sazia con la sua bellezza, e mostra anche Dio, gli spiriti eletti nel loro insieme (è lui che parla in prima persona nel sogno), sconcertato per questo fatto inusitato: sembravi guarito dalla malattia che ingenera nelle anime umane l’identificazione col corpo aggregato, ti credevamo un teleios, un perfetto -mi dicono i mondi- e invece dai ancora segni di vaneggiamento. Quanto all’incertezza sulla natura della macchia di umido sulla trapunta, in questo simbolo Dio (o Satana, se si vuole, tanto è la stessa cosa) si mostra nel suo tentativo di convincere gli uomini che la vita di un gatto (lo scorrere del liquido rappresenta lo scorre del tempo di una vita, quindi “orinare” nei sogni può significare “vivere”) non è realmente vita, non vale quanto una vita umana, perché “non puzza”, cioè non è umana, appunto (i cattivi odori sono i sentimenti negativi e ostili propri soltanto delle anime umane): la religione, che è una tentazione seminata da Dio in funzione satanica, come si ricorderà, fa credere a chi ci cade che gli animali non hanno l’anima, non vivono realmente. La mia facoltà razionale (mia madre) tronca il discorso con un “che altro potrebbe essere?” e questo è quel ragionamento che ho impiegato filosoficamente(1) per confutare i pregiudizi della fede cattolica che nega l’anima agli animali: non vi è essere e vita senza coscienza, e se i gatti sono esseri, e sono vivi, sono anch’essi, come tutti gli altri animali, compresi noi, atti di coscienza dell’essere, e cioè anime. Insomma, questo sogno riassume tutta la vicenda in una breve immagine: Giacinto che entra nella mia vita (salta sul letto di mio padre), e io in virtù della mia forma spirituale eletta lo amo e lo tratto come un’anima affine a me, non come una bestia senz’anima, come si farebbe in quegli ambienti ancora impregnati di cattolicesimo; il gatto vive con me (orina sulla trapunta del letto) e infine muore (ha anche “defecato”, cioè si è liberato del corpo di terra); a questo punto vien fuori lo sconcerto degli dèi, di Dio, che osservano il mio amore per il suo aspetto terreno e lo giudicano irrazionale.

9.2.Ho risposto immediatamente a questa obiezione: è facile per voi, che non siete incarnati, disprezzare i corpi terreni. Voi avete tutta la bellezza dell’Universo. Ma io sono relegato quaggiù e non ho altro; per poter usufruire di qualche istante di beatitudine (ricordi il Lettore, o la Lettrice, la definizione di beatitudine(2) come fruizione della bellezza) io devo guardare la bellezza nel pallido riflesso che c’è di essa, delle vere forme, nelle forme macroscopiche dei corpi aggregati. Non sono io irrazionale quando amo l’aspetto terreno di Giacinto, ma voi piuttosto siete degli ottusi insensibili, perché voi non avete mai perso nulla e non potete sapere che cosa si prova nel perdere qualcosa di bello. Ma i mondi conoscevano già in anticipo questa mia obiezione, perché essa è rappresentata in un breve e semplice sogno del 9 agosto precedente:

 

Sono in automobile insieme a Giacinto; a un tratto una giovane ragazzina (magra, smilza, brunetta, graziosa) lo chiama: “micetto, vieni!” Che le prende a voler chiamare Giacinto? Giacinto è nostro, lei ha già tanti gatti, il luogo è pieno di gatti liberi di tutte le forme e i colori, che vuole questa ragazzina, perché vuol prendersi anche il mio?

 

I mondi stavano chiamando Giacinto: quando nei sogni una persona ti chiama, quella è la morte, o meglio la tua nuova vita nel post mortem; per questo ha l’aspetto, in genere, di una bimba o, come qui, di una giovane ragazzina: è la nuova personalità che avrai una volta libero dall’aggregato. Sicché le parole che io dico in questo sogno riguardo alla graziosa brunetta che si vuol prendere il mio gatto simboleggiano proprio il ragionamento di cui sopra: voi avete tutta la bellezza dell’Universo (“tanti gatti”) perché volete sottrarmi quel poco di bellezza che resta a me? Ma l’esito della vicenda era già deciso: questa breve scena era preceduta da un lungo sogno che raccontava la separazione dell’anima di Giacinto dal suo corpo aggregato (si noti che la data del sogno, 9/8/1999, corrisponde a quella della morte di Giacinto, che avvenne il 7 febbraio successivo, perché ha la stessa somma 9) e la mia conseguente disperazione, nonché la mia capacità di ritrovare la sua anima nel post mortem: infatti nell’immagine simbolica io vengo descritto mentre mi precipito giù per le scale di casa mia, per soccorrere il mio gatto investito da un autobus (la malattia mortale), ma durante la discesa continuo ad avere Giacinto vicino alle mie gambe; ciò nondimeno il gatto investito dall’autobus, che nell’immagine di questo sogno mi apparve avvolto in panni e stracci (il corpo aggregato), era proprio Giacinto. Il fatto che egli compaia due volte nella stessa scena mostra chiaramente la distinzione che va fatta tra anima (il Giacinto che mi accompagna per le scale) e forma macroscopica (il Giacinto morto investito dall’autobus e avvolto negli stracci, che sono la struttura atomica del corpo aggregato).

9.3.Il 1° maggio precedente, un sogno aveva descritto i miei tentativi di far sopravvivere Giacinto con i mezzi della medicina veterinaria come un atto di prepotenza (1/5/1999=7/2/7 e.n. giorno della morte di Giacinto con la nuova datazione):

 

Giacinto vuole scendere in cortile, l’accompagno; ma nel cortile c’è un altro gatto grigio identico a lui, solo leggermente più grosso, che evidentemente si è impadronito del cortile e l’aggredisce per impedirgli di accedervi: lo immobilizza montandogli sopra e, sovrastandolo, lo morde sulla collottola.

 

Il cortile(3) rappresenta il mondo del post mortem, e il gatto prepotente rappresenta me. Infatti i morsi sulla collottola sono le iniezioni di cortisone che gli praticava il veterinario esattamente in quel punto, mentre io sovrastandolo e standogli sopra esattamente nella posizione del gatto del sogno, lo immobilizzavo; chi parla in prima persona è Dio, che vorrebbe far morire Giacinto (“l’accompagno”). Il sogno mi rimprovera perché prevarico la volontà di Giacinto impedendogli di accedere al suo post mortem con le mie cure farmacologiche. Io reagii però a tale accusa, perché ero convinto di poter chiedere a Giacinto il sacrificio di rimanere ancora per un po’ di tempo con me nello spazio terreno con il suo corpo aggregato, egli avrebbe fatto volentieri questo sacrificio, pur di confortarmi ancora con la sua compagnia. E che Giacinto ci tenesse a vivere ancora con me, sacrificandosi ancora un po’, benché per lui la soluzione ottimale sarebbe stata morire, lo dimostrano i seguenti due sogni, e una visione: il primo sogno (19 marzo 2000: nella nuova datazione il 2000 è l’anno 7, sicché il 19/3/7 corrisponde a 7/2/2000, la data della morte di Giacinto, perché 1+3+7=7+2+2) mostrava me adirato perché mia madre aveva buttato via il fermaglio di cuoio con cui ho l’abitudine di tener fermi sopra la nuca i miei capelli lunghi (=Giacinto(4) è in collera con Dio perché gli ha sottratto il corpo terreno; il cuoio, che è un materiale di provenienza animale, significa, appunto, il corpo animale). Dunque non era del tutto d’accordo che lo portassero via. Il secondo sogno, del 27 febbraio 2000 (27/2 ha le stesse cifre di 7/2/2000) è molto triste, ed è il seguente:

 

C’è stato un brutale omicidio, una ragazza è stata decapitata da un bruto, ma, cosa raccapricciante, ella muove ancora le mani (che ha piccole, molli e un po’ tozze). Due dottori, un uomo e una donna, tentano di accostare la testa al corpo, e arterie e vene sembrano per un istante ricollegarsi. La dottoressa dice: “si può fare qualcosa, ma niente di risolutivo”. A questa frase la testa della ragazza emette qualche lacrima, piange... Trovo la cosa tristissima.

 

Dio, dunque, ha ammesso che far ammalare mortalmente Giacinto (la ragazza del sogno, le sue mani tozze e deboli rappresentano il suo spirito ancora informe, immaturo) è stata un’azione brutale e colpevole. La scena a cui si riferisce il sogno è ben presente nella mia memoria: il veterinario (la coppia di dottori sono le sue capacità, le sue facoltà mentali) era venuto a casa mia per una visita a domicilio, perché mi era sembrato che Giacinto fosse troppo debole per essere trasportato, e nel momento in cui, con aria desolata, egli mi informava che ormai c’era poco da fare, vidi  che Giacinto stava fissando il veterinario con attenzione, con le orecchie tese; aveva capito perfettamente tutta la situazione, e dall’espressione con cui il dottore parlava deve aver capito anche la diagnosi. Il sogno dice che aver capito di dover morire rattristò terribilmente Giacinto, dimostrando così che non furono le mie cure a prevaricare la sua volontà, ma la loro azione di farlo morire, e questo mi fu confermato anche da una visione. Essa fu un semplice sobbalzo, unito a un’illuminazione (si veda su questo termine quanto detto sopra, nel §4.6): accadde il 13 marzo 2000, sentii il cuore sobbalzare violentemente ed immediatamente seppi che questo è il modo in cui accade quando moriamo, la morte ti sveglia all’improvviso dal sonno in cui ricevi i sogni di questo oscuro spazio terreno, quelli che erroneamente gli uomini credono l’unica realtà, con un sobbalzo che non ti lascia scelta, è lei che decide, non tu. Dunque non è Giacinto che ha scelto di andarsene, ma l’hanno portato via a forza. Giacinto, insomma, sapeva capire le mie ragioni meglio degli angeli più grandi di lui, e avrebbe voluto tenerne conto, avrebbe fatto volentieri per me il sacrificio di sopravvivere.

9.4.Sicché in un altro sogno che seguiva di qualche settimana quello contenente l’accusa verso di me (20 maggio 1999: è una data corrispondente a quella del mio risarcimento, e cioè dell’arrivo di Orfeo in casa mia, 10/4/2001, perché 2+5+1=1+4+3) è registrata in anticipo la mia reazione e la mia capacità di confutare tale accusa. Eccone il testo come l’ho stenografato quella mattina:

 

Sono in collera con la Angela, la nostra portinaia, perché ha detto che Giacinto ha fatto qualcosa in cortile, non è ben chiaro che cosa, sostiene che ha fatto dei danni. Io le chiedo incollerito che cosa intendeva dire, con molta decisione. Intanto la Angela sta facendo le pulizie, spolvera e lucida un tavolo, forse in casa mia o forse anche in casa di altri; non sa rispondere alle mie domande, niente di chiaro almeno... Io rimango terribilmente adirato.

 

Angela simbolizza, appunto, gli angeli, e in particolare le intelligenze della Natura che controllano chi entra e chi esce dallo spazio terreno, e che dunque hanno le medesime funzioni della portinaia. Ma qui codesti demoni si sono mostrati specificatamente in un’altra attività, quella di spolverare e lucidare un tavolo, per dire che il risultato di tutta questa esperienza sarà che avremo liberato la mia capacità riflessiva (ma forse non solo la mia, ma anche quella di altri, di chi vorrà seguirmi) dalla “polvere” che le impedisce di funzionare (polvere=materia atomica) sicché essa diventerà immaginazione che si fa spazio e mondo (cfr. per “tavolo” quanto detto sopra, nella nota 3 al libro VI, ricordando che spazio e immaginazione sono la stessa cosa, essendo il primo l’immagine che la seconda ha di sé stessa). Va bene; ma intanto questo messaggio mi dice anche che l’accusa contenuta nel sogno precedente, il quale parlava appunto di un Giacinto, e cioè di un gatto grigio (=me) che avrebbe fatto qualcosa di male in cortile, è infondata: infatti, quando le chiedo di spiegare in che consiste tale accusa, “Angela” , e cioè Dio, non sa rispondere. Questo significa che ha ritenuto fondate le mie proteste sul fatto che Giacinto avrebbe volentieri rinunciato ad andarsene nei mondi spirituali e si sarebbe volentieri sacrificato ancora un po’ a vivere su questa Terra, pur di tenermi compagnia. Non era vero che impedirgli di “scendere in cortile” era un atto di prevaricazione, e io non ero stato simbolizzato correttamente in quel prepotente gemello di Giacinto. Insomma, Dio con questo breve sogno del 20 maggio 1999 ammette di aver avuto torto.

9.5.D’altronde, c’erano anche le ragioni di Giacinto. Ecco come vedeva lui tutta quanta la faccenda: in un breve messaggio onirico datato 18 giugno 1999 (9+6+1=7+2+7, e cioè la data del sogno equivale a quella della morte di Giacinto espressa nella nuova datazione: 7/2/7 e.n.) parla in prima persona proprio Giacinto, che mi dice:

 

Ho una piaga (come quelle da decubito che aveva papà) sul coccige, e per questo motivo non posso defecare, perché la piaga si sporcherebbe; qualche considerazione su questo...

 

Insomma, Giacinto mi dà della piaga, mi considera una persona lagnosa e pesante, perché gli impedisco di liberarsi del suo corpo aggregato, di morire (“defecare”, cfr. per questo simbolo quanto detto qui sopra, §9.1), minacciando di soffrirne troppo (“la piaga si sporcherebbe”). E questo è ancora poco: in un altro sogno dal medesimo contenuto mi rappresentava come un’emorroide! Queste sono le soddisfazioni che ti danno i figli... In effetti, non si poteva chiedere a Giacinto di continuare a vivere in quel corpo ormai logoro, egli ne soffriva; ecco il sogno che contiene tale asserzione:

 

Davanti a uno specchio, dopo un po’ che sono lì, mi preoccupo perché ho i capelli molto rovinati; nel sogno sono grigi e non si capisce quanto siano lunghi. Mi accorgo che essi vengono via: non sono i miei capelli veri, ma una parrucca e ora vedo che essa ha capelli di mezza lunghezza, grigi. Sotto la parrucca che cosa c’è? Come sono i miei veri capelli? Constato che è soltanto la parrucca che si è rovinata, mentre i miei capelli veri sono intatti; cerco comunque di pettinare e rimettere in ordine la parrucca tenendola in mano...

 

Povero Giacinto! Lui ci aveva messo tutta la sua buona volontà per guarire, persino dopo quel 29 gennaio, dopo cioè che la sua anima si era staccata, una prima volta, dal corpo (pettina la parrucca tenendola in mano; cfr. l’episodio che ho narrato sopra ai §§2.11-2.12), ma il suo corpo aggregato (la parrucca grigia, cfr. per questo il significato di “pelo” e “capelli”, sopra, §8.2, verso la fine) era troppo rovinato, anche se solo di mezza età (la parrucca ha i capelli di mezza lunghezza). Giacinto era nel suo decimo anno quando è morto, e i gatti domestici vivono anche vent’anni. Il gatto sa che quello non è il suo vero corpo, ma solo una struttura atomica posticcia che col suo vero corpo non ha niente a che fare, e dunque non ha paura della morte. Questo sogno mi è pervenuto in data 3 maggio 1999, e i numeri di tale data, se sommati, danno 9, come quelli del giorno e del mese della sua morte, il 7 febbraio dell’anno successivo.

9.6.Giacinto, bisogna ammetterlo, pensava che la morte sarebbe stata la soluzione migliore per evitare di soffrire a causa della sua malattia. Ecco il sogno che mi comunica i suoi pensieri, dove chi parla in prima persona è, appunto, di nuovo Giacinto:

 

Ambiente sconosciuto, esterno. Io e un grosso cane lupo, che nel sogno era mio, siamo inseguiti da aggressori, dobbiamo scappare. E’ come se io usassi il cane per starci a cavalcioni, ma lasceremmo le impronte sul terreno, nella fuga, e i nostri aggressori ci troverebbero. Allora dico al mio cane che ci separiamo, lui prosegue dove si lasciano le impronte, io sull’asfalto, in modo che gli aggressori inseguano lui e perdano me; facciamo così, ma poi, dopo un giro dell’isolato, ci riuniamo e ci rimettiamo a camminare insieme, sperando così di aver seminato gli inseguitori.

 

Bello questo simbolo del cane lupo, con cui Giacinto significa me per dire che io sono il suo guardiano, che lo proteggo; più poetico, almeno, dell’emorroide o della piaga. Gli aggressori sono la malattia, dalla quale entrambi cercavamo di scappare, ma sarebbe stato impossibile scamparla rimanendo nel mondo terreno, e così ci siamo separati: lui è andato nel mondo invisibile (l’asfalto, dove non si lasciano le impronte), io sono rimasto nel mondo visibile (dove si lasciano le impronte). Si noti che qui troviamo un’altra conferma della reincarnazione di Giacinto in Orfeo: dopo un anno circa (un giro dell’isolato) io e Giacinto ci siamo ritrovati e viviamo ancora insieme (ci riuniamo e ci rimettiamo a camminare insieme). Lo dice anche la data: ho ricevuto questo sogno il 10 giugno 1999, e i numeri di questa data servono a formare quelli della data in cui Orfeo è arrivato in casa mia, il 10 aprile 2001:  la sequenza 10, 6, 1 diventa facilmente 10, 4, 2 e 1, basta scomporre il 6 in 4 e 2.

9.7.C’era anche una breve scena successiva, nella quale chi parla in prima persona è invece Dio(5), che si mostrava affaccendato a trattenere una belva che minacciava di azzannare Giacinto: “ho una pantera nera” mi dice in quest’immagine, intendendo, ovviamente, la malattia di Giacinto “ma non ho intenzione di tenerla a lungo”. Il sogno consisteva soltanto negli sforzi che “io” (e cioè Dio, e nella fattispecie quei demoni della Natura preposti al sistema immunitario di Giacinto) facevo per tenere al guinzaglio tale belva, con molta fatica, e alla fine di tutto Giacinto, per risolvere il problema, andava a nascondersi; nei sogni nascondersi significa morire, perché i morti ci stanno nascosti. Sicché dal mio punto di vista la morte di Giacinto era una colpa verso di me, mentre dal punto di vista di Giacinto era stata un’ottima soluzione. Questo doppio punto di vista e la conseguente doppia valutazione dell’azione di Dio di far morire il mio gatto è stata espressa con un certo anticipo l’11 febbraio 1999 da uno strano sogno doppio, nel quale due scene pressoché identiche sembravano svolgersi contemporaneamente:

 

Qualcuno si rimprovera perché per colpa sua mi manca un pezzetto dell’ultima falange del mignolo destro. Contemporaneamente a questa prima scena ce n’è un’altra: qualcuno si vanta, come fosse cosa meritoria, perché a causa sua mi manca un pezzetto dell’ultima falange del mignolo destro.

 

Nei sogni la mano rappresenta, a volte, la famiglia e le dita sono i familiari: il dito più lungo è il familiare più vecchio, il più corto quello più giovane. Infatti qualche anno prima che mio padre si ammalasse avevo sognato che un merlo mi aveva scavato col becco una piaga profonda come una caverna nel dito medio. Dunque il mignolo, che è il dito più piccolo, rappresenta l’elemento più giovane della famiglia, che nel nostro caso era Giacinto. E’ lui che nel sogno mi è stato tolto, azione di cui Dio (il qualcuno che nel sogno ha provocato tale mutilazione) non sa bene se pentirsi o vantarsi. Curiosamente, il sogno finisce con una frase apparentemente inspiegabile:

 

Per consolare costui, che (nella prima versione della scena) si rammarica per ciò che ha fatto, dico che non è colpa sua, perché il pezzetto di falange mi mancava già anche prima...

 

Il Lettore, e anche la Lettrice, si rassicuri: nella realtà fisica la mia mano è intatta. Ma che significa questa strana frase? L’unico senso che riesco a trovare di tale asserzione è che il mio lutto e tutta questa vicenda erano già stati decisi molto prima, facevano parte del mio destino per qualche scopo, e dunque erano già presenti prima che io nascessi nel programma degli avvenimenti che mi aspettavano sulla Terra: avevo già “una piccola parte di falange mancante” nel programma della mia vita, prima che tutto questo accadesse realmente, e questo è una discolpa per chi ha dovuto mettere in atto questo programma senza poterlo modificare. Infatti, è vero che i numeri della data di questo sogno potrebbero corrispondere a quelli del giorno in cui Orfeo è arrivato da me, il 10 aprile (11+2+1=10+4), ma è vero anche che esso non racconta nulla di Orfeo, e si ferma al momento della perdita, senza menzionare il recupero, per cui associare questo messaggio onirico all’avvenimento del 10 aprile è un po’ forzato; piuttosto, penso che la data 11/2/1999 indichi il giorno della mia nascita, il 16/9/1960, per dire che il contenuto onirico sta parlando del mio destino: infatti 2+2+1, e cioè 4+1, può corrispondere facilmente a 7+9+7, ricordando che 9 equivale a 0 (cfr. supra,  nota 1 al libro V), perché 7+7=14, cioè 1+4.

9.8.Inoltre, Dio (continuiamo pure a chiamarlo così, ma ricordiamo che è l’assemblea di tutte le anime elette, gli dèi, una molteplicità unitaria ma articolata; in particolare stiamo dialogando coi demoni della Natura, e cioè con un insieme di intelligenze divine che agiscono in funzione satanica, da provocatori e da esaminatori) è certo che, alla fine di tutto, saprà rappattumarsi con me, in qualche modo, dopo questa lite. Ecco che mi dice il messaggio del 2 maggio 1999:

 

In una casa che nel sogno era la nostra, io e mia madre; le dico che non c’era bisogno di discutere sempre per il televisore, visto che ne abbiamo più di uno: infatti su una mensola, di profilo, c’è un bel televisore moderno, nuovo, che non abbiamo mai usato perché non ricordavamo che c’era. E non è l’unico, ce ne sono anche altri... Mia madre annuisce e mostra il suo disappunto per aver litigato inutilmente.

 

Il Lettore, o la Lettrice, che ricordi quanto da noi detto sulla molteplicità dei corpi nel testo principale (L’Essere, l’Anima, i Mondi, §6.4 prima metà e §6.6, e passim) sa già che cosa significa questa pluralità di televisori: in ogni spazio l’anima può avere un corpo (TV=capacità di ricevere immagini e suoni, e dunque corpo) e così perché disperarsi e adirarsi per la perdita del corpo terreno di Giacinto, quando egli ne mostrerà uno nuovo e più perfetto in un altro mondo (il televisore nuovo sulla mensola)? Gli uomini, in genere, non ricordano l’esistenza di questi corpi di pensiero e sulla Terra non li usano. Sono sicuro che quando sarò libero di muovermi tra i mondi e di vedere la bellezza, anche quella di Giacinto, nelle immagini riflesse dagli spazi extraterreni, mi potrò rammaricare di questa lite tra me e Dio (nel sogno, mia madre=me, io=Dio) per il corpo terreno di Giacinto e trovarla inutile, ma finché sono relegato qui continuo a essere in collera perché me l’hanno tolto... Penso perciò che la data di questo sogno indichi con le cifre (2+5+1) la data della mia morte, il momento della riappacificazione tra me e i mondi; ma questo potrò confermarlo solo dopo...

9.9.Che la lite stia proseguendo ne prende atto, fra l’altro, anche una breve scena onirica datata 17 settembre 2000, che dice:

 

Litigio con mia madre per un gilè: ho un gilè molto elegante, a cui tengo, ma a un tratto non me lo trovo più addosso e mi arrabbio con mia madre perché se lo è preso e lo ha fatto sparire. Urlo incollerito che lo rivoglio indietro...

 

Stavolta mia madre=Dio; io=me. Per il resto il Lettore, o la Lettrice, ha ormai tutti gli elementi per leggere questo messaggio da sé, tenendo conto che il gilè rappresenta Giacinto, perché un indumento che ti tiene caldo, nei sogni, rappresenta qualcuno che ti fa compagnia. 17/9/2000 simboleggia 28/1/8 e.n., cioè la data di nascita di Orfeo espressa nella nuova datazione, che è il giorno in cui ho “riavuto indietro il mio gilè”, essendomi fatto sentire (“urlo incollerito”). Inoltre, Dio mostra di essere stato colpito dai miei rimproveri nei seguenti messaggi: il 23 maggio 1999 ho sognato

 

di trovarmi in un seminterrato; Giacinto fa cadere dal mio tavolo la statuina di gesso raffigurante un’oca ed essa va in frantumi, è impossibile recuperarla...

 

Esiste anche nel mondo fisico quell’ochetta di gesso: l’avevo comperata sulla bancarella di un mercato appena dopo che era morto il Pitocchino, quel povero gatto sfortunato che poi si è reincarnato in Miranda (cfr. sopra, §§5.1-5.2); non avevo alcuna fotografia di lui, e perciò mi ero preso quella graziosa statuina bianca e arancione per simbolizzare, appunto, il suo corpo terreno bianco e arancione. Poi il sogno prosegue:

 

Assiste alla scena mio padre, non più ammalato, che è seduto a un tavolo vicino. Nonostante io mi senta sfinito e privo di forze, come mi sento realmente in questo periodo, reagisco sgridando Giacinto e colpendolo con uno sculaccione sotto la coda. Raccolgo desolato i pezzi della statuina chiedendomi se potrò comprarne un’altra uguale al mercato: questa è proprio finita in briciole ed è impossibile recuperarla.

 

Questa volta, Giacinto simboleggia Dio: le anime elette amano infatti presentarsi sotto il simbolo del gatto, come già mi è capitato più volte di dire in questa e in altre opere, perché al contrario dei cani che sono fedeli anche a chi li maltratta, e dunque rappresentano i fedeli delle religioni, che adorano un Dio crudele e malvagio, i gatti  si ribellano contro chi non li rispetta, come gli eletti, che sanno affermare i propri diritti anche, e soprattutto, davanti a Dio. L’assemblea delle anime elette, gli dèi, ha deciso la morte di Giacinto, la disgregazione del suo corpo terreno, rappresentato dalla statuina di gesso, che già era simbolo, per me, del corpo di un gatto(6). Mostrando Giacinto colpito dal mio sculaccione, Dio mi comunica di essere stato colpito dal mio rimprovero, perché era fondato, altrimenti nel simbolo la botta sarebbe andata a vuoto per dire: tu tenti di rimproverarmi, ma la cosa non mi tocca, perché i tuoi rimproveri sono infondati (un colpo andato a segno=un argomento fondato). E’ interessante la presenza di mio padre, che da un altro mondo (seduto a un altro tavolo) può assistere a tutta la vicenda, e non è più malato: questo ci dice qualcosa sulla condizione delle anime nel post mortem. Mio padre sarebbe morto circa tre settimane dopo questo sogno, e un po’ meno di otto mesi prima degli avvenimenti in esso descritti, cioè l’aggravarsi della malattia di Giacinto e la sua morte, e la mia conseguente collera. E’ altresì interessante notare che un anno prima dell’ultima crisi di Giacinto, in data 6 dicembre 1998, avevo già ricevuto un messaggio che rappresentava la stessa statuina dell’oca in frantumi, questa volta perché mi era caduta di mano; ma in questa fase più arretrata della vicenda io ero descritto mentre mettevo “nelle mani di un amico appena conosciuto, dal volto non troppo avvenente” (il veterinario, evidentemente) i pezzi della mia ochetta, chiedendogli: “sei capace di aggiustarla?”  ed egli, nel sogno, mi ha risposto: “sì”. Infatti, se fosse stato per il veterinario, Giacinto sarebbe guarito dai terribili sintomi (non riusciva a mangiare per il dolore alla bocca causato dalla stomatite) che lo tormentavano; ma ci furono degli ostacoli, e cioè la smania di dominio di mia madre e l’ottusità della nostra colf, le quali non vollero capire che a scatenare le crisi di stomatite di Giacinto erano i detersivi tossici che si usano per le pulizie domestiche. Quando proposi di usare aceto e sapone di marsiglia (quello che si vende in normali mattonelle, da bucato) per pulire sanitari e pavimenti e tutto il resto, cosa che io avevo sperimentato durante i mesi estivi, quando ero da solo, con ottimi risultati, e constatando che così Giacinto stava bene, mia madre preferì farmi passare per deficiente che salvare Giacinto, e dimostrare che in casa nostra comanda lei: non tollerò che decidessi io come fare le pulizie, si sentì come spodestata; ogni volta che spiegavo alla colf come fare, mia madre interveniva dandole perentoriamente ordini contrari, e trattando me come un incapace. L’ultima crisi di Giacinto è iniziata, nel dicembre del 1999, proprio dopo che la colf aveva usato un detersivo improprio sui pavimenti, un detersivo per panni (per panni!), solo perché sulla confezione c’era scritto “con sapone di marsiglia”: quell’isterica di mia madre, specialista negli usi impropri delle cose, le aveva dato ordine di fare così, prima di partire per passare il Natale dai suoi, convinta con questo che io non potessi protestare, di avermi raggirato e di potermi tener buono assecondandomi come si fa coi matti, con lo spacciare quel detersivo da lavatrice per sapone di marsiglia, e intanto far vedere alla colf che gli ordini li dava lei. Quella notte siamo stati male in tre: io per una crisi di tosse, Miranda per un’irritazione agli occhi che dovetti curare con l’Idrocet, e Giacinto ricominciò a soffrire per una crisi acutissima di gengivite, che lo portò alla morte. Il sogno dunque non mente quando sostiene che il mio amico veterinario era capace di guarire Giacinto: lo sarebbe stato, se solo si fossero osservate le giuste norme atte a tutelare la salute di un organismo immunodepresso, ma non accadde così e il sogno mi nasconde l’esito finale, forse, per delicatezza, per lasciarmi sperare ancora un po’ sulla possibile guarigione del mio gatto e non farmi soffrire prima del tempo.

9.10.Il secondo messaggio onirico in cui Dio, ovvero i demoni della Natura, mostra di essere stato colpito dai miei rimproveri è un po’ sconcertante. Il Lettore ricorderà il sogno del 9 luglio 2000, già da me citato sopra al §5.1, quello in cui mi veniva svelato che il secondo gatto da noi preso in casa è il Pitocchino, mentre Giacinto è mostrato tra malattia e morte; ebbene: intrecciato con l’episodio già da me riportato ce n’era un altro, nel quale una donna anziana, che mi ricordava vagamente una mia arcigna professoressa delle medie, ma che nel sogno era esplicitamente un’extraterrestre, si gettava da sé fra la spazzatura contenuta in un camion di quelli addetti a triturare i rifiuti, lasciandomi alquanto perplesso. Ho il sospetto che il demone, o il gruppo di demoni, che ha deciso la morte di Giacinto abbia dovuto subire qualche conseguenza spiacevole, dopo le mie accuse. Ben gli sta, così impara un’altra volta a mancarmi di rispetto. E nonostante io sia ben lungi dall’aver esaurito la gran messe di sogni da me raccolta su questo argomento, mi fermo qui, per non essere troppo lungo e ripetitivo, anche perché voglio lasciare lo spazio alle visioni nelle quali io e gli angeli ci siamo confrontati direttamente in questo dibattito; l’ultimo sogno che cito è brevissimo e definitivo, ed è del 4 luglio 2000 (4/7 corrisponde a 7/2/2000, la data di morte di Giacinto):

 

Mi vedo mentre ripeto tutte le accuse contro l’angelo che ha deciso la morte di Giacinto (uno vale per tutti, perché l’assemblea agisce unitariamente, han tutti il medesimo intelletto e dunque la medesima volontà); egli si mostra inerte e si dichiara molto dispiaciuto... Io lo prendo per il bavero e lui non reagisce, anzi si fa vedere come prostrato.

 

Insomma: Dio, gli angeli tutti, hanno ammesso il loro torto e mi hanno chiesto scusa.

9.11.Nel passare alle visioni devo avvisare i Lettori, però, che stiano ben attenti a non imitarmi scagliando accuse alla divinità per ogni cosa che vada loro storta: per ribellarsi presentando una mozione d’accusa verso i mondi occorre fondare tale accusa su ragionamenti ineccepibili; o altrimenti Satana, che è il miglior logico dell’Universo, avrebbe buon gioco nel ritorcere gli argomenti contro il suo accusatore, e monterebbe in collera. E quei demoni, puntigliosi e severi come sono, è meglio non farli arrabbiare. D’altronde, è vero anche che, se sanno rimettere al suo posto un impertinente coi mezzi opportuni, essi rispettano però chi ha il coraggio di chiedere loro conto nel giusto modo per il loro operato, e se le tue accuse non sono fondate, ma tu sbagli in buona fede, ti sanno portare più o meno gentilmente a correggere il tuo errore, cosa che è tanto di guadagnato. Devo dire che in qualche visione avevano tentato di intimidirmi: in un incontro, avvenuto ovviamente in uno spazio diverso da quello terreno in data 8 giugno 2000, un angelo che si mostrava come “un uomo dal volto incomprensibile” (così nella mia registrazione di allora) tentò di farmi paura manifestandomi la sua ira per... non lo disse chiaramente, per che cosa era irato, ma lasciò tutto nel vago, cioè stava bluffando. Questa è una delle loro tecniche: si fanno vedere, o capire in qualche modo, adirati e offesi, ma non lanciano accuse precise, sapendo che se tu non sei sicuro di te, se non sai valutare con sicurezza i tuoi pensieri e le tue azioni, t’immaginerai che vogliano ammonirti per qualcosa che tu sai di aver detto o fatto, e che dentro di te dubiti sia una colpa, anche se cerchi di non ammetterlo, perché lo hai fatto o detto senza chiarire in maniera sufficiente a te stesso, per negligenza, se questo qualcosa è giusto o no. Chi è negligente e non è sicuro della propria giustizia, del valore dei propri atti e dei propri pensieri, per aver omesso di indagare logicamente sul bene e sul male accontentandosi di credenze comuni o sensazioni vaghe, di fronte a questi messaggi ambigui va in crisi, si spaventa, si sente rimproverato... Ecco come nella visione ho reagito io all’attacco di quest’uomo “dal volto incomprensibile”:

 

Abbiamo avuto una conversazione. Lui tenta di spaventarmi ma con accuse non chiare: forse è perché mi sono ribellato alla morte di Giacinto? o per il fatto che mi sono messo in “sciopero”? (scil.: avevo deciso di sospendere qualunque tentativo di condividere le dottrine ontologiche con qualcuno, al grido di “non servo chi non mi rispetta!”)... Questo vuol solo fare lo smargiasso, io rimango totalmente indifferente di fronte alle sue minacce, se voleva intimidirmi non c’è riuscito, perché gli ho risposto per le rime; se n’è andato senza poter dire più niente.

 

E un litigio di questo genere era già accaduto il 24 aprile precedente, dopo quell’incontro col cagnolino yorkshire da me riferito sopra (§4.5). Non appena quell’antipatico cagnetto ebbe finito di ringhiarmi contro, accadde quanto segue:

 

Poi è comparsa una persona, che si è rivelata come una ragazza piuttosto graziosa (prima non so che cosa volesse sembrare di essere); ho capito che era un angelo e allora ho espresso la mia collera per il fatto che mi hanno portato via Giacinto: parlavo liberamente, da sveglio, con le stesse parole che userei nella realtà terrena, ed ero perfettamente consapevole di essere “fuori dal corpo”. La scena si è ripetuta due volte (questo era per dire che più di un angelo mi stava ascoltando). In tutta risposta la ragazza di prima, con espressione un po’ infastidita, si è nascosta dietro una porta. Lei era sulla soglia di casa, infatti, io fuori. Ho notato che questa graziosa giovane portava degli occhiali con la montatura di metallo molto simili ai miei, ma forse il filo del metallo era più sottile.

 

Parliamo lo stesso linguaggio, infatti (per occhiali=linguaggio cfr. L’Essere, l’Anima, i Mondi, §8.5 a metà circa) anche se io non ho ancora appreso tutte le loro sottigliezze. La risposta della ragazza, o meglio dell’angelo, probabilmente significa che nel farmi vivere tutta questa storia hanno una qualche intenzione nascosta.

9.12.Il 14 settembre 2000 si è verificato un equivoco; ho ricevuto la seguente visione:

 

So di essere “fuori” dal corpo terreno e che dunque il corpo che ho adesso ha significato simbolico, e mi trovo con degli orrendi dentoni giallognoli, sono i denti di una marmotta, terribilmente affilati. Avevo visto dei denti simili nella foto di una marmotta morta pubblicata su un numero della rivista Airone. Protesto vivamente perché l’immagine non è adeguata al significato, sono esasperato perché non penso proprio di meritare l’immagine di uno che ha ancora nella sua anima dei concetti ammalati. Cerco di capire se questa immagine può avere un altro significato.

 

Poiché la bocca è l’organo del pensiero, visto che con la bocca parliamo e cioè esprimiamo il pensiero, i denti possono simboleggiare i concetti mediante cui il pensiero si rappresenta l’essere e si procura la sapienza, anche perché mediante i denti noi ci alimentiamo e il vero alimento dello spirito è la sapienza. Dunque credetti che con questa immagine i mondi volessero dirmi che nel mio spirito ci sono brutti concetti, nel senso di sbagliati. “Dovete dimostrarmi dove sbaglio”, meditai imperterrito, solo un po’ offeso. Ma avevo sbagliato a interpretare il simbolo: se avessero voluto dirmi che il mio sistema di idee è carente e impreciso, mi avrebbero rappresentato con denti cariati o mancanti, non con i denti affilatissimi di un roditore. Successivamente avrei imparato che quando uno appare brutto in un sogno o in una visione, non vuol dire che è sbagliato, vuol dire che chi lo sta guardando dichiara di averne paura. La visione mi stava dicendo che i mondi avevano timore delle mie argomentazioni “affilate”, cioè efficaci, incisive. Ma poiché brontolavo per quei brutti dentoni che mi avevano appioppato in questa visione, preoccupandomene assai, i mondi tornarono e mi parlarono più chiaramente, per dissipare l’equivoco. Dopo circa un mese, il 16 ottobre, accaddero i seguenti fatti, durante una visione:

 

Mi sto aggirando in un palazzo, ogni tanto mi guardo allo specchio per vedere come mi rappresentano: so di essere in una visione, fuori dallo spazio terreno, in un mondo simbolico, e dunque so che gli specchi sono coscienze che mi guardano e mi rappresentano. Mi arrabbio quando mi rappresentano scarmigliato coi capelli in disordine, che vuol dire confusione concettuale (capelli=pensieri, perché escono dalla testa) e quando mi sento la lingua impacciata da qualcosa di gommoso dico loro che hanno torto, perché nella questione di Giacinto io ho delle ragioni ineccepibili, e sono loro che non sono stati competenti a fare i calcoli giusti, che non hanno saputo dare il giusto peso alla mia sofferenza... Così ottengo di avere un’immagine ordinata e ben pettinata in uno di questi specchi, un grande specchio antico, e ottengo anche che cessi l’impressione di avere la lingua impastata da qualcosa di gommoso; questo mi aveva fatto adirare molto, perché mi sembrava di essermi spiegato bene, e con proprietà, su questa faccenda.

 

Masticare gomma nei sogni significa fare discorsi inconcludenti. Insomma, ero riuscito a convincere i mondi, anche grazie all’intervento di uno spirito più anziano e più sapiente, quel grande specchio antico che finalmente mette le cose al loro posto, della validità delle mie ragioni. Ma la visione prosegue:

 

In una stanza piccola e un po’ squallida, arredata con mobili vecchi e dozzinali, ci sono alcune persone che io so essere angeli; si rappresenta una storia che vuole raccontare la vicenda delle tentazioni all’uomo negli errori concettuali (quella che nella precedente opera La Natura ho chiamato “campo di esperienza del male”, l’opera di Dio in funzione satanica di far ammalare l’anima umana e poi metterla alla prova, e così via). C’è infatti un personaggio vecchio e dall’aria ottusa che fa la parte dello spirito dell’uomo che si incarna nel mondo dei corpi aggregati, poi gli altri fanno cerchio tenendosi per mano, per simboleggiare l’unione delle intelligenze che governano la Terra, i demoni della Natura e della Provvidenza, che governano la vita biologica, simulano i meccanicismi e guidano la storia umana... Io dico di aver già visto una scena simile, infatti stanno riemergendo nella mia coscienza memorie lontane; l’impressione è, comunque, di qualcosa di squallido e poco poetico, questi mi sembrano tutti vecchi un po’ rimbambiti... Uno chiede di me, se sono dei loro, e un altro risponde di sì, con tono rassicurante, che sono anch’io d’accordo con la loro impresa, che ho capito la funzione della Terra e dei suoi inganni, di istruire l’uomo sul male a fin di bene, perché se ne liberi scegliendo la verità. Mi stupisco un po’ di questa loro conversazione... Io invece sono in collera con loro a causa di Giacinto, ma non solo, anche per tutti i disagi della mia vita, per la solitudine che mi hanno inflitto, e per questa orrenda famiglia che ho dovuto sopportare, e così via: dico che la loro fratellanza è un’illusione, e pronuncio parole molto dure, con tono durissimo. Dopo di che, giro loro le spalle e me ne vado.

 

Infatti, il dissidio fra me e i mondi era intanto peggiorato: mi ero reso conto grazie alla storia di Giacinto che le loro decisioni non sono tutte infallibili, che essi possono sbagliare, e dunque stavo mettendo in discussione tutta la loro impresa, se valesse cioè la pena di infliggere alle creature tante sofferenze o se tutto questo travaglio non fosse troppo costoso, rispetto ai risultati. Ma queste sono le argomentazioni che già ho espresso nella preghiera Sull’eutanasia, al paragrafo intitolato “Preghiera conclusiva. Satana e la sua funzione. Mozione di sfiducia” e che perciò non mi dilungherò a ripetere qui. Basti solo osservare in questa sede che i mondi ne avevano preso atto e se ne dicevano colpiti. Essi si mostrano in un ambiente squallido e di poco valore, vecchi e cadenti, e anche un po’ rimbecilliti, con quella recita bambinesca, per dire: forse il nostro modo di pensare è meschino e superato, abbiamo agito come gente infantile. Dopo questo vidi anche un’altra scena:

 

In un’altra stanza, piccola e poco illuminata, e sempre squallida come la casa di qualche anziano povero: anche qui avviene una discussione durissima sullo stesso argomento. Io sono talmente in collera che prendo un vaso di coccio, sapendo che è uno di loro nell’immagine simbolica del sogno, e lo frantumo gettandolo a terra e poi colpendolo ripetutamente con qualcosa. Faccio così anche con altri “vasi” dello stesso genere. So che questo significa che la mia collera li ha colpiti...

 

C’è stato un periodo, dopo questi eventi, in cui, ogni qual volta in una visione mi capitava per le mani un oggetto che io sapevo essere il corpo simbolico di un angelo, lo fracassavo senza troppi complimenti, con freddezza; e una volta, il 21 maggio 2001, uno di questi angeli ha pensato bene, per cercare di rabbonirmi, di presentarsi sotto l’aspetto di un bel gatto molto simile a Giacinto; lo spazio stesso mi comunicò che quello era il mio sistema nervoso e non un gatto, sicché mi scatenai comunque contro di lui ripetendogli tutte le mie accuse e le mie proteste, mentre lui se ne stava inerte e avvilito acciambellato su un divano. “Se non assomigliassi a Giacinto...” lo apostrofai; ma in quella mi venne in mente che era sciocco lasciarsi fermare dalla somiglianza esteriore con Giacinto e misi in atto le mie minacce prendendolo per la collottola e dandogli un gran numero di violentissimi scrolloni: ero proprio in collera. Devono aver capito ormai, codesti demoni fastidiosi e insopportabili, che Agis non tollera che gli si manchi di rispetto; e devono essersi convinti di aver sbagliato e di avermi fatto torto, visto che in quell’ultima parte della visione del 16 ottobre hanno ammesso che la loro anima è piccola, poco illuminata e squallida, vecchia e superata, e povera d’amore. E mostrandosi di un materiale fragile e non durevole hanno ammesso di non possedere una forma eterna, ma di dover affrontare un cambiamento per arrivare a uno stato più perfetto e stabile.


NOTE AL LIBRO IX.

 

Nota 1: cfr. La Natura, §2.7.

 

Nota 2: cfr. L’Essere,l’Anima, i Mondi, punto 6 della Conclusione.

 

Nota 3: a volte il cortile, che è uno spazio fuori dalla casa, rappresenta il mondo terreno, perché è fuori dalla vita (casa=vita) che l’anima conduceva nel post mortem in stato disaggregato; altre volte la casa rappresenta la vita terrena e dunque il cortile, che è fuori dalla casa, rappresenta il mondo del post mortem. Bisogna di volta in volta ricavare il senso a seconda del contesto.

 

Nota 4: che l’”io del sogno” possa simboleggiare qualcun altro dal sognatore l’abbiamo già detto nel testo principale, L’Essere,l’Anima, i Mondi, §8.2 e ripetuto qui sopra nella nota 2 al libro V e nella nota 4 al libro VIII.

 

Nota 5: si vedano i riferimenti contenuti nella nota precedente.

 

Nota 6: si noti che non potevo essere sicuro che il sogno parlasse della morte di Giacinto (e infatti ho sperato fino all’ultimo che non fosse così), prima che questa avvenisse, cioè prima di avere in mano la data-chiave per interpretare il sogno, quella della sua morte. 23/5/1999 corrisponde infatti a 7/2/2000, perché 5+5+1=7+2+2; solo dopo che sono entrato in possesso di questa data ho potuto confermare ciò che avevo temuto, ma che non avevo voluto credere, e cioè che il sogno profetizzasse la morte di Giacinto. Nell’estate del 1999, come dico più avanti nel testo, Giacinto sembrava guarito perché avevo eliminato l’uso dei detersivi tossici che gli irritavano le mucose della bocca (morì per questo motivo, perché non riusciva più a mangiare), essendo in casa da solo e potendo fare come mi pareva (vedi oltre nel medesimo §9.9); quando ho ricevuto questo sogno ho pensato che si riferisse alla morte del Pitocchino, avvenuta nell’inverno tra il 1997 e il 1998, visto che la statuina dell’oca rappresentava lui nelle mie intenzioni e che Giacinto poteva essere rappresentato colpevole di questa morte perché con la sua gelosia aveva impedito a Pitocchino di abitare con noi. Il sogno cioè è stato congegnato apposta in questo modo perché io, mentendo a me stesso, lo interpretassi male e non soffrissi in anticipo a causa della previsione della morte di Giacinto: ogni tanto anche questi demoni hanno una qualche delicatezza verso di noi.


EPILOGO.

 

 

 

 

 

 

Indice.

 

 

1.C’è ma non c’è: Orfeo non è Giacinto.

2.Non c’è più ma c’è: Orfeo è Giacinto.

3.Vedere nei sogni. Giacinto è morto, Giacinto è nato. Lo spirito è una collana.

4.E la forma macroscopica? Niente va perso; ogni istante è l’eternità.

§4/a. I gatti possono agire nel mondo terreno anche liberi dalla struttura atomica.

§4/b.Il recupero della forma macroscopica.

5.Ma qui la forma eterna è nascosta.

§5/a.Narro di come in via eccezionale Orfeo ha usato l’aspetto di Giacinto, e altre visioni.

6.Per terminare.


Se dovessimo riassumere questa vicenda, dovremmo dire: Giacinto è morto, Giacinto è nato; Giacinto è ritornato ed è ancora con me, l’ho perso per sempre... Ma che cos’è Giacinto?

 

1.C’è ma non c’è: Orfeo non è Giacinto.

Dicemmo che era l’unione di un piccolo angelo ancora immaturo e informe con una forma macroscopica, sovrapposta a una struttura atomica e governata dalle leggi apparentemente meccanicistiche messe in atto dai demoni della Natura. Da uno di questi spiriti, quello della sua specie, egli riceveva una serie di istinti che gli insegnavano come comportarsi nelle situazioni che di consueto capitano ai gatti, e da un altro spirito dello stesso tipo riceveva i tratti del suo carattere, come per esempio l’avversione a essere toccato, la sua scontrosità, la quale, mi ha detto il veterinario, è tipica dei gatti grigi. Lo stesso dicasi per la sua altezzosità di tigre argentata, la sua alterigia tutta felina; tutte queste cose mancano in Orfeo perché venivano impresse medianicamente in quella piccola anima ancora passiva, incapace di determinarsi da sé, dagli spiriti della specie e della famiglia o del sottogruppo che governavano quel corpo aggregato che ora si è dissolto. In un prossimo scritto continueremo su questo argomento, studiando cioè la differenza tra le determinazioni che l’anima riceve passivamente, e che sono molte negli animali non ancora umani, da quelle, che sono più numerose negli esseri umani, che l’anima si dà attivamente da sé e sceglie individualmente di avere, anche se a volte lo fa in maniera disattenta e irriflessa. Anche Giacinto aveva alcuni contenuti nella sua coscienza che poggiavano su convinzioni personali: l’inclinazione a non darmi mai retta, per esempio, e a non fidarsi degli esseri umani, che secondo lui erano tutti matti e incapaci: era impossibile somministrargli una medicina senza una lotta durissima, e non si fidava nemmeno del cibo in scatola o in bustina, che ha sempre rifiutato. Quest’idea deve averla assorbita da me, deve aver capito i miei pensieri quando era piccolissimo, perché io allora, cioè nel 1990-91 stavo frequentando i giapponesi, quelli che mi hanno insegnato lo yoga dinamico e lo shiatsu, e inclinavo appunto a diffidare eccessivamente della scienza materialista e degli usi occidentali, e a fidarmi troppo invece della Natura (tanto che assecondai, per esempio, i suoi desideri di mangiare pesce e carne crudi, cosa che i veterinari sconsigliano vivamente, ed egli si fissò su questi gusti: rifiutò sempre sdegnosamente qualsiasi cosa fosso cotto o avesse sapori “umani”); solo più tardi dovevo comprendere quanto quest’ultima è infida e contraria al nostro bene. Sicché il piccolo Giacinto è cresciuto nella convinzione che è meglio fidarsi dell’istinto felino che del pensiero umano, e se cercavo di fargli fare qualcosa, non c’era verso.

 

Che cosa è rimasto di lui in Orfeo? Quasi nulla: il carattere (=ciò che è in dotazione con la specie, sottospecie o famiglia) è completamente cambiato. Orfeo ama moltissimo essere accarezzato, e mi sta continuamente appiccicato addosso facendo una gran quantità di fusa ed è sempre disponibile quando lo chiamo, non fa mai il difficile, come invece faceva Giacinto, che era così altezzoso e scostante: se mi siedo e gli chiedo di saltarmi sulle ginocchia e farmi un po’ di fusa non mi fa aspettare, ma anzi, di solito è lui che miagola perché io mi metta in posa con le ginocchia a sua disposizione per saltarci sopra. Giacinto mostrava la sua stima per me in maniera molto sobria: mal sopportava il contatto fisico, non faceva mai le fusa né in vita sua mi è mai saltato sulle ginocchia; impossibile prenderlo in braccio, diventava una furia. Il massimo di contatto fisico che mi concedeva era dormire abbracciato al mio piede, oppure accostare la sua lombare alla mia gamba e abbracciarla con la coda, e comunque si avvicinava sempre di sua iniziativa, mai quando glielo chiedevo io. Orfeo è disciplinato, e non ha mai passato una notte fuori casa in vita sua, rientra facilmente la sera, quando siamo in vacanza sul lago, e comunque non si allontana mai dalla nostra vista; Giacinto, invece, era indipendente, e nei mesi che passavamo al lago e lui poteva girare libero, si allontanava molto, non tornava mai a casa di sera, ma passava la notte fuori lasciandomi nell’apprensione, era impossibile chiuderlo dentro senza che mi demolisse la casa; aveva imparato di sua iniziativa a farsi rivedere quando iniziava a grandinare, perché in tali occasioni io mi mostravo estremamente preoccupato, girando sotto la pioggia a cercarlo e gridando angosciato il suo nome (saltava sempre fuori perfettamente asciutto e senza un pelo in disordine, chissà da dove): al primo tuono e ai primi goccioloni, da un certo punto in poi, prese l’abitudine di ricomparire chiamandomi con un miagolio, come per dire: guarda che sono al sicuro, non preoccuparti. Ma a me bastavano questi segni sobri d’amore: quando mi rispondeva “miao” da lontano, per dire “sto bene, non ti preoccupare, ma sono molto indaffarato”, oppure quando rincasava solo per un momento, per farsi vedere sapendo che io ero in ansia, salvo poi ripartire immediatamente per le sue piste; oppure quando, acciambellato sul mio divano-letto nella mia camera milanese, mi osservava studiare seduto al tavolo, e mi sorrideva da lontano, senza accostarsi, come se volesse farmi sentire la sua approvazione per quello che stavo facendo...

 

Orfeo è tutto l’incontrario: ha perso l’alterigia di Giacinto e l’istinto di rifiutare il contatto fisico: ama essere preso in braccio, toccato e accarezzato, ed è docilissimo quando gli si deve mettere l’antiparassitario o quando lo si deve curare con qualche medicina: quando un orecchio ha cominciato a dare segni di lesioni e di spelacchiamento, ho potuto trattarlo con acqua e sale e con il Clorexiderma senza alcuna difficoltà, si è lasciato fare di tutto. Quando Giacinto era piccolissimo, tentai di spazzolarlo, perché avevo trovato scritto su un manuale che è bene spazzolare il pelo ai gatti quotidianamente, “cosa che riuscirà loro molto gradita”, o qualcosa del genere: ma meno male che avevo gli occhiali sul naso in quel momento, perché quel micetto minuscolo tirò fuori un foresta di unghie acuminate puntando direttamente a perforarmi le pupille. A quest’ora andrei in giro con un cane lupo e un bastone bianco. Non osai, perciò, ripetere la medesima esperienza con il piccolo Orfeo; invece lui stesso, un giorno, mi fece capire che gli sarebbe piaciuto molto essere pettinato da me: saltò sul lavandino del bagno, una mattina, mentre io mi stavo pettinando davanti allo specchio, e fece un gesto inequivocabile, indicò col nasino il pettine che avevo in mano. Trovai un vecchio pettine in disuso per lui e da allora non posso pettinarmi senza prima aver accudito a sufficienza il suo pelo nerissimo con pettine e striglia.

 

Ora, alcune di queste trasformazioni sono dovute al ritirarsi, col cambiamento di corpo aggregato, delle dotazioni che venivano date a Giacinto dagli spiriti della sua specie, stirpe e famiglia; Orfeo ne ha altre diverse, evidentemente. Ma c’è un cambiamento che mi sembra sia avvenuto nella sua forma spirituale, cioè individualmente, per un cambiamento di concezioni che egli volontariamente e consapevolmente ha operato in sé stesso dopo l’esperienza della FIV e della morte: ora si fida di più di me e dei veterinari, non cova più una disistima totale per gli esseri umani, ma si è accorto che darmi retta può risparmiargli delle brutte esperienze, ed è diventato molto ubbidiente e disciplinato. Penso cioè che l’inclinazione all’autonomia e alla disobbedienza che era di Giacinto non fosse né un istinto né una dote naturale, ma poggiasse su idee sue personali, e che egli ora però queste idee le abbia cambiate e abbia imparato ad ascoltare i miei consigli e ad apprezzare le cure degli esseri umani. Dunque anche la sua anima è cambiata, non solo il suo corpo e il conseguente carattere; ma allora Giacinto non c’è più? Che cosa è rimasto di lui?

 

2.Non c’è più ma c’è: Orfeo è Giacinto.

Quello che è rimasto di Giacinto è il suo amore per me, il nostro legame, e i ricordi della sua vita con me. Ho già detto che appena entrato da noi, il piccolo Orfeo mostrò di ricordare i suoi posti preferiti, e a questo devo aggiungere altri piccoli segni della continuità della sua memoria. Il 4 agosto 2001, trovandomi nella nostra casa al lago, dove avevo portato Orfeo per la prima volta, ho annotato sulla mia agenda: “Giacinto2 si è tradito, ha fatto con la zampina lo stesso gesto che faceva Giacinto, di tentare di girare la chiave per aprire la porta. Un gatto così giovane come ha fatto a capire già il funzionamento delle chiavi? Se lo ricorda, evidentemente; Miranda non fa lo stesso gesto, anche se è la più scalmanata per uscire”. Giacinto aveva imparato la funzione delle maniglie semplicemente osservando come facevo io ad aprire le porte: gli era bastata un’unica osservazione, dopodiché fu impossibile tenerlo chiuso dentro da qualche parte. Quando non volevo uscisse chiudevo la porta a chiave, ma lui osservò di nuovo e capì che, quando abbassare la maniglia non funzionava, occorreva girare le chiavi, sicché tentava con la zampina di far girare la chiave nella serratura facendo tintinnare tutto il mazzo, che per abitudine teniamo sempre infilato nella toppa interna della porta d’ingresso. Non riusciva solo perché non aveva un pollice mediante cui afferrare la chiave e farla girare. Il piccolo Orfeo, quando per la prima volta si trovò chiuso dentro, perché avevamo deciso di non lasciare uscire né lui né Miranda di sera, per non correre rischi, la prima cosa che fece fu proprio quel gesto: tentò con la zampina di far girare la chiave nella toppa, esattamente come faceva Giacinto. Come poteva aver osservato un gesto che io davanti a lui non avevo mai fatto? E c’era anche un altro mazzo di chiavi che Giacinto conosceva bene: a Milano era abituato a scendere in cortile e gli piaceva anche accompagnarci in cantina quando io o un mio familiare andavamo a portar giù la spazzatura, sicché ogni qual volta uno di noi prendeva in mano il mazzo dov’era contenuta la chiave della porta di ferro che dà accesso sia al cortile che alla cantina, accorreva per non perdersi la passeggiata. Ma Orfeo come faceva a conoscere quel mazzo di chiavi? Dal momento che si è diffusa la FIV non abbiamo mai portato né lui né Miranda in cortile, e in cantina nemmeno, dacché il condominio ha fatto mettere esche avvelenate per i topi. Eppure, ogni volta che io o mia madre prendiamo in mano quel mazzo di chiavi, solo quello e non altri, lui accorre e si siede a ridosso della porta, fissandoci e miagolando come per chiedere di poter scendere in cortile. Giacinto era molto affezionato a quel cortile, era il suo territorio, e quando divenne troppo debole per scendere a difenderlo da invasioni di altri gatti gli ho visto lanciare là dal balcone uno sguardo che non dimenticherò mai; ma Orfeo non l’aveva mai visto: eppure chiedeva di accedervi.

 

Il 16 agosto 2001, cioè nell’undicesimo anniversario dell’incontro tra me e Giacinto, di quando mia sorella me lo portò piccolo, terrorizzato e bellissimo, il primo dopo la sua reincarnazione, Orfeo mi si avvicinò e fece l’identico gesto che faceva Giacinto per dimostrarmi affetto: premette il suo nasino contro il mio piede per darmi un “bacino” (cfr. §5.6 e §8.9). Lo fece solo quella volta: non lo aveva mai fatto prima, non lo rifece mai più. Quel piccolo gesto era un’invenzione di Giacinto, non un gesto istintivo, perché nel linguaggio dei gatti non c’è: essi si sfregano sui tuoi pantaloni con la coda alzata, vengono a sfregare la testa o anche il muso sul tuo mento, e così via, ma nel repertorio di gesti stereotipi comunicati ai gatti dallo spirito della specie quella mossa di stamparti un bacino col naso non c’è. Da micetto piccolissimo, Giacinto aveva capito che per noi umani il bacio è un gesto d’affetto: mi era venuto spontaneo dargliene qualcuno, quel micetto era irresistibile. E ricordo come se fosse ieri, anche se sono passato quasi diciott’anni da allora, la sua espressione pensosa e assorta, nel momento in cui appunto io gli avevo stampato un bacino sulla testa, e la sua decisione di imparare a fare altrettanto: il primo tentativo fu un disastro, perché gli venne fuori un piccolo morso sul mio mento, sicché io gridai per il dolore; ma non desistette, ci riprovò in più modi, finché ne trovò uno soddisfacente, quello appunto di schiacciarmi con forza il suo nasino contro il mento. Andai in visibilio. Da allora quello fu il suo saluto, e poiché mi aspettava per le scale per salutarmi quando tornavo a casa, alcuni condomini ne furono colpiti, tanto era inconsueta la cosa, e persino due anziane signore cattoliche, anzi bigotte, di quelle che in genere non hanno alcuna considerazione per gli animali, ogni volta che ci incontravamo per le scale chiedevano di assistere a quel singolare spettacolo; Giacinto si esibiva, orgoglioso della sua capacità...

 

3.Vedere nei sogni. Giacinto è morto, Giacinto è nato. Lo spirito è una collana.

Capisco che nessun razionalista accetterebbe queste cose come prove dell’esistenza della reincarnazione; agli ottusi le osservazioni sottili non servono. Ma noi abbiamo fondato questa teoria non sull’osservazione, a posteriori: quelle servono solo a me, per confermare vieppiù ciò che già mi hanno comunicato i sogni, e cioè che in Orfeo vive l’anima di Giacinto; la teoria della reincarnazione, è meglio ricordarlo, è invece una conseguenza diretta della nostra ontologia e della nostra visione spirituale della fisica terrena, nonché della nostra cosmologia ed escatologia. L’abbiamo dimostrata valida A PRIORI, non a posteriori. Chi non si premura di procurarsi tali conoscenze prima di leggere il presente scritto, e non sa applicare la retta metodologia e dunque produce pseudoscienza, è un ottuso e un negligente e non gli permetteremo di abbaiare contro di noi; ovviamente saranno invece rispettate e, anzi, apprezzate tutte le obiezioni intelligenti e fondate, che potranno essere di stimolo ad approfondimenti e nuove ricerche. Ma spero che ci sia almeno qualche Lettore, o qualche Lettrice, che accetti l’impianto complessivo della nostra scienza, e che si lasci condurre, salvo poi emanciparsi e camminare da sé, a guardare la realtà nei racconti dei sogni. In questa sede ho scelto di citare i sogni più semplici e più brevi della mia raccolta, dal significato più immediato, per non dover divagare troppo nella spiegazione dei simboli e delle vicende; ma dovrò fornire in scritti futuri ai miei Lettori una dimestichezza con quel difficile linguaggio sufficiente a renderli capaci di tradurre i messaggi più lunghi e complessi e di riaprire così anch’essi il colloquio con i mondi che era anteriormente precluso dai pregiudizi della religione e della falsa scienza. Non per niente i sogni rappresentano sé stessi, nel loro linguaggio, come un moderno ed elegante telefonino cellulare (il telefono di vecchio tipo è la comunicazione medianica, ma quello non funziona mai). Ma ora vorrei dare, in via preliminare, qualche esempio di come i sogni possano mostrarti, se li comprendi, ciò che in genere agli uomini rimane occulto. Nel seguente sogno si può vedere come ciò che noi chiamiamo “morte”, visto dai veri mondi è invece nascita. L’ho ricevuto il 22 febbraio 2000, pochi giorni dopo la morte di Giacinto:

 

Qualcuno mi dice che è nato un bambino, si chiama Giacinto; io dico con molta tristezza che invece il mio Giacinto, il mio gatto, è morto... Questa scena si svolge in un interno un po’ oscuro, mentre siamo seduti sul bordo inferiore di un letto, sento vagamente la presenza della famiglia del neonato.

 

Il bordo del letto significa il confine tra due mondi (letto=mondo, cfr. §8.7), quello che morendo Giacinto ha varcato; io dico che è morto, ma sbaglio perché è morto solo il suo corpo aggregato, mentre la sua famiglia, gli spiriti dei mondi, considerano la sua uscita del corpo di terra come una nascita: è morto il gatto Giacinto, è nato il bambino Giacinto, cioè l’anima disincarnata nella sua nuova vita. E leggiamo il seguente, che risale al 7 gennaio 1999, tredici mesi prima dell’evento che racconta (7/1/1999 corrisponde a 7/2, giorno e mese della morte di Giacinto, perché 7+1+1=7+2):

 

Faccio girare la testa di Giacinto come se fosse svitabile, stranamente è fatto di una specie di stoffa trapuntata... Mi accorgo che questo è un po’ penoso, gli chiedo scusa e noto che così facendo ho provocato una strana mutazione nella sua testa: appare informe e senza bocca né occhi... Vagamente: c’è un’altra testa di Giacinto, avevo forse fatto con essa la stessa cosa...

 

Abbiamo già visto il simbolo del “guardare da un altra parte” (cfr. supra, §5.1 e §2.3) per significare la morte; qui chi parla in prima persona è Dio che sposta da un mondo all’altro la sua anima facendolo morire (gli fa girare la testa in modo che guardi altrove). In questo sogno Dio ha chiesto scusa anche a Giacinto perché si è reso conto di aver compiuto un’azione prepotente nei suoi confronti. Da questo sogno possiamo imparare che quando l’anima è ancora nello stadio pre-umano, una volta separata del corpo aggregato (la stoffa trapuntata) risulta informe e priva di capacità proprie (non ha né bocca né occhi, non è capace di rappresentarsi l’essere per mezzo di idee rette espresse da un linguaggio, ha coscienza ma non conoscenza di sé). Sono informazioni importanti per chi voglia capire l’essere, la sua evoluzione (quella vera che avviene nello spirito e non nei corpi biologici) e la funzione della forma umana; ed è importante l’accenno contenuto nell’ultima frase: non è la prima volta che questo accade, lo spirito è stato già aggregato a un corpo di terra e disaggregato da esso in precedenza. Così ci insegna anche il messaggio che ho ricevuto il 25 marzo 1999 (25/3/1999 corrisponde alla data di morte di Giacinto, 7/2/2000 perché 7+3+1=7+2+2):

 

Qualcosa con Nolan e Giacinto; chiamo Nolan un cane nero (nella realtà fisica, come si ricorderà, Nolan era il nostro dalmata di famiglia, che poi si è reincarnato in Giacinto), nel sogno si dà per scontato che sia lui. Mi avvedo però che come è ricomparso Nolan, ho perso Giacinto. Disastro! Chiamo Giacinto; passa un po’ di tempo con questi miei richiami; infine Giacinto c’è ma io non ci faccio caso, ho qualche difficoltà nel ritrovarlo. Noto che non è più un gatto tigrato.

 

Nolan, Giacinto e Orfeo sono tre perle della stessa collana; io ora lo so, e considero Orfeo, che è un animale nero, come fosse Nolan (chiamo Nolan un cane nero); ma dopo che è ricomparso Nolan, cioè dopo che lo spirito nel post mortem ha ritrovato le sue vecchie forme macroscopiche ed è ritornato in grado di usarle, io ho perso il mio gatto, il Giacinto in carne e ossa che stava con me. Il sogno prevede con un anno d’anticipo che io mi sarei messo a cercare Giacinto nel mondo del post mortem, e che poi, dopo un altro anno, lo avrei ritrovato in un nuovo corpo non più soriano, e prevede anche che all’inizio mi sarei trovato in difficoltà perché incapace di riconoscerlo subito. E’ per questo che i mondi mi hanno mandato messaggi più semplici, come quelli che ho riportato nel libro VII e nel libro VIII, per farmelo riconoscere; e ne voglio qui citare un altro, sia perché serve a ribadire l’immagine della superficie riflettente come simbolo dello spazio, immagine dell’immaginazione degli angeli, che è molto importante, sia perché illustra la funzione dei sogni.

 

Mi arrivò il 5 agosto 1999, forse per intendere la data del 10 aprile, giorno e mese senza l’anno, e cioè quella in cui Orfeo arrivò in casa mia: 5+8+1=10+4. Esso è il seguente:

 

E’ notte e sto dormendo nel mio letto (questo accadeva sia nello spazio terreno che in quello del sogno in maniera identica), ma devo alzarmi (questo solo nel sogno) perché ho visto riflessa nel legno lucido del pianoforte (è tutto uguale come nello spazio terreno) l’immagine di Giacinto che sta miagolando disperatamente: vedo chiarissimo il muso e il movimento di scoprire i denti e la lingua tipico di quando un gatto miagola forte. Devo pensare un istante per capire che è rimasto chiuso fuori sul balcone, sta miagolando da lì, e io lo vedo riflesso nel legno. Allora mi precipito ad aprire le ante della porta-finestra e lui entra.

 

Questo sogno era nascosto sotto una data che io non possedevo, mentre dopo quel 22 febbraio 2001 (cfr. supra, §7.2) cercavo febbrilmente un suggerimento sul micetto di Rita e Valerio, se fosse Giacinto o no, perché non potevo certo prevedere in anticipo che Rita me l’avrebbe portato il 10 aprile; o anche considerando il 5/8/1999 come corrispondente a 28/1/2001, la data di nascita di Orfeo (5+8+1 e cioè 13+1 equivale a 1+1+3), questo non poteva essermi utile immediatamente, perché tale informazione, come dissi sopra, mi pervenne più tardi; né, durante la mia frenetica ricerca, notai che se avessi tradotto la data 22/2/2001 in termini di nuova datazione, e l’avessi trasformata in 22/2/8,  essa poteva corrispondere alla data di questo sogno perché 4+2+8=5+8+1, e così esso mi sfuggì; infatti, io stavo cercando sotto le date a somma 9. I sogni hanno fatto apposta, credo, a rendermi il percorso un po’ accidentato, salvo provvedere loro a darmi una spintarella decisiva verso la soluzione migliore, per qualche motivo, forse per indurmi a cercare a lungo e a trovare un gran numero di sogni che mi confermasse l’identità tra Giacinto e Orfeo, mentre altrimenti mi sarei accontentato del primo rinvenuto. In questo caso è importante notare come i sogni indichino chiaramente sé stessi come il mezzo apposito che ci consente di vedere le cose occulte: devo dormire, per poter vedere i simboli riflessi nello spazio dei sogni (il legno lucido del pianoforte: l’angelo che mi ha comunicato questo sogno mi avvisa di essere un’anima in possesso delle “corde”, cioè delle disposizioni spirituali necessarie per essere “intonato”, ossia sapiente e giusto),  e così dopo averli compresi “alzarmi dal letto”, cioè, in questo caso, tornare nel mondo terreno ed agire recuperando Giacinto. Lui desiderava tornare con me ed è stato capace di ritrovarmi, ma io, se anche avessi preso con me Orfeo senza capire che in lui c’è l’anima di Giacinto, non potrei dire di averlo recuperato, avrei continuato a ignorare dov’era e avrei dovuto considerarlo perso. E in un altro sogno, che però non posso qui citare per intero, perché è molto lungo e complesso, e perciò, come ho detto, lo serbo per scritti più avanzati, c’è un particolare che ci interessa ora per completare il presente argomento: viene indicata dal sogno stesso la funzione dei messaggi onirici di indicarmi dove ritrovare Giacinto, e, soprattutto, è menzionata la tecnica delle date, quella di simbolizzare la data dell’evento-chiave mediante le cifre della data di ricezione del sogno. In quel lungo messaggio veniva raccontata tutta la vicenda per esteso, dalla mia decisione di non sterilizzare Giacinto e di lasciarlo libero per i cortili, che lo ha esposto al rischio di contagiarsi con la FIV, ai suoi quasi due anni di agonia, fino alla sua perdita; a questo punto c’è l’episodio che ci interessa:

 

...una donna di servizio (...) mi dice esattamente dove posso trovare Giacinto, me lo indica chiaramente, è dentro a un cestino di vimini simile a quello che realmente era suo. Mi stupisco dell’intelligenza del gatto, che ha ritrovato da solo la strada per tornare con noi (...) e anche per le espressioni un po’ strane impiegate da quella donna per consentirmi di ritrovarlo: erano le misure precise di certe sezioni da cui era costituita la cornice di metallo della grande finestra, quella della sala dove ho ritrovato Giacinto. Per dirmi dov’è, la donna di servizio mi comunica il numero preciso della sezione di tale finestra all’altezza della quale è collocato il cestino con dentro Giacinto; mi dice: “nella sezione tale del metallo, al centimetro tale”.

 

Seguiva poi una nota sul fatto che gli animali non umani in questo mondo vengono spesso svalutati e maltrattati, e la profezia di come sarei venuto a sapere delle cattive intenzioni di qualcuno verso Giacinto (ciò che deve essere accaduto durante la sua nuova incarnazione sotto forma di cane collie), non per esperienza diretta, ma per aver “ascoltato una conversazione”, cioè per averlo appreso nelle visioni e dai sogni, e di come mi sarei agitato per questo (“mi adiro assai e penso che devo trovare il modo di riprendermelo e portarmelo via, prima che qualcuno lo ammazzi”). Quello che mi preme far notare è che il sogno racconta come gli angeli che ci comunicano i sogni (la donna di servizio) mettano delle indicazioni precise su giorno, mese e anno (la finestra è il tempo, perché dalla finestra si vedono le varie fasi del giorno che passa, e le sezioni del metallo da cui essa era composta sono appunto le partizioni del tempo) perché noi possiamo collegare con certezza la profezia di un sogno all’evento che la realizza. Se io sono sicuro, oggi, che Orfeo è Giacinto è perché i sogni che descrivono il ritorno di Giacinto in una nuova incarnazione sono registrati sotto a delle date, le cui cifre sommate danno il medesimo risultato della somma delle cifre contenute nelle date-chiave del mio incontro con Orfeo. I sogni mi hanno indicato così in che punto preciso del tempo si trovava il “cestino” dentro cui è collocato Giacinto, il suo nuovo corpo aggregato (“nella sezione tale del metallo, al centimetro tale”). Per esempio, questo lungo sogno che racconta tutta la vicenda mi è pervenuto in data 24 luglio 1999: il 6 dato dalle due cifre del giorno più il numero 7 del mese danno 13, mentre l’anno fa 1; la sequenza di cifre 1, 3, 1 corrisponde a quella della data di nascita di Orfeo, 28/1/2001, che è 1, 1, 3.  E’ così che nei sogni si può vedere ciò che altrimenti rimarrebbe a noi occulto.

 

4.E la forma macroscopica? Niente va perso; ogni istante è l’eternità.

C’è ancora un argomento da affrontare prima di terminare questo faticoso itinerario. Dopo che Giacinto si è trasformato in Orfeo, il suo bell’aspetto, quello della sua forma macroscopica, è svanito nel nulla? Sicuramente no, perché anche dopo la nascita di Orfeo, e persino dopo che Orfeo era venuto ad abitare in casa nostra, l’ho rivisto in qualche visione. E anche i fenomeni differenti dalle visioni non cessarono immediatamente: già la Lettrice, o il Lettore, avrà notato che alcuni segni della sua presenza fra quelli riportati sopra (§5.10 e anche §5.9, in fondo) si sono verificati posteriormente alla nascita di Orfeo e che anche in alcune delle visioni già riportate ho narrato di aver rivisto Giacinto dopo che la sua anima, benché io non lo sapessi, si era già aggregata al nuovo corpo. Questo non deve sorprenderci, perché i mondi ci hanno insegnato, mostrandoci sovente Miranda insieme a Giacinto negli spazi extraterreni (e anche me con loro, in fin dei conti), che anche le anime legate  a un organismo terreno possono comparire nelle visioni; forse un fenomeno simile non è consueto per gli esseri umani, ma per i gatti sì.

 

§4/a. I gatti possono agire nel mondo terreno anche liberi dalla struttura atomica.

Dopo il suo ritorno in casa mia, posso citare ancora le seguenti esperienze non visive. Il 3 maggio 2001, sulla mia agenda ho annotato:

 

Ore 6 del mattino: mi sveglio di soprassalto perché ho sentito un rumore accanto al letto, sulla libreria piccola a sinistra della mia testa; la porta della stanza è chiusa e i gatti sono fuori. Il rumore che ho sentito sembrava come qualcosa di carta caduto sul pavimento. Poi comincia una serie di rumori vicinissimi alla mia testa, come se qualcuno scuotesse la libreria. Penso a un terremoto...

 

Ma non si registrò nessun terremoto in Lombardia, quella mattina; era forse un gatto che giocava un po’ violentemente vicino alla testiera del mio letto? era Giacinto? era Miranda? o tutti e due? Non mi stupirebbe, perché evidentemente non era loro piaciuto essere chiusi fuori dalla mia stanza e avranno perciò fatto un salto fuori dallo spazio terreno per poter rientrare a dispetto della porta chiusa, o forse si sono mossi nel medesimo spazio terreno (io ero perfettamente sveglio nel corpo fisico, infatti), ma senza l’aggregato di atomi e solo con l’immagine della loro forma macroscopica, visto che lo spazio terreno accetta di riflettere il corpo semplice dei gatti, mentre di consueto non lo fa con quello degli esseri umani. A questo proposito posso citare il caso del gatto di una mia allieva di yoga, Aurora, quello che ho già menzionato sopra, al §5.14: ella, chissà perché, se ne volle liberare e lo lasciò presso una casa di contadini in campagna, inserendolo in una colonia di gatti semi-nomadi, convinta che la vita libera fosse migliore per lui; ma quel bel gattone, un soriano di tipo americano, tornò in spirito una notte, mentre ella era nella sua casa di Milano, ella ne ebbe una visione precisissima: mi raccontò con molta disinvoltura che mentre era nel dormiveglia aveva sentito il suo gatto, del quale il corpo fisico era ancora in campagna, balzare sul letto e camminarle sopra, e lo aveva anche visto chiaramente. “Si vede che era il suo nagual” disse, imperturbabile, Aurora impiegando un termine in uso presso la tradizione di una cultura nativa del suo paese, il Messico, per indicare grosso modo quello che noi intendiamo con “corpo semplice” o “corpo spirituale”, cioè un corpo prodotto da un unico atto di immaginazione. Comunque, quel 3 maggio io non vidi il nagual di Giacinto, né quello di Miranda, ma mi capitò qualcos’altro, qualcosa di poco comprensibile. Ecco come prosegue il mio appunto:

 

Mi alzo (scil.: nel mondo terreno, col corpo fisico) e apro la porta ai gatti perché sono un po’ spaventato. Essi mi impediscono di dormire per un po’ coi loro salti e i loro giochi e a un certo punto Miranda dà una zampata alla mia sveglietta.

 

Era una vecchia sveglietta al quarzo nera, che avevo comprato all’inizio degli anni ottanta, se non ricordo male, quando ero ancora spaventato dalle visioni; pensavo che se fossi stato intrappolato da un sogno, per tornare nella “realtà” sarebbe bastato aspettare che suonasse la sveglia, senza panico. Mi alzai a controllare che non si fosse rotta, ma qui accadde una cosa incomprensibile:

 

Convinto di essere sveglio (scil.: nello spazio terreno, collegato al corpo fisico), mi alzo dal letto e raccolgo da terra la sveglietta per controllare che non si sia rotta, ma vedo che i numeri sul quadrante risultano stranissimi, sono tutti sparsi e navigano un po’ qui e un po’ là, e rendendomi conto così di essere in una visione mi chiedo se nei numeri che vedo ci sia un qualche senso...

 

Questo è troppo per me; questi mondi e questi gatti mi stanno tirando scemo! Non ho mai capito che cosa abbia voluto dirmi quello spazio riflettendo la medesima situazione verificatasi nel mondo fisico, quella della sveglietta caduta a terra per la zampata di Miranda. Forse voleva mostrarmi che anche nello spazio spirituale si possono vedere le forme macroscopiche riflesse nello spazio terreno? Ma allora perché ha dilatato i numeri delle ore e dei minuti sulla sveglietta? Per dire: io sono in un altro tempo, per me ore e minuti si allungano all’infinito? Comunque, il giorno dopo, sempre di mattina presto, ero sveglio nel mondo terreno e, come la mattina precedente, vicino alla mia testa, dalla parte della libreria, sentii la presenza di un gatto (non fisico, le due pesti erano di nuovo chiuse fuori dalla stanza), ma questa volta la percezione fu più chiara perché si trattava del rumore di unghie tirate nella stoffa del mio divano-letto; quel gesto era un’abitudine di Giacinto. Il 16 giugno successivo, mentre i due gatti erano chiusi fuori dalla stanza e mentre ero già sveglio perfettamente, di mattina molto presto accadde il fatto seguente, così come l’ho appuntato sulla mia agenda:

 

Sento qualcuno montare sul mio letto, pesante come un gatto, dura a lungo, e si muove anche sopra le mie gambe.

 

Chissà chi era dei due? Queste esperienze fanno seguito a quelle del 18 e 26 marzo 2001, da me già sopra riportate, al §5.10, che sono simili, ma sono accadute prima che Orfeo venisse a stare con me in casa mia e dopo, però, che Orfeo era già nato, e alle quali devo aggiungerne un’altra del 30 marzo successivo, quando mentre Miranda era in cucina a sgranocchiarsi i suoi croccantini (ne udivo chiaramente il rumore), io ho sentito chiaramente le zampine di un gatto che mi calpestavano. Devo dire anche un’altra cosa: i fenomeni di questo tipo cessarono dopo un po’, e non so se è perché io poi capii che Orfeo è Giacinto e dunque egli non ha più sentito il bisogno di rassicurarmi, o perché smisi di chiudere i gatti fuori dalla mia stanza mentre dormivo. Ci basti comunque aver stabilito che i gatti sono liberi di manifestarsi in modo non fisico, quando a loro occorre, anche qui nello spazio terreno e, cosa ancora più importante, di cambiare spazio facilmente.

 

§4/b.Il recupero della forma macroscopica.

In quest’ultimo caso essi possono anche recuperare le forme macroscopiche vissute in incarnazioni passate, come abbiamo visto nel caso di Giacinto-delfino e in quello della ricomparsa di Nolan. E, per completare ciò, aggiungo anche il racconto della ricomparsa di Giacinto dopo la sua reincarnazione in Orfeo, e della ricomparsa di Pitocchino (come si ricorderà, è la personalità precedente di Miranda) anche dopo che Miranda era già una gattina di circa un anno. Iniziamo da quest’ultima esperienza:

 

4 maggio 2000. Visione: c’è Pitocchino, lo vedo proprio bene, è lui da adulto. Mi stupisco e ne rimango confuso, dico a me stesso: “ma allora non è vero che si è reincarnato in Miranda?” Mi fa tenerezza, povero Pitocchino, lo accarezzo un po’... Però la vicenda di sfondo è che stavo aspettando Giacinto, che non vedo più da parecchio tempo, sono preoccupatissimo, mi fa piacere aver ritrovato Pitocchino, ma sono in ansia, preferirei che Giacinto tornasse.

 

Ero perfettamente cosciente di essere in uno spazio extra-terreno, durante questa esperienza, e conservavo intatte le mie memorie (mentre nei sogni in genere la nostra memoria è interdetta): ricordavo tutto ciò che riguardava Giacinto e mi ricordavo di Pitocchino, che era morto e che alcuni sogni mi avevano suggerito che Miranda ha lo stesso spirito di Pitocchino, ma non avevo ancora chiara questa nozione importante che qui stiamo sviluppando, e cioè la possibilità per un spirito che agisca in stato disaggregato di recuperare le sue forme macroscopiche passate e usarle a mo’ di corpo simbolico, sicché questa visione mi lasciò molto confuso, nell’incertezza. Se Pitocchino è ancora nel mondo del post mortem in stato disaggregato, pensai, non è possibile che contemporaneamente sia anche incarnato in Miranda. Eppure i sogni parlavano chiaro, e anche il messaggio contenuto nel sogno del 9 luglio successivo (cfr. supra, §§5.1-5.2) mi riconfermò che Miranda e Pitocchino erano il medesimo spirito, in maniera troppo esplicita per lasciare dubbi. Dovetti ragionare assai e vivere altre esperienze, delle quali parlerò in altra sede, per comprendere che la nuova forma macroscopica che sopravviene con una nuova incarnazione non cancella la precedente, ma la eclissa soltanto momentaneamente, e che la forma macroscopica di un’incarnazione passata può essere usata in qualunque momento e in qualunque spazio per simboleggiare lo spirito che ne ha avuto esperienza in epoche trascorse; tanto è vero che nel sogno del 25 marzo 1999 (supra, epilogo, §3) si dice che in concomitanza con la scomparsa di Giacinto è ricomparso Nolan, cioè che nel momento in cui lo spirito che era in Giacinto si libera del suo ultimo corpo aggregato, riemerge la sua vecchia forma ed egli ne rientra in possesso. E’ un po’, però, come se da forma macroscopica essa si fosse trasformata in forma simbolica. Ora, infatti, in quella visione del 4 maggio, per dire che lì era presente lo spirito di Miranda, quello spazio mi ha mostrato l’aspetto del Pitocchino, cioè l’immagine della sua passata forma biologica, quella che Miranda aveva avuto nella sua incarnazione precedente, usando quindi quella che una volta era stata la forma macroscopica di un corpo aggregato come corpo simbolico.

 

Si può dire, dunque, che lo spirito di Miranda è Pitocchino, e che lo spirito di Orfeo è Giacinto, nel senso che quella che prima era la forma macroscopica del suo corpo aggregato è diventata uno dei suoi corpi simbolici. Il Lettore, o la Lettrice, ricorderà che dicemmo di stare cercando non una cosa sola, ma due (supra, §4.4) e che la prima, l’anima di Giacinto, l’abbiamo ritrovata in Orfeo; la seconda, la sua forma macroscopica, la ritroviamo ora intatta nei mondi: essa è nella memoria degli angeli della Terra, dunque nella memoria dell’essere, ed è indelebile, ed è nello spirito di Giacinto come una sua esperienza pregressa, una tappa del suo cammino. L’essere la vede, e cioè la pensa e l’immagina, e la forma c’è ed è eterna, splende ovunque eternamente ed è ora diventata un segno del nostro linguaggio.

 

5.Ma qui la forma eterna è nascosta.

Ma per noi quella forma è eclissata dallo spazio terreno, dal nostro sistema nervoso cioè, perché egli rifiuta di rifletterla in sé, visto che la Terra, quel sistema di spazi di cui parlammo già nell’opera principale, specchio oscuro di forme menzognere, non dà immagine agli spiriti in stato semplice e ai loro pensieri e contenuti, ma con la sua macchinosa simulazione comunica a noi coscienze intrappolate solo la presenza delle strutture atomiche. Ma lo fa mentendo, perché laddove nello spazio che riflette gli atomi (che abbiamo anche chiamato, come si ricorderà, “primo spazio”) ci sono solo sequenze di atomi e molecole, composti chimici, a noi il nostro sistema nervoso comunica immagini e cioè corpi, come se là ci fosse un vero oggetto e non invece uno sciame assurdo di spiriti spenti. Il nostro sistema nervoso, quel maledetto demone carceriere che si è impadronito di noi, mente quando rappresenta in sé, nella propria immaginazione, che è lo spazio della nostra esperienza consueta, una forma macroscopica, un oggetto, laddove c’è invece un aggregato di atomi, e la corrispondenza tra un certo aspetto e una certa serie di sequenze di atomi è solo una convenzione tra i demoni della Natura: i composti chimici sono come le frasi di un codice cifrato, per cui a una certa frase, a un certo composto chimico, corrisponde la forma macroscopica dell’osso, a un’altra quella del muscolo, a un’altra ancora quella del tessuto epatico e così via. Ma tutte queste forme, in realtà, sono pensieri che possono essere pensati indipendentemente dai composti di atomi che stanno nello spazio terreno, o primo spazio, quello appunto che riflette gli atomi; tra le sequenze di atomi e molecole e le forme dei nostri corpi terreni c’è lo stesso rapporto che tra qualcosa da costruire e il relativo libretto delle istruzioni. Il nostro sistema nervoso è un angelo, un atto di coscienza dell’essere, e i suoi pensieri sono contenuti dell’essere; le forme che egli pensa possono essere ovunque, pensate dall’intelletto e riflesse nell’immaginazione di tutti i mondi; e quando la struttura atomica del corpo aggregato si dissolve e dunque il nostro spazio terreno non riflette più la forma macroscopica che prima ad esso usava sovrapporre, e che comunicava a noi, comunicando un’immagine di sé stesso e dei suoi contenuti alla nostra coscienza, per noi che siamo intrappolati appunto nello spazio del nostro sistema nervoso e che riceviamo solo le immagini contenute in tale spazio, prodotte cioè dalla sua immaginazione, e non altre, quella forma è scomparsa e a noi sembra che non ci sia più, che si sia dissolta e che sia andata perduta per sempre, mentre non è così, ma ci è solo stata nascosta.

 

§5/a.Narro di come in via eccezionale Orfeo ha usato l’aspetto di Giacinto, e altre visioni.

Le forme dei corpi aggregati che si sono dissolti, ovvero i corpi dei morti, sono eternamente presenti nella memoria dei mondi, ossia continua a esistere la forma macroscopica unita a tutte le possibili immagini di essa che un’immaginazione possa ricavare applicando le leggi della prospettiva, che è ciò che noi chiamiamo “oggetto”, ricordando che la forma è la sua definizione ed è una realtà invisibile, un insieme di pensieri, mentre l’immagine che di volta in volta un’immaginazione ricava da essa è la realtà visibile, si chiama anche corpo, ed è ciò che si comunica alle altre coscienze insieme allo spazio, che è immagine di tale facoltà immaginativa. Sicché anche il corpo terreno di Giacinto, o meglio il suo aspetto, separato dalla struttura atomica a cui lo spazio terreno artificiosamente lo legava, continua a esistere, è eterno, è l’eterno riflesso di un pensiero eterno e non andrà mai perso. Ed è lì che noi possiamo ritrovarlo, nel pensiero e cioè nei mondi, negli eterni e vivi specchi che sanno generare in sé eterne immagini di pensieri eterni. A questo punto però, come dicemmo, quella che un tempo era una forma macroscopica ed era dunque una menzogna, perché diceva dello spirito ciò che non è, ora è diventata un simbolo e serve per rammentare un’esperienza passata e dunque per dire una verità, serve per simbolizzare uno stato di coscienza che l’anima ha attraversato e quella serie di esperienze che ha vissute, quando era biologicamente viva in quel corpo aggregato e quando in lei, a causa di questa aggregazione, si era impressa una certa personalità, tutte cose che ella ora ha effettivamente registrate nella sua memoria. Prova ne sia che nella seguente visione i mondi hanno usato l’aspetto di Giacinto per simboleggiare la presenza dello spirito di Orfeo. Era il 16 aprile 2001, meno di una settimana dopo che il nuovo gattino si era felicemente accasato con noi, quando ebbi la seguente esperienza:

 

Ho rivisto Giacinto, esattamente identico a com’era durante la sua vita terrena. Da principio lo vedo dietro una porta e quasi non ci faccio caso, gli dico solo una frase di saluto come facevo quando era vivo; ma immediatamente mi riscuoto, mi ricordo tutta la vicenda e mi rendo conto di essere nello spazio dei corpi spirituali. Lo guardo bene, è proprio lui... Cerco di trattenerlo con me chiamandolo e gli faccio vedere anche che sono disposto a togliermi una giacca che indosso, sapendo già nella visione che sto usando un simbolo per dirgli che mi sforzerò di liberarmi di un’abitudine mentale, quella di scambiare il suo aspetto per lui, per il suo vero essere, la sua coscienza, perché ormai mi ha fatto capire che vuole evolversi, non può rimanere legato alla vecchia forma di Giacinto, vuol fare nuove esperienze ed evolversi. Mentre io sto facendo il gesto di togliermi la giacca, siamo seduti su un divano, io faccio fatica a levarmi quell’indumento, ma non è impossibile, infine ci riesco. L’ultima comunicazione con Giacinto: vedo che lui tende a presentarsi con il pelo più scuro e già nella visione capisco che vuole dirmi che si è reincarnato nel micetto nero, che adesso ha un pelo più scuro.

 

La posizione dietro la porta significa: è un periodo chiuso; e il divano significa la morte (per sedersi=morire cfr. supra, §6.4, in fondo). Per il resto, il contenuto della visione è chiarissimo, ormai, e non ha bisogno di commenti; devo ammettere però che io rimasi diffidente ancora per un po’ riguardo all’identità di Giacinto e Orfeo. Sono sempre stato un po’ lento a capire le cose, sono un po’ tardo di mente. Infatti il 26 aprile successivo, dopo un incontro con mio padre a cui feci vedere Miranda (“un altro gatto?” scherzò lui), mi ritrovai una volta di più ad aggirarmi nel mondo del post mortem in cerca di Giacinto. Scrissi allora:

 

Nell’ambiente dove c’è mio padre, cerco di ritrovare Giacinto, presumo sia lì, visto che siamo tra i morti, ma non lo trovo, vedo solo un gatto soriano diverso da lui che si stiracchia fino ad allungare incredibilmente la sua spina dorsale come fosse plasmabile; chiamo per nome Giacinto, ma non risponde, evidentemente lì non c’è...

 

Non era un gatto, nel senso biologico del termine, quello che si stiracchiava in quello spazio, era un’anima eletta, che allungava a dismisura il suo corpo simbolico appunto per dire che la sua vita ormai si allunga all’infinito, perché ella non è più soggetta a rinascite e morti come un’anima in via, un’anima cioè ancora imperfetta. Simpatico gattone...

 

Quel tardo di Agis stava ancora cercando Giacinto dove non era più; la sua anima era lì con me, nella sua nuova livrea color nero scurissimo, nel suo nuovo piccolo corpo che in breve sarebbe diventato uno splendido gattone nero pesante quasi sei chili, mentre il suo bell’aspetto di felino argentato stava nella memoria dei mondi, in attesa di essere di nuovo impiegato come simbolo di un percorso fatto, di un gradino superato. Ora il gattino nuovo, come anche Miranda d’altronde, nel muoversi negli spazi spirituali usava di preferenza la forma macroscopica attuale: la forma di Pitocchino era stata rispolverata per istruire me, e anche l’ultima comparsa di Giacinto avrà avuto lo stesso scopo. E anch’io, in fin dei conti, se mi specchio durante un viaggio nei mondi trovo, in genere, salvo qualche eccezione, di avere un corpo simile alla forma macroscopica del mio attuale corpo aggregato. Sarà solo quando saremo liberi da aggregazione che riemergeranno le forme pregresse ora nascoste al nostro spirito, e solo allora potremo usarle come corpi simbolici; presumo, almeno, che sia così. Sarà come avere un guardaroba pieno di abiti, in modo da poter scegliere di volta in volta quello più opportuno per essere riconosciuti da chi ci viene a trovare? Può essere. Ma per ora la forma prevalente è quella biologica attuale, è ad essa che siamo vincolati dalla prepotenza degli spiriti della Terra, anche i gatti, non solo noi. Lo dimostra la seguente visione, che avevo ricevuto quattro giorni prima di rivedere per l’ultima volta Giacinto, il 12 aprile 2001 e cioè durante la seconda notte passata insieme al gattino nuovo. Allora accaddero i seguenti fatti, come li ho diligentemente stenografati la mattina dopo:

 

Ho passato una notte un po’ agitata, perché il gattino nuovo si è messo a dormire sul mio braccio sinistro, scatenando la gelosia di Miranda che, offesa, si è tenuta alla larga. Alle 3, però, mi sveglio e, in preda al rimorso verso Miranda, allontano il micetto nero per cercare di rabbonire Miranda: la chiamo, ma il risultato è che entrambi i gatti vengono sul letto e mi si acciambellano addosso. In quella incomoda posizione, tutto aggranchito, non riesco a dormire, ma a un tratto mi trovo in un altro spazio. Sono insieme ai due gatti e vado in una stanza sconosciuta dove c’è mio padre (...).

 

In questo caso Miranda e Orfeo avevano corpi spirituali identici all’aspetto del loro attuale corpo terreno; non mette conto qui raccontare il contatto con mio padre, che narrerò altrove, quello che invece è interessante notare adesso è l’apparizione, in quella stessa occasione, del demone di Orfeo, il suo “duale” ovvero il suo sistema nervoso, come convenzionalmente nelle mie opere passate ho proposto di chiamare i demoni che svolgono quel tipo di funzione, intrappolare la nostra coscienza nel corpo aggregato, per non allontanarmi troppo dal linguaggio comune. Egli si mostrò nel seguente modo:

 

Sul mio letto, identico a com’è nello spazio terreno, ma riflesso in un altro spazio, evidentemente, insieme a me non ci sono solo i due gatti, Miranda e il piccolo Orfeo, c’è anche una grossa pantera nera: capisco immediatamente che è l’angelo custode del piccolino, glielo dico; o meglio, le avevo chiesto: “Chi sei?” e la pantera mi aveva risposto muovendo le labbra come per pronunciare parole, ma senza suono, e in quella io, colpito da certezza, le dico che so che è l’angelo di Orfeo e la pantera mi fa cenno di sì con la testa.

 

Si tratta di quelle certezze non verbali che più sopra proponemmo di chiamare “illuminazioni” (cfr. supra, §4.6) e che avvengono solo negli spazi extra-terreni. La pantera, col gesto di muovere le labbra tacendo, mi ha fatto capire che è meglio tacere, appunto, su queste cose. Io le narro solo a chi le vuole accettare, sul presente sito; penso che le persone indegne si siano già perse per strada prima di arrivare a leggere questa pagina e che la Lettrice, o il Lettore, che mia abbia seguito sin qui per tutti i precedenti scritti sopportandone la fatica, si merita di ricevere queste informazioni: spero che la pantera nera, ossia il demone di Orfeo, non pensi che io sto chiacchierando troppo, non vorrei che si irritasse.

 

6.Per terminare.

Credo di poter terminare qui la mia storia, sperando di aver fornito al Lettore, e alla Lettrice, tutto ciò che serve per comprenderne il valore di realtà, l’intrinseca razionalità, la normalità. E’ la condizione umana -ribadisco qui, dopo averlo scritto nel testo principale ed averlo già accennato nelle opere di psicologia ed etica- a essere anormale, è la sordità e la cecità imposta dalla cultura dominante, e che viene spacciata per razionalità, a essere anormalità, patologia, devianza, follia. Ho cercato di narrare, come potevo, una normale storia d’amore, la semplice storia di un’anima, di un uomo, che ama un essere piccolo e bellissimo, e che non lo vuol perdere, che rifiuta quest’ingiustizia impostaci dalla simulazione terrena, e chiede indietro ciò che ama a chi gliel’ha portato via e gliel’ha nascosto. Questo è normale; mentre a essere anormale è la rassegnazione umana di fronte alla morte, a essere anormale è l’acquiescenza degli uomini di fronte all’ingiustizia di questo mondo che ci nasconde le vere forme, i veri corpi, e che simula l’esistenza della morte, e ci nasconde gli uni agli altri separandoci. E’ anormale che invece di ribellarci attivamente a questa crudeltà, aspettiamo in dono dal cielo una soluzione tanto facile quanto ingannevole, e l’aspettiamo in dono proprio da chi, invece, è il creatore dell’inganno e l’operatore di tale crudeltà, e fa di tutto per perpetuarla. E’ anormale che gli uomini discreditino l’intelligenza, che è l’unica arma per uscire da questa trappola, in nome della fede, e cioè della cecità, della tenebra. Ed è anormale anche un razionalismo esaltato, una pseudo-scienza che si appaga di asserzioni lacunose dal punto di vista logico, di spiegazioni irrazionali, ma che sembrano scientifiche solo perché servono per negare la realtà soprasensibile, che è invece la radice dell’essere.

 

Ciò che è normale, invece, è che l’amore, per soddisfare le proprie esigenze, impieghi l’intelligenza; infatti non è vero, come si pensa comunemente, che gli slanci affettivi siano in antitesi con la ragione: è anormale che l’amore sia irrazionale, e cioè deviato verso falsi scopi, verso ciò che sembra bene e bello ma non lo è affatto, questo è anormalità e malattia. Ed è anormale che la scienza sia separata dall’amore: è anormale che la scienza, per presupposto, neghi l’essere, e cioè neghi la realtà del pensiero affermando che è essere solo ciò che è fuori dal pensiero. Negare il pensiero, che è l’essere, è un atto distruttivo verso l’essere, ed è dunque odio, non amore. E questo è anormale, una scienza che è odio e non amore. Già dicemmo (cfr. Il fondamento dell’etica, §2.7), infatti, che la bontà, che è  la tendenza a desiderare il bene, e cioè ad amare, quando trova i mezzi per soddisfarsi, si fa virtù e si chiama intelligenza, visto che il bene è l’essere e che i mezzi per trovare l’essere sono quelli per vederne la verità, e che perciò la verità è il bene; e ribadiamo qui, dunque, che l’amore che sappia cercare e trovare, che si procuri i mezzi per soddisfarsi, si chiama anche scienza, che è ciò che il pensiero produce in sé mediante l’intelligenza e che è possesso della verità; il pensiero, la coscienza, quando vuol raggiungere il suo retto fine, e cioè quando è amore, si fa intelligenza e si trasforma in scienza, sicché amore o intelligenza o scienza non sono che nomi diversi per la medesima realtà, l’essere che si procura l’intelligenza e che si fa da sé scienza e amore.

 

La mia storia è questa: un’anima, un atto di coscienza dell’essere, cerca un altro atto di coscienza del medesimo essere, cerca di non perderlo, di ritrovarlo quando l’ha perso, e di rivederlo, e insomma ha l’esigenza di conoscerlo realmente, perché solo conoscendolo può sperare di essere con lui nel medesimo spazio, là nei mondi spirituali, nella vera realtà dove nulla andrà perso. Nei mondi reali, infatti, non puoi vedere realmente se non capisci quello che vedi, cioè se non conosci la realtà invisibile. Non potrei mai ritrovare Giacinto se non sapessi che cosa e chi è, cioè se non conoscessi i contenuti della sua anima, i suoi pensieri, e se non sapessi capire i simboli che li rendono visibili, e anche se non sapessi che, come tutte le anime, anche l’anima di Giacinto è l’essere, è uno degli infiniti atti nei quali l’essere prende coscienza di sé e cerca di rappresentarsi. Infine, la storia è questa: l’essere, quando cerca l’essere e lo trova, si fa scienza, ma in quanto cerca esso è amore; scienza e amore sono la stessa cosa, se è vera scienza e vero amore.


NUOVI INDIRIZZI DI RICERCA E CONCLUSIONI.

 

 

 

 

 

Indice.

 

 

 

1.Contro gli psicoanalisti.

2.La possibilità della profezia.

3.Azione individuale, azione universale.

4.La mia lite coi mondi e il segno di Giona.

5.Polvere alla polvere e terra alla terra; e la forma macroscopica, che è pensiero, a noi, che siamo pensiero.


1.Contro gli psicoanalisti.

Spero che il Lettore, o la Lettrice, si sia reso conto di quale sottigliezza occorra per capire i sogni, con quanta attenzione e con quanta diligenza vadano trattati e come sia indispensabile procurarsi l’intelligenza, e cioè la capacità di conoscere le cose invisibili, prima di poterli affrontare senza cadere in assurdità e farneticanza. Chiunque presuma di capire i sogni, senza sapere che cos’è l’essere, che cos’è l’anima, chi le parla nei sogni; chiunque presuma di spiegarne il significato senza averne studiato il linguaggio e senza aver capito quali sono i loro contenuti; chiunque presuma di interpretarli improvvisando, senza averne tenuto una registrazione scritta ben ordinata per lunghi anni, con relative date, onde poter poi collegare i loro messaggi ai fatti di cui essi sono una descrizione criptica; chiunque addirittura pretenda di poter interpretare i sogni altrui, dopo averli sentiti raccontare oralmente una volta sola e improvvisando una traduzione estemporanea, senza poi aspettare la conferma dei fatti, ma calandola dall’alto come oro colato e spacciandola per verità scientifica, d’ufficio e di prepotenza, quando è solo un’idiozia prodotta dalla loro arbitraria fantasia, la quale, fondandosi sul falso presupposto che nei sogni si trovino i sintomi delle nostre “nevrosi”, sfoga la sua tendenza a svalutare il prossimo e a negarne la capacità di intendere e di volere; chiunque presuma tutto questo -dicevo- è un incompetente ciarlatano e un truffatore. La pretesa che i sogni ci parlino dei contenuti del nostro “inconscio” è un’idiozia antiscientifica, visto che, come abbiamo già dimostrato in altri scritti e come poi ci troveremo a ribadire in futuro, non esiste niente di equiparabile all’”inconscio” degli psicoanalisti; esiste un sistema nervoso, che è un’intelligenza a noi superiore e che non è inconscio affatto, tutt’altro: egli pensa meglio di noi ed è coscienza a maggior grado, e fa parte di una serie di intelligenze le quali, quando ci parlano nei sogni, hanno una conoscenza superiore alla nostra e con i loro moniti ci istruiscono e ci insegnano a vedere ciò che noi avevamo trascurato di osservare o che negavamo a noi stessi per disonestà. Ed essi, a chi ha buona volontà di imparare, svelano il nascosto, impartiscono insegnamenti preziosi: per esempio ti spiegano che cos’è la morte, e dov’è la vera vita e come ciò che qui noi erroneamente chiamiamo realtà è invece inganno, maschera o sogno oscuro... Pensare che esistano dei desideri “inconsci” perché “rimossi”, i quali poi tornerebbero da sé, sotto forma di immagini simboliche, criptiche perché censurate da chissà chi, dalla coscienza inconsciamente perché a lei inaccettabili, è un’asserzione infondata, totalmente priva di scientificità e anche di senso, perché colma di vistose trasgressioni al principio di non contraddizione e al principio di ragion sufficiente; ce ne occuperemo estesamente in uno scritto apposito. I desideri non sono mai “inconsci”, al massimo sono repressi o ipocritamente negati, ma non vengono “rimossi” cioè spostati in un non-luogo che si chiama “inconscio” e che è noi ma non è noi, è un noi inconscio, è la nostra coscienza ma inconscia. Ma come si fa a ritenere scientifica una tale assurdità? Né tanto meno codesti presunti “desideri rimossi” ritornano camuffati da una fantomatica censura, trasformati magicamente (da chi? dalla nostra coscienza inconscia?) in simboli onirici. Se i sogni sono discorsi simbolici, e se i simboli sono i segni di un linguaggio, è razionale pensare che ci sia qualcuno che impiega questo linguaggio per comporre discorsi, perché i discorsi non si pronunciano da sé, ma sono il prodotto di un pensiero che li pronuncia; ma dunque se è un pensiero, e cioè una coscienza, che li pronuncia, questo non può essere un “inconscio”: se pronuncia discorsi, pensa e se pensa è cosciente, perché non si può pensare inconsciamente, visto che pensiero e coscienza sono la stessa cosa.

 

Né, tanto meno, si può relegare il fenomeno delle visioni o percezioni extra-corporee nel novero dei sintomi di malattia mentale. Abbiamo già dimostrato nello scritto principale che non esistono “allucinazioni”, né vi può essere “suggestione” e che questi due termini sono vuoti di significato, confutazione questa di concetti vuoti che fa seguito alla definizione, da noi data nello scritto di fondamento, di realtà come coscienza e suoi contenuti, quali che siano (cfr. Il fondamento della ricerca, §1.8 e segg.), perciò non mi dilungo qui; ribadisco solo che per fruire delle visioni e dare un giudizio retto su di esse occorre essersi procurata un’ineccepibile conoscenza dell’essere e dei suoi contenuti, e cioè aver chiaro nella propria anima il retto concetto di realtà come prodotto del pensiero, ossia come discorso dell’essere, e possedere la capacità di comprendere il linguaggio mediante cui l’essere si esprime in tale discorso, cose che difettano totalmente agli psicoanalisti. Ciò difetta anche ai falsi mistici, è vero, ma essi non sono pazzi allucinati, sono solo zimbelli di Satana; la loro malattia non consiste nel vedere cose che non ci sono o che provengono dall’”inconscio”, ma nell’intendere in maniera totalmente irrazionale quello che vedono, nella confusione concettuale in cui sono immersi, nella mancanza di logica, di lògos, che discende dal loro difetto d’amore, e cioè dal loro scarsissimo interesse per la verità e dalla loro tendenza a ingigantire ed esaltare sé stessi. Ho già parlato nelle opere precedenti riguardo al retto significato dei termini “salute” e “malattia” dell’anima, e di come nel mondo accademico e nella cultura comune vigano delle copie contraffatte, fumose ed oscure, di questi due concetti, e perciò non mi ripeto qui; in questa sede mi fermo solo un istante a ribadire che se qualcuno, per sua negligenza, non ha chiare in mente le nozioni scientifiche che ho fornito nei precedenti scritti di questo sito e che servono a capire la perfetta razionalità di quanto ho esposto nel presente racconto, e dunque anche sono inclina a pensare che io sia un sognatore, un delirante o, insomma, un malato di mente, mi dovrà rendere conto di questo giudizio calunnioso e infondato, così come dei sentimenti di irrisione e di scherno che eventualmente l’accompagnino, quando -inevitabilmente- ci troveremo nel mondo dello spirito. Non gli consiglio proprio di avere a che fare con un Agis offeso e furibondo...

 

2.La possibilità della profezia.

Ho voluto mostrare in questo scritto alcuni semplici casi di descrizione nei sogni di avvenimenti futuri, cioè di profezie, e questo senza prima dare una spiegazione razionale di come la profezia sia possibile. Ciò esulava, infatti, dall’argomento della presente trattazione, ma andrà studiato in futuro. Mi sono permesso di richiedere al Lettore, o alla Lettrice, un po’ di apertura mentale e di fiducia verso di me, dando per scontato che non ne sarebbe rimasto scandalizzato (nel nostro senso del termine) più di tanto. Qui anticipo solo che la capacità dei mondi di prevedere i fatti (a volte intervengono anche per farli essere, però) non è un segno di misteriosa e insondabile onnipotenza, né è un potere soprarazionale e incomprensibile: è pura e semplice capacità di calcolo, unita al possesso di tutti i dati utili su cui fondare tale calcolo. L’anima è mossa da forze che sono ben rappresentabili, e la Provvidenza (chiamiamo pure così, col termine tradizionale, tale facoltà dei mondi) le conosce bene, e ne sa calcolare la risultante, prevedendo al millimetro i nostri comportamenti. I demoni della Natura, che sono lo spazio stesso entro cui accadono gli eventi qui sulla Terra, li conoscono tutti quanti a menadito, e conoscono anche le leggi meccanicistiche che hanno inventato loro e che fanno essere continuamente con la loro opera di simulazione. Possono quindi calcolare perfettamente sia gli eventi che dipenderanno dai loro meccanicismi, sia i nostri eventi psichici, e cioè i nostri desideri e le nostre paure, i nostri sentimenti e i nostri pensieri, le nostre volizioni, le nostre decisioni, e sanno dunque prevedere con precisione massima le nostre azioni, le quali comunque continuano a dipendere da noi, da ciò che si muove nella nostra anima, e non da un fato, inteso come determinismo extraumano ed extraindividuale: anche quando desideri e sentimenti, o perfino pensieri, ci vengono ispirati e noi li riceviamo medianicamente, siamo sempre liberi di confutare la loro validità e di correggerli, sempre che ne siamo capaci e cioè sempre che abbiamo intelligenza. La composizione di tutte le cause e il calcolo della risultante si chiama “previsione”, e il discorso criptico che ti comunica tale previsione si chiama “profezia”. Non ha molto di più misterioso rispetto alle previsioni del tempo che ascoltiamo quotidianamente in TV. Ovviamente, se colui che riceve tale profezia è un ispirato (uno cioè di quegli uomini che dalla tradizione giudaica ancora noi oggi continuiamo a chiamare impropriamente profeti, quando sono solo dei medium), egli non avrà la minima idea di come si calcola tale profezia e tutto quello che è capace di fare è ripetere ciò che gli risuona in testa, che i demoni gli comunicano medianicamente, e non sarà certamente un uomo di intelligenza o santità superiori, o dotato di chissà quali doni, è solo un pappagallo (non è un insulto: i sogni usano tale simbolo, a volte, per indicare gli ispirati, perché sanno solo ripetere senza capire; ma a volte appaiono come una matita o una penna stilografica, per dire che sono il mezzo con cui Dio, l’assemblea dei mondi, scrive i suoi discorsi qui sulla Terra). Anche ciò che accade nei mondi extra-terreni dev’essere prevedibile: tutto lì è determinato dalle decisioni dei mondi, e sarebbe ben strano che i mondi ignorassero le proprie decisioni e non fossero capaci di prevederne gli esiti.

 

3.Azione individuale, azione universale.

La Lettrice, o il Lettore, avrà notato una cosa, in tutto questo, alla quale forse stenterà a credere: in questa piccola e umile vicenda di me che cerco con tutte le mie forze di ritrovare il mio gatto, e del mio gatto che sentendosi cercato ritorna indietro e si fa trovare da me, si è mosso tutto l’Universo. Lo spazio terreno ha accettato di rifletterne di nuovo i segni sensibili, più di una volta, e più di una volta il mio sistema nervoso si è indotto a ritirarsi lasciando liberi altri spazi di comunicare con la mia coscienza, proprio quegli spazi dove Giacinto in quel momento era riflesso; spesso erano spazi che ripetevano le stesse forme macroscopiche della mia casa terrena, il che significa che Giacinto, pur non avendo più una struttura atomica collegata con la sua coscienza, possedeva ancora la sua vecchia forma macroscopica e che questi spazi para-terreni hanno accettato di accoglierne la presenza per comunicarla a me. Poi i demoni della Natura che gli hanno costruito il nuovo corpo aggregato e i demoni dei sogni hanno fatto in modo che io lo riprendessi con me, i primi inducendosi a sospendere le leggi dell’ereditarietà genetica perché Orfeo rimanesse l’ultimo della cucciolata senza una casa, e i secondi dando la giusta spinta alle mie decisioni nei momenti cruciali, e poi facendomi capire che il piccolo che avevo preso con me era proprio Giacinto. E bisogna considerare anche la combinazione che ha portato l’amica di Rita e Valerio da me quel 22 febbraio, in tempo per avvisarmi che c’erano dei micetti appena nati in casa loro, e questo è frutto, evidentemente, della collaborazione a tutta l’impresa anche del suo sistema nervoso, che le ha fatto venire il desiderio di una seduta di shiatsu con me al momento giusto, dopo mesi che non la vedevo più; né dopo d’altronde ella ha più continuato a frequentarmi.

 

Non c’è motivo di sorprendersi di tutto questo: nel vero mondo, il mondo di pensiero, anche il pensiero di un’anima piccola come quella di Giacinto trova ascolto presso tutti gli altri atti di coscienza dell’essere; là, nel vero mondo, non c’è la stessa freddezza, lo stesso isolamento, la stessa indifferenza verso gli altri, lo stesso chiuso egoismo che vige nel mondo umano. Là il desiderio di un micetto è un evento importantissimo. Nel vero mondo il pensiero o il desiderio di un’anima, anche piccola, se è desiderio razionale, è udito da tutti e da tutti considerato di primaria importanza, e tutto l’Universo si muove per realizzarlo. Giacinto si è commosso per il mio amore, e ha desiderato tornare con me, e questo è diventato il desiderio di tutto l’Universo e a questo desiderio tutto l’Universo si è mosso. Questo è il vero potere.

 

Se hai un desiderio razionale, tutto l’Universo desidera con te, ed è per questo che le preghiere degli uomini non si realizzano, in genere, perché esprimono desideri irrazionali; perciò è completamente inutile fare come fanno i Cattolici, che pregano chiedendo le cose sbagliate, il perdono dei peccati e una redenzione miracolosa, illudendosi di ottenerle con riti, preghiere, tributando un culto alla divinità e sottomettendosi ad essa ciecamente, e cioè con atti di piaggeria ignobile, immaginandosi un Dio che si compiace d’essere adorato e di veder tutti a sé sottomessi, succubi, umiliati e al suo servizio, ossia un Dio tirannico e mostruosamente superbo, diventando così  blasfemi e idolatri: se quello che vuoi realizzare è un desiderio irrazionale, e cioè una pretesa illegittima, ed è dunque una via impraticabile, non hai voce nei mondi e non vieni ascoltato e tutte le tue preghiere sono solo un rumore fastidioso alle orecchie di Dio; se invece è un desiderio razionale e tu lo formuli chiaramente nella tua anima, già risuona in tutti i mondi e li fa muovere, senza alcun bisogno di riti, preghiere e lagne d’altro genere.

 

4.La mia lite coi mondi e il segno di Giona.

Io non ho pregato per riavere Giacinto: ho protestato vivacemente, fino ad arrivare a lanciare improperi violentissimi verso i mondi; mi hanno dato ragione, hanno ammesso di essere in colpa verso di me. Infatti ho potuto discutere con loro attraverso i sogni e le visioni, e ottenere le loro scuse. Altro che volontà imperscrutabile! Essi mi devono rendere conto di tutte le loro azioni e mostrarmi che sono state dettate da ragioni giuste, o io cesserò di ritenerli divini, poiché è dio solo chi è giusto, e mi sentiranno gridare improperi per tutto l’Universo: se sei giustizia devi rendermi conto, Dio, assemblea sovrana, o altrimenti che giustizia sei? E se non sei giustizia, non sei Dio. Se i Cattolici si scandalizzano di questo, imparino a leggere correttamente la profezia del Libro di Giona (Gio. 4, 7 e segg.), che sta nelle loro Scritture, e nella quale si trova Giona indignato verso Dio, perché dopo tutte le fatiche improbe che gli ha accollato, ha anche mandato il verme a rodere la pianta di ricino dalla quale egli traeva conforto. “Ti sembra giusto essere così sdegnato per una pianta di ricino?” chiede Dio a Giona nel testo, e Giona risponde: “Sì, è giusto...” Ha ragione Giona, sicché poi Dio si impegna a dimostrare che tutto ciò che ha fatto in funzione satanica (“non sanno distinguere tra la mano destra e la mano sinistra”, le due incarnazioni del Cristo, cioè quella portatrice del Cristianesimo fasullo, la prima, la mano inabile, e quella che darà le rette dottrine, la mano abile, la seconda) è comunque per il bene dell’uomo (Gio. 4,11). Vedremo.

 

5.Polvere alla polvere e terra alla terra; e la forma macroscopica, che è pensiero, a noi, che siamo pensiero.

E così, abbiamo ritrovato l’anima di Giacinto, mentre gli atomi della sua struttura atomica, quelli che componevano le cellule, i tessuti, gli organi del suo corpo di terra, la “polvere del suolo”, si sono disaggregati e sono entrati in nuove composizioni. Nella terra che ha ricoperto la sua piccola fossa, fra le altre erbe spontanee, è nato un fiore piccolo e azzurro, un nontiscordardimé (così avevo annotato sul mio diario, il 24 agosto 2002): gli atomi che stavano nella “corolla” di Giacinto, il suo bel corpo grigio, sono passati in quella di un altro fiore, e tra poco saranno altrove e poi ancora verso altre mille e mille combinazioni. Ma di questi, a noi che importa? La struttura atomica di Giacinto non ha nulla a che fare con Giacinto, non con la sua anima, ovviamente, ma nemmeno con il suo aspetto. La forma macroscopica, le cui immagini erano il suo corpo, quello che mi era caro, era un pensiero degli angeli della Terra, e tale pensiero veniva semplicemente associato e sovrapposto alla struttura atomica del suo corpo terreno: gli angeli che governano il nostro apparato percettivo, quelli che abbiamo chiamato “sistema nervoso” o “duale”, conoscono un codice cifrato; quando, guardando nello spazio terreno, che è l’immagine dell’immaginazione di quell’intelligenza che si chiama Terra, essi vedono una certa combinazione di atomi, una certa sequenza molecolare ovvero un composto chimico, essi costruiscono nel loro pensiero una forma macroscopica ben determinata, perché nel loro linguaggio criptico, per accordo comune, quella sequenza di atomi e molecole è associata a quella determinata forma; e le immagini di quella forma macroscopica, prodotte dall’immaginazione dei nostri “duali”, dal sistema nervoso di ognuno di noi, vengono poi comunicate alla nostra coscienza, calcolate di volta in volta mediante le leggi della prospettiva, in occasione dell’alterarsi degli atomi aggregati nei nostri organi di senso fisici, dovuto all’interazione di essi con quella combinazione di atomi da cui è stata ricavata quella forma macroscopica, cosa che avviene quando il nostro aggregato d’atomi si trova nei pressi di tale combinazione. Questo lavoro del nostro sistema nervoso è ciò che nel testo principale ho chiamato, come si ricorderà, sovrapporre la forma macroscopica corrispondente all’aggregato di atomi.

 

Insomma, i nostri “duali” leggono nella struttura atomica di un corpo aggregato le istruzioni per ricavare la sua forma macroscopica, ed essa è una definizione, ossia un fascio di pensieri, e cioè una realtà invisibile (è ciò che Platone chiamava eidos, idea ovvero forma trascendente); poi comunicano a noi le sue immagini prodotte dalla loro immaginazione, che ha come sua immagine lo spazio che contiene tali immagini, nelle varie occasioni che si presentino di volta in volta. Questo spazio e queste immagini, i corpi terreni, sono ciò che noi crediamo realtà oggettiva, dimenticando che questi oggetti non sono fuori dal pensiero, ma sono i prodotti del pensiero del nostro demone, il quale, in accordo con tutti gli altri demoni della Natura, assoggetta poi gli oggetti così ottenuti alle leggi meccanicistiche da loro simulate, nel senso che ciò che accade nell’aggregato atomico, secondo leggi convenzionali che fingono di essere meccanicismi, viene riflesso anche nella forma macroscopica, con gli opportuni cambiamenti di qualità o di forma. E’ ciò di qui abbiamo già parlato nelle nostre precedenti opere. Sicché, le sequenze di elementi, i composti chimici, non sono altro che le istruzioni scritte in un codice cifrato comune a tutti i demoni della Natura, le quali descrivono la forma macroscopica che deve essere sovrapposta a ogni struttura atomica; in ogni frase di queste istruzioni, in ogni sequenza molecolare cioè, tali demoni trovano la definizione, per esempio, di una parte del nostro corpo terreno, completa di dimensioni, qualità e proprietà, sicché i demoni ricavano da tale definizione tutta quella serie di immagini che è il nostro corpo terreno, quello che viene comunicato a qualunque coscienza si trovi aggregata a un corpo fisico il quale venga a contatto col nostro aggregato di atomi. Finché siamo in stato aggregato, dicemmo nel corso dello scritto principale e del presente suo complemento, non possiamo vedere altro che l’immagine dell’immaginazione del nostro demone con i suoi contenuti, e cioè solo i corpi terreni, le immagini che egli ricava dalle forme macroscopiche associate agli aggregati d’atomi: per riprendere la famosa analogia platonica (quella che si trova all’inizio del VII libro della Politeia: 514a e segg.), è come se noi fossimo chiusi in una caverna, costretti a vedere solo le ombre che vengono proiettate sulle sue pareti da certi oggetti, dei modellini, che passano davanti a un fuoco, e cioè noi siamo costretti a stare chiusi nella mente del nostro sistema nervoso (la caverna) e a vedere solo le immagini riflesse nel suo spazio e cioè costruite dalla sua immaginazione (le ombre proiettate sulle pareti) che il pensiero del demone (il fuoco) produce per noi delle forme macroscopiche (i modellini che passando davanti al fuoco e proiettano le loro ombre sulle pareti della caverna).

 

A questo punto si può capire che noi non protestiamo per la morte, che è solo disgregazione dell’aggregato di atomi di cui a noi non importa nulla, ma troviamo comunque ragionevole protestare per la separazione che ci infliggono codesti demoni con la morte. Nel caso in questione, io non posso più protestare per tale separazione, visto che l’anima di Giacinto è qui con me in questo momento, nel corpo di Orfeo, il quale è acciambellato sullo stesso tavolo dove sto scrivendo; ciò nondimeno, se i mondi si sono illusi d’aver superato la controversia con me e di avermi messo a tacere, si sbagliano di grosso: è vero che non si è perso niente, perché anche la forma macroscopica di Giacinto, il suo bell’aspetto che mi stava a cuore, quell’aspetto di piccola tigre argentata dalle proporzioni perfette, con le sue sfumature di colore straordinariamente poetiche e le sue movenze flessibili e serene, non è andato distrutto, ma splende eternamente nei mondi  ed è solo eclissato dallo spazio terreno; ma è appunto questo che mi manda ancora in collera, che lo sottraggano a me, che me lo tengano nascosto, che lo spazio terreno me lo eclissi. Io, come sono ora, non vedo lo spazio dei mondi, la vera realtà e dunque sono deprivato della sua bellezza. Nulla va perso, è vero, di ciò che è stato nell’essere, tutto è pensiero e tutto è eternamente pensato nella memoria dell’essere, nelle menti chiare dei mondi e dunque nei loro luminosi spazi; e in ogni spirito rimane registrata l’esperienza trascorsa in quella personalità, che rimane come perla di una collana il cui filo è il singolo atto di coscienza dell’essere, unico e irripetibile, che non perde mai la sua identità, distinguendosi appunto per i suoi peculiari contenuti da tutti gli altri. Nulla va perso, è vero, ma è vero anche che tutto a noi, finché siamo quaggiù sulla Terra, in breve viene sottratto. Per breve tempo noi godiamo di queste belle immagini che ci spetterebbero in eterno, non perché vadano distrutte, ma perché vanno altrove, ci vengono eclissate dal prepotente spazio terreno che, mentendo, in assenza dell’aggregato atomico non le produce più sicché per noi che rimaniamo qui segregati, lontani dai veri mondi, dove le cose sono pensieri e sono veri corpi, e dalla loro bellezza, esse sono perse. Potevano lasciarmi godere ancora un po’ del bel corpo di Giacinto, prima di portarselo via, me ne sarei dovuto separare per un periodo più breve... E’ questo il senso della mia lite coi mondi e del mio rimprovero verso di loro: essi non hanno mai provato a essere separati da ciò che sta loro a cuore, e non hanno perso mai nulla, e dunque non sanno che cosa significa la separazione e la perdita. Perciò ho poi detto loro che sono incompetenti a calcolare i costi di tutta questa impresa (la storia terrena, voglio dire, come campo di esperienza del male), che sono appunto le nostre sofferenze, i nostri lutti, per non parlare di quando è la distruttività umana, alla quale è dato agio di essere efficace proprio dai loro maledetti meccanicismi, che ci costringe ad assistere alla distruzione violenta delle cose belle che amiamo e di quegli esseri fragili e bellissimi dei quali fa scempio l’umana sete di profitto e l’umana  prepotenza: la Natura stessa, la Terra medesima, si lascia violare dall’insipienza umana proprio per dimostrare all’uomo la sua malattia e convincerlo, vergognandosene, a liberarsi in un lontano futuro da questo male. Si ricorderà il principio dell’esca, di cui già disquisimmo nel nostro scritto La Natura e nei suoi due complementi; ma ebbene, anche noi che conosciamo il perché di tutto questo e l’abbiamo approvato, barcolliamo e non siamo più in grado di sopportarlo.

 

Il finale è in sospeso: sto ancora aspettando la risposta dei mondi alla mozione di sfiducia che ho pronunciato contro di loro (quella che ho ripetuta poi nella preghiera Sull’eutanasia, come la Lettrice, o il Lettore ricorderà) grazie all’esperienza con Giacinto, per essermi cioè reso conto della loro incompetenza riguardo al valore della sofferenza umana, della loro incapacità di dare peso ai nostri dolori e di rendersi conto che i costi, che si stanno pagando su questa Terra per la loro impresa di ammalare le anime umane sottraendo loro la retta nozione dell’essere e rendendole dunque irrazionali e malvagie, sono eccessivi. E i casi sono due: o essi sapranno dimostrarmi che mi sto sbagliando, e allora rientrerò nei ranghi; oppure essi mi daranno ragione, e allora dovranno bene far accadere qualcosa... Spero solo che non ci facciano aspettare (me e i Lettori che abbiano abbracciato la mia causa) i loro soliti tempi biblici.

 

Gregorio Agis.

13 ottobre 2008.