LIBRO III.

 

LA MATERIA.


LIBRO III.

 

INDICE DEGLI ARGOMENTI.

 

L’immaginazione non è una facoltà irrazionale, ma, anzi, coincide con la ragione (3.1).

 Ricapitolazione dei risultati precedenti. Attenzione a distinguere la razionalità vera da quella che s’accredita come tale ma non lo è, ragione da razionalismo, scienza vera da pseudoscienza (3.1-3.3).

 Terminologia: i contenuti conoscitivi del pensiero si chiamano “idee” o “forme trascendenti”. Rapporto tra forma trascendente e forma immanente (=immagine)(3.3).

 Ancora su: la materia è prodotta dall’anima mediante l’idea di essere; la materia è l’immagine (o forma immanente) dell’idea di essere(3.3-3.5).

 L’idea è anche natura(3.4).

 Chiarimento terminologico: corpo spirituale e materia spirituale(3.5).

 Abbiamo fatto cenno alla possibilità che esistano due tipi di materia: prima formulazione del problema(3.6).

 Siamo già in grado di individuare due specie, nel genere della materia, dividendo tra immagine della retta idea di essere e immagine prodotta dal concetto errato(3.7).

 Primo invito (un’anticipazione) alla visione spirituale(3.8).

 Si formula il quesito su materia spirituale e materia aggregata(3.9) e sul corpo aggregato(3.10).

 Questioni di metodo(3.11). Come impiegare il metodo fenomenologico senza essere ingannati(3.12).

 Analisi dell’oggetto sensibile terreno come colonia di atomi; il corpo aggregato non è un corpo, ma molti corpi. Natura spirituale dell’atomo(3.13).

 Corollario del principio di ragion sufficiente: se una cosa non l’ho pensata io, ma esiste, deve essere il prodotto del pensiero di qualcun altro(3.14).

 Analisi del corpo aggregato(3.15).

Sulla percezione(3.16). Nessuna percezione è falsa, ma quelle che dipendono dal corpo aggregato sono ingannevoli(3.17). Effetto che questo ha nell’anima(3,18).

 Confutazione del creazionismo(3.18-3.19).

 Effetti che il corpo aggregato produce sull’anima(3.19).

 Conclusioni(3.20).


…chalepòn eurein ten hulen hupò pollois eidesi kruphtheisan.

…è difficile trovare la materia nascosta sotto tante forme.

Plotino, Enneadi, V,8,7,20.

 

3.1.Abbiamo concluso, nei due libri precedenti, che essere è pensiero e che realtà sono i suoi contenuti; che la materia e i corpi hanno la natura dell’immagine e così pure lo spazio, che è la prima immagine visibile, perché è immagine di ciò che origina la visibilità, cioè dell’immaginazione dell’essere. Chiariamo qui che per immaginazione intendiamo la facoltà che ha l’essere di rivestire di segni visibili le realtà invisibili, i suoi contenuti cognitivi ed affettivi; tale termine è infatti da chiarificare, dato che nell’accezione comune esso sembra significare un’attività irrazionale che crea fantasie, come dire cose non reali, perché prodotte dal pensiero; ma noi, raggiungendo il fondamento della nostra Scienza sacra (chiamiamo così la nostra ricerca sull’essere per distinguerla sia dalla religione dogmatica e irrazionale, sia dalle concezioni pseudorazionali della  falsa scienza materialista), abbiamo definito realtà proprio i prodotti del pensiero, e le immaginazioni di cui stiamo parlando sono ben lungi dall’essere irrazionali, poiché l’immaginazione dell’essere, se si serve di un sistema di segni e di una grammatica ben precisa, cioè di un linguaggio rigoroso, viene a coincidere con quella facoltà che la tradizione occidentale (senza capirne la portata e molto spesso usandola male) chiama “ragione”. Infatti la ragione è la capacità di discorrere, che è come dire di collegare un segno sensibile a un concetto, e di usare bene il linguaggio in modo che esprima precisamente i legami causali(1). E’ vero che se in un’anima la ragione viene usata male, cioè con trasgressioni alle leggi logiche e con segni definiti approssimativamente, ella produce dell’essere immagini oscure; ma oscure, appunto, non irreali. Perché, anche le immagini oscure hanno un certo grado di realtà, seppure non dicono niente di preciso sull’essere. Ma di questo si dirà più avanti. Qui esaminiamo un altro argomento.

3.2.Abbiamo detto, nei due libri precedenti, che è l’essere necessariamente esistente, cioè coscienza e pensiero, a produrre ciò che non esiste di necessità e che dunque ha bisogno di una causa per esistere, e cioè che non è la materia, che è immagine, a produrre il pensiero, che è realtà, ma piuttosto è la realtà, com’è ovvio, che produce l’immagine e dunque è il pensiero che produce la materia e non viceversa. Questo enunciato è frutto di un’applicazione corretta del principio di ragion sufficiente, mentre quel positivismo e quella scienza materialista che rovesciano la causa con l’effetto e si credono razionali perché negano realtà allo spirito e al soprasensibile (al pensiero, cioè, che invece è il vero essere), e pongono come esistente da sé ciò che da sé non può esistere (cosa che è una marchiana trasgressione al principio di ragion sufficiente), abusano del termine ragione e chiamano scienza quella che non lo è affatto. Distinguiamo dunque la falsa ragione dei razionalisti dalla vera ragione delle anime realmente razionali e la pseudoscienza dalla scienza vera, la Scienza sacra dello spirito dalla falsa scienza materialista.

3.3.Un altro risultato della nostra precedente indagine è che l’essere è pensiero che si riflette in un’infinita molteplicità di coscienze, cioè che l’essere siamo noi, io e chiunque dica “io” intendendo sé stesso. E già abbiamo anticipato (§2.6) che l’anima (l’io, la coscienza, che dir si voglia) è la fonte della materia, poiché questa altro non è che l’immagine riflessa nello spazio dell’idea di essere intesa nel senso più generico possibile, senza specificazioni, idea che l’anima, essendo essere, trova in sé stessa senza altro apporto. Fermiamoci a notare una cosa importante: causa generatrice dell’immagine fluida ed informe che nel  §2.6 abbiamo chiamato materia è l’idea di essere. Finora abbiamo parlato di contenuti o prodotti del pensiero, ovvero della coscienza, e li abbiamo definiti “realtà” e abbiamo insistito col dire che è la realtà che genera l’immagine. Ora: i contenuti del pensiero, quando sono rappresentazioni conoscitive, cioè atti mediante cui il pensiero rappresenta sé stesso, si chiamano idee. Sono proprio le idee, che possono anche chiamarsi “forme trascendenti”, a generare le “forme immanenti”, cioè quelle immagini visibili nello spazio che noi chiamiamo materia e corpi. La forma trascendente è il modello invisibile (il discorso definitorio, la regola di costruzione) contenuto nel pensiero di cui la forma immanente, cioè l’immagine visibile nello spazio, è la realizzazione. Delle idee e della dialettica (=facoltà di passare da un’idea all’altra e dall’universale al particolare e viceversa) parleremo in studi appositi. Qui ci limitiamo ad anticipare solo che l’idea, o forma trascendente, è sempre universale: non è una singola realtà, una cosa individuale, ma è la rappresentazione di una molteplicità di cose individuali. Per esempio, l’idea di triangolo (il Triangolo, o triangolarità) è la rappresentazione di molteplici triangoli, tutti diversi e tutti collocati in punti diversi dello spazio e del tempo, ma che sono tutti una “figura piana con tre lati e tre angoli”. Tale definizione è pensata eternamente sempre uguale nel pensiero, cioè: l’idea universale è eterna. L’immagine visibile nello spazio, invece può cambiare, alterarsi e perfino sparire: l’oggetto individuale è in divenire(2).

3.4.Un’ultima osservazione sulle idee. Al §1.14 abbiamo asserito che l’estensione, così come lo spazio, ha la natura dell’immagine. Ci siamo lasciati sfuggire un termine senza averlo definito, contando sulla capacità intuitiva del Lettore, che sicuramente avrà inteso: “l’estensione è un tipo di immagine, fa parte della specie di quelle realtà che sono immagini”. Dopo quanto detto nel §3.3 possiamo chiarire meglio il significato di quegli enunciati: poiché l’idea è la causa generatrice delle immagini (ne è, come dire, la regola di costruzione) essa si chiama anche “natura”, se per natura intendiamo la causa che fa nascere una cosa. Dunque, dire “l’estensione ha la natura dell’immagine” significa che il pensiero, immaginando l’estensione, la realizza servendosi dell’idea di immagine(3); e anche dire “lo spazio ha la natura dell’immagine” significa che il pensiero lo produce pensando all’idea di immagine, o meglio a quella specifica idea di immagine che è “immagine che contiene le altre immagini”(4).

3.5.Ma torniamo alla materia, che è l’argomento che ci eravamo prefissati di trattare in questo libro. Si ricorderà che nel § 2.6 abbiamo mostrato, consequenzialmente alle nostre premesse, che le infinite anime sono infinite fonti di materia, perché l’anima che abbia in sé stessa la retta idea di essere, la specchia in un’immagine fluida, che abbiamo chiamato “elemento liquido”, specificando che essa è una forma (e ora possiamo aggiungere che è la forma immanente prodotta dall’idea di essere), ma è, per così dire, una forma informe, perché immagine dell’idea più generica di tutte. Essa è potenzialità di ricevere le forme più specifiche e farle essere visibili (cioè renderle immanenti), le quali forme provengono -come detto sopra- dalle idee dell’intelletto, che abbiamo chiamato in gergo “principio maschile”, mentre la coscienza che ne è fecondata(5) e che appare nello spazio come principio materiale, cioè informe, sempre nel nostro gergo ha ottenuto il nome di “principio femminile”. Se vogliamo chiamarla “materia spirituale”, come alcuni fanno, sono d’accordo anch’io, ma allora bisogna tener presente la definizione contenuta nel §1.14 (cfr. anche nota 10 al libro II): come si ricorderà, ivi chiamammo spirituale l’invisibile e corporeo il visibile; a rigor di termini, dunque l’espressione “materia spirituale” è una contraddizione, così come quella di “corpo spirituale” e “mondo spirituale”. Sono infatti queste espressioni solecistiche, dove il termine “spirituale” serve a specificare il tipo di corpo in antitesi con l’aggregato terreno e il tipo di materia in antitesi con quella terrena, e a distinguere il mondo delle coscienze scevre da aggregazione con corpi terreni da quello che gli uomini incautamente chiamano mondo, mentre non è il vero mondo ma, come si vedrà nel corso della presente opera, solo una sorta di simulazione. Ma a rigor di termini (e Dio sa quanto è importante il rigore nel linguaggio) bisognerebbe parlare di “materia prodotta da un consapevole atto dello spirito” e di “corpo prodotto da un consapevole atto dello spirito d’imprimere la forma specifica nella propria materia”.

3.6.Il Lettore non ancora addentro agli argomenti di cui stiamo trattando si starà chiedendo stupito come mai con tanta disinvoltura io distingua due specie di materia, una “terrena” e l’altra no, e due specie di corpi, uno “terreno” e l’altro no. Se questo tipo di Lettore è onesto, curioso e capace di rigore metodologico, sarà rimasto convinto dalle nostre argomentazioni, che -si fa osservare- sono tutte ricavate mediante applicazione del metodo assiomatico-deduttivo (la definizione rigorosa di un termine serve da assioma e da esso si deduce una verità mediante il riscontro di contraddizione nella sua negazione), oppure del principio di ragion sufficiente (nulla, che non sia necessariamente esistente, può esistere senza una causa che lo faccia essere), che ci è servito a sgomberare il campo dagli orpelli -quelli sì- metafisici di quei razionalisti che credono, proprio loro, di essere usciti dagli errori di una filosofia non sufficientemente empirica fondando la loro scienza sull’esperienza dei sensi, salvo poi omettere negligentemente di fondare il valore dell’esperienza sensibile oppure ammettersi incapaci di farlo. Intendo per orpelli metafisici la concezione di una realtà extramentale fatta di materia inerte eterogenea al pensiero, cioè fuori dall’essere e non causata da nulla, e la concezione di un’oggettività come requisito indispensabile per produrre il sapere. Il Lettore che mi ha seguito sin qui si sarà trovato, invece, in un mondo dove lo spazio è vivo e i suoi contenuti sono pensieri; in un mondo dove le anime sono fontane di un liquore cristallino che scintilla al sole amoroso delle idee, libere di ornarsi con le forme più splendide e le qualità più squisite… Sì, dirà il Lettore: ma quando stacco gli occhi dal libro e mi guardo intorno, tutto questo dov’è?

3.7.Il Lettore acuto ci sarà già arrivato da sé: abbiamo infatti detto che l’anima che abbia in sé la retta idea di essere, la specchia e na ricava materia fluida e cristallina; già, ma che ne è di un’anima in cui l’idea di essere, per qualche motivo(6), si sia offuscata? Ella produce di sé un’immagine difforme, ignara di esserne la fonte e pone l’essere altrove, immaginandolo fuori di sé; pone dunque due esseri, sdoppiando il vero essere e dimenticandosi di esso, dimenticandosi cioè di essere l’essere. Le immagini che essa produce sono ancora reali: infatti anche le immagini errate e confuse sono qualcosa, essendo prodotti del pensiero, come da definizione (non dimentichiamo che noi definiamo realtà il pensiero e i suoi prodotti). Ma quando un simile spazio (che non sa nemmeno di essere tale) va a specchiare i prodotti del proprio pensiero che trova? Una guazza buia sinistra, cioè un insieme instabile di concetti incomprensibili, contraddittori… Una simile materia è oscura, impenetrabile e grave. Ma questa non è la materia terrena; è piuttosto una specie di paradosso. E l’anima da fonte di acqua viva si è trasformata in un pozzo esaurito, dove tutto quello che trovi è la fanghiglia scura e maleodorante del fondo.

3.8.Ahimé, il Lettore che sappia ora aprire il suo occhio spirituale vede bene la differenza tra la fontana d’acqua viva e cristallina che beatamente specchia in sé stessa il sole delle forme, generando il suo mondo aperto e luminoso e la miseria di questi pozzi offuscati e melmosi, incapaci di tutto, persino, quasi, di essere…(7).

3.9.Ma non siamo ancora arrivati al risultato che cercavamo. Cercavamo infatti di capire che differenza o che rapporto ci sia tra la materia che è immagine dell’anima nello spazio (inteso nel modo sopra ridefinito) e questa strana e incomprensibile materia che ci è familiare, e che assai incautamente e con colpevole imprecisione abbiamo chiamato “materia terrena”; ci stiamo riferendo a quella realtà che i materialisti (ma non solo loro, anche la gente comune e chi la ritiene “creata da Dio”) chiamano, ancora più incautamente e negligentemente di noi, “materia”, tout court e senza specificazioni. Il problema è difficilissimo, è il problema più difficile di tutta l’ontologia; ma non disperiamo di risolverlo. Dobbiamo soltanto trovare il metodo giusto. Bisogna, innanzi tutto, porre il quesito in modo completo e ordinato, perché il primo passo per risolvere un quesito è capire bene di che quesito si tratta. Vediamo dunque di esporre chiaramente la questione.

3.10.Ci eravamo chiesti (§3.6): ma, se abbiamo dimostrato con rigore metodologico ineccepibile, da assiomi a conseguenze, che il mondo visibile è prodotto del pensiero che si fa immaginazione e che gli oggetti esistenti in esso sono immagini delle coscienze e dei loro contenuti, questo mondo dov’è? Perché invece percepiamo tutt’altro? Si noti, innanzi tutto, che nel porci questo problema, abbiamo spostato il nostro sguardo dal pensiero con i suoi contenuti alle immagini sensoriali che colpiscono -suo malgrado- la nostra coscienza quando sulla sua strada trova uno strano intermediario: il corpo. Il corpo? Ma che stiamo dicendo? Abbiamo dato una definizione precisa di corpo come “ciò che è prodotto dal consapevole atto dello spirito d’imprimere la forma specifica(8) nella propria materia (§3.5)”. Quello che testé ho chiamato corpo, e che comunemente viene chiamato così, non risponde affatto a questa definizione; dunque nel nostro linguaggio, esso non è un corpo. D’altronde, avevamo chiamato corpo tutto ciò che è visibile e sensibile. Si ricorderà la nostra definizione (§1.14): “chiamiamo spirituale l’invisibile, corporeo il visibile”. Dunque, se questo strano intermediario (così ho voluto chiamarlo provvisoriamente e un po’ scherzosamente) è visibile, in fin dei conti, deve essere corporeo. E’ corporeo ma non è un corpo? Ci troviamo evidentemente in grave difficoltà.

3.11.Notiamo, innanzi tutto, che se ci troviamo in difficoltà, è perché abbiamo cambiato metodo. Siamo passati dal metodo assiomatico deduttivo, che si esercita nel pensiero e sul pensiero (come dire nell’essere e sull’essere) a quello empirico, che consiste nell’osservazione dei dati dei sensi e cioè, per dirla col linguaggio della scuola, da un metodo a priori a un metodo a posteriori. C’è anche qui un pregiudizio da correggere, perché nella lingua comune queste due espressioni, volgarizzate, hanno assunto un significato sbagliato: quando ti senti dire di aver asserito una cosa aprioristicamente, devi intenderlo come un rimprovero per aver espresso un parere infondato; viceversa se uno ti dice “e questo lo so a posteriori”, è che vuol convincerti che il suo parere è ben fondato, frutto di esperienza. Come si vede a questo punto della nostra riflessione, invece, il vero fondamento di tutta la scienza, quella vera, sta nell’assioma dell’uguaglianza tra essere e pensiero, e verità fondate sono quelle ricavate con metodo assiomatico-deduttivo, cioè a priori, senza l’apporto di alcun dato sensibile. E come abbiamo testè sperimentato, non appena ti rivolgi ai dati dei sensi e cioè all’esperienza, ti trovi confuso e immerso in una pletora di immagini incomprensibili. Non soltanto noi, intendo dire, ma soprattutto quelli che con tanta sicumera hanno inteso fondare (e pretendono disonestamente di averlo fatto) la loro scienza sui dati empirici, ma senza prima averne indagato la natura e dimostrata l’attendibilità. Sicuri delle loro causalità meccanicistiche, resi baldanzosi dal fatto che mediante esse riescono a far funzionare tecnologie sempre più sofisticate, credono con questo di poter negare il vero essere e spiegare tutto in termini di “legge naturale”, che intendono come meccanica. Ma non si rendono conto che se la legge è esprimibile in termini matematici, essa è un pensiero, e non può essere meccanica(9)? Che scienza è quella che sa ottenere effetti senza saper vedere le loro vere cause e non si è mai impegnata a dimostrare che l’apparenza entro cui si muove è realtà e non simulazione? Perché, quando qualcuno di loro ci si è provato, si è perso in un groviglio intricatissimo e non ha dimostrato nulla. Per rendersene conto basta leggere i libri di epistemologia e di filosofia della scienza novecenteschi. Si ricordi T.Nagel (cfr. nota 1 al libro I), che per fondare il sapere sui dati dei sensi, finiva poi con l’augurarsi di non avere sensi affatto, anzi, di cessare di essere un soggetto, essendo in cerca, contraddittoriamente, di una “visione oggettiva” e cioè di una visione senza punto di vista, senza soggetto, come dire senza sé stesso! E questo che per centinaia di pagine va in cerca di un fantasmatico “soggetto senza prospettiva” e di un’altrettanto fantasmatica “esperienza senza soggetto” sarebbe uno scienziato? Ma va’. Come tutti quelli che si illudono di potersi procurare un’esperienza oggettiva, è solo un matto.

3.12.Sia ben chiaro, dunque, che non dobbiamo usare i dati dei sensi come fondamento al sapere, perché faremmo come chi costruisce sulla sabbia. Ci smarriremmo in un oscuro labirinto e finiremmo coll’impazzire. D’altronde, non possiamo nemmeno fare come quelli che, illudendosi d’aver trovato una comoda scorciatoia, si danno al misticismo di tipo orientale, dove si nega realtà al mondo comune -e a qualunque mondo, tout court- e si cerca l’unione col principio intesa in un senso oscuro come eliminazione dell’individualità, ritorno all’indifferenziato, cessazione del pensiero e della coscienza… Noi siamo seri, e perciò di fronte ai dati dei sensi, e all’estrema difficoltà di capirne il significato, non ci accontentiamo di accantonarli e di dire: sono falsi, sono illusioni; anche perché cadremmo in contraddizione. Infatti al §1.19 abbiamo asserito: la coscienza, quando riceve un’immagine, non sbaglia mai. E abbiamo anche detto che le cose, gli oggetti della realtà, sono immagini e dunque, anche nel caso della realtà empirica comune, vale la legge che l’immagine sia una cosa reale. Ora prendiamo i dati dei sensi, che sono immagini (i sensi dell’uomo comune, intendo, non quelli dell’anima libera, di cui non abbiamo ancora parlato) e rispettiamoli, e cerchiamo di dare un resoconto ordinato di tale tipo di sensibilità(10). Cioè, anche noi utilizziamo il metodo fenomenologico, ma non come fanno molti filosofi del Novecento, che applicano solo quello, ricavandone unicamente una gran confusione. I fenomeni, da sé, non ci dicono nulla sull’essere; viceversa è la conoscenza dell’essere che ci pone in grado di intendere i fenomeni. Perché, solo chi abbia fondato una retta ontologia sull’uguaglianza tra essere e coscienza e abbia chiarificato le idee fondamentali di materia e corpo e sappia applicare correttamente le leggi logiche può affrontare lo studio del visibile senza affondare nelle sabbie mobili.

3.13.Cominciamo col riprendere quanto già accennato al §1.18: gli oggetti che vediamo nella nostra esperienza umana sono colonie di esseri microscopici, che i chimici e i fisici chiamano “atomi”, aggregati insieme. Noi vediamo non la forma microscopica dell’atomo, ma quella macroscopica dell’aggregato, carica di qualità e di proprietà(11) che però sappiamo dipendere dalla struttura atomica, non dalla forma macroscopica a noi visibile. Lo spazio entro cui siamo ci comunica l’immagine tridimensionale di un oggetto. Ma quello non è un oggetto, è una colonia, è un aggregato di numerosissimi corpi. Questo può aiutarci a uscire dalla difficoltà di prima (§3.10): è vero che l’oggetto che abbiamo davanti è qualcosa di corporeo, ma non è un corpo, è uno sciame tanto fitto di molteplici corpi, da sembrare un corpo senza esserlo. Rimane però aperto un nuovo quesito: ognuno degli elementi che compone un corpo aggragato è un corpo? Risponde cioè alla definizione da noi data sopra di corpo? La si ricorderà: corpo è ciò che viene prodotto dal consapevole atto dello spirito d’imprimere la forma specifica nella propria materia (cfr. §2.13 sull’unione dei due principii, e, comunque, tutta la disquisizione contenuta nel libro II sull’anima come fonte di materia e di forma). Gli atomi sono spiriti? Ebbene, sì. Ci era già capitato di asserire che gli spiriti sono atomi (§2.4), cioè entità indivisibili, ed ora possiamo tranquillamente asserire che gli atomi sono spiriti(12), visto, oltre tutto, che il principio di ragion sufficiente ci impedisce di credere che esistano atomi fatti di materia (e energia, che dir si voglia) extramentale(13).

3.14.Che spazio è mai questo, dove sciami di spiriti dispettosi simulano corpi che non ci sono? Dove siamo capitati? Ma andiamo più a fondo. La retta applicazione del principio di ragion sufficiente ci ha insegnato che nulla può esistere fuori dal pensiero e dalle sue coscienze; ciò che non è o pensiero o prodotto del pensiero non può esistere, perché esiste solo ciò che è necessariamente esistente o ciò che è causato da qualcosa’altro; altro non può esistere. Lo stesso principio di ragion sufficiente ci insegna anche che, se una cosa non l’ho pensata io, ma esiste(14), deve essere il prodotto del pensiero di qualcun altro. Si tenga ben presente questo corollario, perché sarà preziosissimo quando vorremo mettere ordine nelle nostre percezioni, soprattutto quelle che riceviamo senza “lo strano intermediario “, che ormai possiamo chiamare a ragion veduta “corpo aggregato”.

3.15.Ormai deve risultare chiaro che quello che comunemente gli uomini chiamano “corpo” e scambiano per sé stessi, non è il vero corpo né tanto meno il loro vero sé stesso. Il vero corpo di una coscienza è l’immagine dell’idea di essere, idea entro cui si rappresenta la coscienza stessa, completata con la forma specifica, cioè le sue doti particolari e i suoi contenuti specifici, simbolizzati come qualità e proprietà. Esso è un atto consapevole del pensiero: spero che oramai si ricordi la definizione contenuta nel §3.5 e tutta la discussione sulla natura della materia, sulla coscienza che si fa “principio femminile” o matrice quando lo spazio (l’immaginazione dell’essere) la riflette immaginandola. Ora, il “mio” corpo, quello che impropriamente è considerato tale fra gli esseri umani, non risponde alla definizione, che abbiamo dato, di corpo; io non lo produco con un semplice atto consapevole del pensiero, e non è nemmeno un corpo, perché è un aggregato di organi e di tessuti, i quali a loro volta sono aggragati di molecole, che sono aggregati di atomi. Il “mio” corpo è come una matrioska: forme dentro a forme. A ogni livello di aggregazione si trova una forma sovraordinata che è la forma macroscopica del gruppo, entro la quale le forme inferiori sono nascoste. Abbiamo detto che tutte le forme sono pensieri: sia le forme immanenti, cioè quelle individuali, in divenire, sensibili nello spazio, sia le forme trascendenti o idee, cioè quelle eterne, immobili e invisibili che fan da modello, cioè da regola di costruzione, alle forme immanenti. Nessuna di queste forme che compongono il “mio” corpo aggregato l’ho pensata io: né la forma degli atomi, che sono gli elementi più piccoli, né quella delle cellule e degli organi composti di cellule; non ho insegnato io al “mio” fegato come si scompongono i grassi, né al “mio” stomaco come si digerisce il bolo di cibo che gli arriva quotidianamente, né saprei come metabolizzare gli elementi digeriti, cioè far dimenticare a uno spirito la forma di pane, latte, uovo etc. e convincerlo a sostituirla con quella che occorre a ripristinare le carenze dei “miei” tessuti. Inoltre, il “mio” corpo compie molte azioni che non dipendono da me, come sobbalzare a un rumore improvviso, ritirare di scatto una mano che si è scottata, compiere insomma gesti “automatici”(15), e persino prova sentimenti al posto mio, come ripugnanza per i cibi andati a male, escrementi, insetti e così via e invece attrazione per i cibi gustosi; e a volte, addirittura, può persino mandarmi pensieri che non ho pensato io. Anche le mie percezioni sensibili sembrano dipendere dal corpo aggregato: se mi si lesionano i timpani non ricevo più suoni e senza occhi non riceverei più immagini…

3.16.Non è del tutto vera quest’ultima osservazione. Ci sono immagini e suoni e sensazioni che l’anima riceve a prescindere da quello strano intermediario, da quel complesso e incomprensibile aggregato che gli uomini incautamente chiamano corpo. Innanzi tutto, quei segni che l’anima produce da sé, entro sé stessa: quando penso verbalmente, le parole sono suoni dentro la mia mente e quando penso immaginalmente, le immagini che produco sono ben percepite dalla mia coscienza. Si dirà che questi segni non sono reali; così pensano coloro che sono ancora intrappolati nel “ragionamento bastardo” di cui parla Platone (Timeo 52b) e credono che l’essere sia extramentale, oggettivo, condiviso. Il Lettore si ricorderà che invece noi abbiamo definito reale tutto ciò che è coscienza o contenuto della coscienza, senza esigere che esso sia condiviso intersoggettivamente (§§1.7-1.8). Anche le immagini dei sogni, secondo la nostra definizione, sono reali. E quelle però vengono ricevute, non prodotte dalla coscienza(16). E bisognerebbe anche dar retta ai visionari, e a quegli uomini delle culture primitive che inducono nelle proprie coscienze percezioni che non dipendono dal corpo aggregato mediante le pratiche più svariate, e anche ai profeti e a quelli che vanno in estati… E bisognerebbe dar retta anche a me, una buona volta, quando racconto di aver visto i mondi spirituali e le città di cristallo(17). Tutte le immagini, tutti i contenuti della coscienza, per definizione, sono oggetti reali. Solo le immagini dei corpi aggregati non sono pienamente reali, perché sembrano quello che non sono e sono quello che non sembrano: sembrano un corpo e sono invece una simulazione di corpo, è un numerosissimo sciame di spiriti che incatenato da forme sopraggiunte da chissà dove ci ingannano e fingono di essere quello che non sono.

3.17.Tutto è reale, ciò che è immagine in una coscienza, ma non tutto è quello che sembra. Questi aggregati che gli uomini considerano incautamente oggetti reali, gettano ombre ingannevoli nella nostra anima; perché è vero che l’anima, se vede una forma non sbaglia mai, così come dicemmo al §1.18. Ma si legga bene il nostro enunciato: “se gli oggetti sono immagini dei contenuti del peniero, e cioè sono pensieri, quando il pensiero li coglie, cioè quando una coscienza li percepisce, e li percepisce come pensieri, non sbaglia”. Già, ma se le combinazioni di immagini comunicate alla coscienza sono congegnate in modo così complicato e astuto da nascondere la propria natura di pensieri, se è occultata la fonte delle cose e delle leggi che ne governano l’esistenza, l’anima che fa? L’anima inizia a sognare, errando, che in uno spazio extramentale esistano oggetti al di fuori del pensiero, e comincia a chiamarli realtà ed essere, perché da un lato si scambia per una cosa, identificandosi con questo aggregato che crede fatto di materia extramentale, e dall’altro, quando pensa e sente il suo pensiero, non lo crede reale, né lo chiama più essere. Le cose che vede sono reali, sono immagini delle colonie di spiriti, che, in formazione, mimano corpi “oggettivi” fatti di materia eterogenea al pensiero; ma l’anima, dunque, che non sbaglia quando percepisce le immagini, sbaglia invece formulando il “ragionamento bastardo” (Platone, Timeo 52b), cioè quella serie di pregiudizi irrazionali che sono sottesi a tutta la vita degli uomini comuni, sono lasciati intatti dalla religione cristiana che ha fallito il suo compito di redimere l’uomo (cioè risvegliare l’anima dagli errori) per la sua caduta nel dogmatismo irrazionale e, nella fattispecie, nel creazionismo, e sono l’infido e sdrucciolevole fondamento di tutta la scienza materialista; quella serie di pregiudizi, insomma, che ci siamo affaticati a confutare nel libro I del presente scritto.

3.18.Sembra dunque che l’anima sia caduta in un tranello. Frastornata dalla complicata combinazione delle forme, interpreta male quello che vede e accetta per disattenzione le concezioni contraddittorie sulla realtà e sull’essere e tutto ciò che ne consegue. Ecco come la fonte d’acqua viva s’impaluda (si ricordino i §§ 3.7 e 3.8) e come il suo mondo si trasformi in deserto di sogni sabbiosi, da spazio vivo e amoroso che era(18). Ma questa maledetta “sabbia”, questi elementi insidiosi raggruppati sotto forme insidiosissime, che a loro volta s’aggregano sotto forme ancora più insidiose, da dove vengono? E le forme macroscopiche che li legano assieme e che ci frastornano coi loro giochi di immagini, chi le produce? E come fa tutta questa maledetta “sabbia” (o “polvere del suolo”, se vogliamo usare il linguaggio della Genesi(19)) e le forme che l’aggregano ad entrare nella nostra anima e farla prigioniera? No, non è Dio a giocare con le formine, come credono i Cristiani, per creare un mondo dal nulla, anche perché l’esistenza del nulla è un’impossibilità logica; e se Dio, che è l’essere, creasse un altro essere, quest’ultimo se è diverso dall’essere sarà non essere, e dunque non potrà essere, e se invece è uguale all’essere, non potrà essere diverso da Dio, che è l’essere, e dunque Dio e la sua creazione verrebbero a coincidere, mentre i cattolici negano questa possibilità. Lasciamo perdere le vecchie superstizioni, che non ci aiutano.

3.19. Ogni anima è un atto di coscienza dell’essere, che si pensa eternamente, perché se non si pensasse, si avvererebbe il non essere, il che è contraddittorio. L’anima dunque non ha bisogno di essere creata e non cesserà mai di esistere: è pensiero, e il pensiero è essere, e non può non essere. Invece, l’anima ingannata dall’aggregato che si spaccia per il suo corpo, crede di essere nata e pensa di dover morire. L’anima è eternamente giovane, il corpo aggregato invecchia; l’anima non si ammala e non subisce lesioni, il corpo aggregato può ammalarsi e venire ferito; l’anima non ha bisogno di mangiare e di bere, il corpo aggregato sì o si disgregherebbe(20); l’anima non ha desiderio che del bene, ma se si confonde col corpo aggregato vuole riprodursi sessualmente, perché pensa che solo così la vita continuerà, e vuole soddisfare i bisogni del corpo aggregato, perché ha paura di morire. L’anima, cioè è indotta a certe scelte da desideri e paure che non avrebbe mai se non fosse identificata con un corpo aggregato e prova sentimenti che mai proverebbe se fosse consapevole di sé(21). Tutto questo ci fa pensare che chiunque siano coloro che imprimono le forme negli elementi atomici e poi li aggregano imponendo loro un’altra forma e così via, non abbiano buone intenzioni nei nostri riguardi. Qualunque sia il modo con cui ci riescono, nel momento in cui accollano alla nostra anima un aggregato corporeo, la uccidono, cioè l’ingannano e la gettano nell’ignoranza. Perché qui, nella sfera sinistra dei corpi aggregati, ogni verità è negata. Il Lettore che mi abbia seguito fin qui non potrà fare a meno di chiedersi: perché lo fanno? Perché mai ci fanno questo? Ma poiché la risposta a tale quesito non è più materia dell’ontologia, bensì dell’escatologia e della filosofia della storia, lo lascerò in sospeso. Ho già esposto tutta la questione in due scritti: “Introduzione alla Scienza sacra” e la preghiera “Sull’eutanasia” e ad essi rimando chi sia interessato alle conclusioni tratte da me al riguardo, coll’avviso che qualcuno le troverà un poco sconvolgenti(22).

3.20. Parleremo nel prossimo libro del presente scritto della materia aggregata e delle forze che l’aggregano più in dettaglio. Per ora limitiamoci a raccogliere alcune idee contenute nei paragrafi precedenti, su cui forse non ci eravamo soffermati abbastanza. La vera materia è immagine prodotta dalla coscienza, quand’ella si pensa per mezzo della retta idea di essere; è prodotto di un unico atto consapevole del pensiero, continuo e infinito, ed è liquore non composto di particelle, ma semplice. L’abbiamo chiamata anche materia spirituale, con un solecismo di cui però abbiamo chiarito il senso(23), per distinguerla dalla materia aggregata, che non è vera materia, o meglio non è quello che sembra; gli atomi di cui è composta sono corpi spirituali (cioè veri corpi), perché la loro è materia spirituale che riceve una forma specifica, vedremo da dove. Dunque la materia aggregata non è vera materia, perché non è il prodotto di un unico atto consapevole del pensiero, ma è comunque materia spirituale, perché composta da un “coro” di spiriti; e anche le forme macroscopiche, quelle che compaiono ai “nostri” sensi, sono pensieri come tutte le altre forme (e non potrebbe essere altrimenti, perché non esistono forme, e cioè immagini, extramentali, per definizione), e sono pensieri pensati da intelligenze molto abili e molto potenti, a giudicare dalle complicate simulazioni che riescono a produrre. Tutta questa  complicazione serve ad occultare la fonte dei corpi, cioè la natura spirituale della loro materia, della loro forma e dello spazio, sì da costruire una simulazione dove tutto ciò che si vede sembra realtà oggettiva, fatta di una materia eterogenea al pensiero e collocata in uno spazio extramentale. Ricordiamoci dunque che se chiamiamo l’una “materia spirituale” e l’altra “materia terrena”, non è perché esistono due tipi diversi di materia, una extramentale e l’altra no, ma che entrambe hanno come fonte il pensiero. Però, quella che vuol sembrare materia extramentale è un aggregato di spiriti elementari e forme su forme, in un gioco di immagini così complicato da riuscire ingannevole e incomprensibile. Tutta la materia è spirituale e tutte le forme sono pensieri, ma dobbiamo distinguere il corpo aggregato dal corpo semplice (questa è la dizione migliore) e il mondo vero, quello dove vivono libere le anime che si specchiano nello spazio come corpi semplici, dal mondo dei corpi aggregati, che è solo una simulazione.


NOTE AL LIBRO III.

 

Nota 1: quando la ragione è usata bene, dall’applicazione corretta del principio di ragion sufficiente può ricavare che la causalità meccanicistica, che oggi va per scientifica, è fasulla. Noi ne facciamo esperienza, è vero, ma non sempre, perché qualche volta essa funziona diversamente (e allora irrazionalmente si grida “al miracolo”). Il che già potrebbe metterci sull’avviso; e bisognerebbe anche ascoltare la critica che del concetto di causalità meccanica ha già svolto il filosofo D.Hume, a cui nessuno ha saputo rispondere. Ma sulla retta causalità, che va sempre dalla realtà all’immagine, cioè dal pensiero alle cose visibili e non si esplica mai tra due cose visibili (poiché ciò che è solo immagine non può agire come realtà) diremo più oltre, nel presente scritto.

 

Nota 2: il Lettore mi perdoni per questa lezioncina di platonismo, ma il fatto è che vorrei parlare anche ai giovani e ai non specialisti, perfino alle persone che di Platone hanno sentito parlare solo sul manuale del liceo e nei salottti.

 

Nota 3: si ricordi che quando il pensiero si serve dell’idea di immagine si fa immaginazione, che è quella facoltà spirituale che produce la visibilità.

 

Nota 4: dicemmo che l’essere è pensiero e la realtà sono i contenuti del pensiero (§3.1). Quando l’essere si fa immaginazione, si pensa, o meglio si immagina, come spazio (immagine che contiene le altre immagini), immaginando i suoi contenuti come corpi. Cioè, tra il pensiero e i suoi contenuti c’è lo stesso rapporto che tra lo spazio e i corpi in esso contenuti.

 

Nota 5: quando l’anima pensa l’idea di essere sta pensando a sé stessa, perché l’anima è l’essere e l’idea di essere è la rappresentazione che l’anima ha di sé stessa. Dunque è la coscienza stessa a farsi matrice o ricettacolo delle forme, dando un’immagine di sé e diventando materia visibile. Attenzione perciò a non pensare che la materia sia un altro essere, creato dall’anima. Il concetto di creazione della materia dal nulla, tanto più se attribuita a un Dio sommo che è principio ed essere individuale allo stesso tempo (contraddittoriamente), va eliminata dalla nostra coscienza, perché essendo completamente irrazionale, è uno di quegli ingombranti viluppi che imbrogliano il nostro occhio spirituale e ci impediscono di vedere l’essere. Religione e materialismo, che sembrano in antitesi, in realtà, si noti, si fondano sugli stessi errori che provengono dal senso comune afilosofico, cioè quelli che Platone (Timeo 52b) chiama sinteticamente “ragionamento bastardo”, nothos logismòs, e sono quei pregiudizi irrazionali (l’essere “fatto di materia” eterogenea al pensiero ed extramentale etc.) che ci siamo affaticati a confutare nel libro I della presente opera.

 

Nota 6: non entra nei limiti della presente trattazione indagare tale motivo; ma essendo argomento importantissimo, bisognerà farlo altrove.

 

Nota 7: chiedo scusa per questo anticipo di visione simbolica; mi capita a volte di voler dare qualche strappo in avanti nel tessuto della mia esposizione, anche per l’abitudine che ho ormai acquisita di pensare nel  linguaggio del vero essere. Perché, nel mondo reale la forza della manifestazione è il simbolo.

 

Nota 8: spero che il Lettore non ignori che cos’è una forma specifica; chi già ha alle spalle sufficienti studi filosofici avrà almeno letto l’Isagoge di Porfirio. L’eidos (specie, forma specifica) si ottiene aggiungendo la diaphorà (differenza) al genere prossimo: genere prossimo più differenza specifica forniscono la definizione di una cosa. Esempio: figura piana (genere prossimo) con tre lati e tre angoli (differenza specifica) è la definizione di triangolo. Sulla dottrina neoplatonica delle forme si può consultare il già citato capitolo della mia tesi di laurea, Gli Opuscula sacra di Severino Boezio, intitolato “Il De hbdomadibus” (da richiedersi presso l’Autore).

 

Nota 9: il meccanicismo è la tendenza a considerare le cause che agiscono costantemente nel mondo dell’esperienza sensibile comune agli esseri umani (quello che noi chiameremo mondo dei corpi aggregati o mondo terreno, dopo aver dato conto di questi termini) come leggi oggettive, che esistono da sé in un mondo extramentale senza nessun pensiero che le pensi. E’ un’altra marchiana trasgressione al principio di ragion sufficiente, perché le leggi non si pensano da sé né galleggiano nel vuoto, né si può dimostrare che le cosiddette leggi naturali siano necessarie (su questo vedi ultra, libro IV); ragion sufficiente perché ci sia una legge è un legislatore che la ponga e un apparato coercitivo che la applichi… No, il legislatore non è Dio, il Lettore stia ben attento. Già ho avvisato (nota 5 al III libro) che perché possiamo arrivare all’essere bisogna sgomberare la mente anche dalle vecchie superstizioni, oltre che dagli orpelli del materialismo che avviluppano il nostro occhio spirituale. Il Lettore tenga ben presente quanto si è detto ai §§2.9 e 2.10.

 

Nota 10: se il Lettore ha in mano un libro stampato dove legge le mie parole, oppure se le legge su uno schermo o su qualunque altro supporto tecnologico abbiano inventato gli uomini a mia insaputa, evidentemente, è collocato in quella realtà di cui sto parlando e riceve le immagini attraverso lo “strano intermediario”, che alla fine di questa discussione chiameremo “corpo terreno” o “corpo aggregato”, e quindi quando io parlo di “dati dei sensi”, di “esperienza sensibile” e così via, sa che mi riferisco alla sua esperienza comune in quello che gli uomini comuni chiamano “mondo”. Ma se il Lettore vede direttamente le parole dentro la mia memoria (o nella memoria dell’essere), e cioè fa parte del vero mondo, il mondo dei corpi semplici, ovvero il mondo spirituale, abbia pazienza e cerchi di capire che quando uso i termini “mondo”, “dati dei sensi”, “sensibilità”, “esperienza” etc. senza altra specificazione, mi riferisco alla sfera di esperienza deformata e distorta che tocca agli esseri umani. Altrimenti, darò la specificazione “spirituale” o qualcosa di equivalente.

 

Nota 11: qualità sono quelle che si comunicano ai sensi come colori, suoni, odori, sapori, sensazioni tattili; le proprietà sono le capacità dei corpi di alterarsi venendo a contatto con altri corpi (per esempio, la cera si scioglie alla fiamma). Ma poiché i corpi sono immagini e non realtà, e le immagini non possono causare nulla, ma è la realtà ad avere efficacia causale, bisognerà analizzare più in dettaglio in che consiste questo “contatto” (cfr. ultra, libro IV).

 

Nota 12: gli atomisti moderni sono stati a lungo incerti se considerare l’atomo un insieme di particelle o una combinazione di onde. Infine si è accreditata l’ipotesi che l’atomo sia una forma di energia. Siamo d’accordo: basterebbe che gli scienziati si rendessero conto che l’unica energia che può esistere è il pensiero in atto…

 

Nota 13: spiriti e atomi sono due parole equivalenti, perché entrambe significano “indivisibile atto di coscienza dell’essere”, che può chiamarsi anche “individuo”. Poiché non possono esistere altri esseri che quelli spirituali, “spiriti” non è una specie del genere “atomi”, ma ne è l’equivalente. Altrimenti, se non fosse una relazione di identità, ma un predicato che collochi la specie nel suo genere (come: “i triangoli sono figure geometriche piane”), o l’individuo nella sua specie (come: “Socrate è un uomo”), la reversibilità tra soggetto e predicato non varrebbe. Infatti non posso dire “le figure geometriche piane sono triangoli”, né “l’uomo è Socrate”.

 

Nota 14: ovviamente, per “esistere” intendo “essere un’immagine nella coscienza”.

 

Nota 15: nel linguaggio comune si chiamano così, ma pensare che possa esistere un movimento “automatico” senza che nessuno lo compia, è una trasgressione al principio di ragion sufficiente e dunque una convinzione irrazionale; se un movimento c’è ma non l’ho prodotto io, evidentemente, lo ha prodotto qualcun altro.

 

Nota 16: quello che una pseudoscienza moderna chiama “inconscio”, ovviamente, non esiste, essendo la concezione di un essere che pensa ma non ha coscienza di pensare, desidera ma non ha coscienza di desiderare etc. palesemente contraddittoria. Infatti pensiero e coscienza di pensiero sono la stessa cosa: un pensiero non è un pensiero se non è pensato coscientemente, al massimo potrà essere oscuro, poco focalizzato, assunto acriticamente e accantonato in fretta, ma non può essere inconscio, sarebbe come dire “un corpo senza estensione” o “un triangolo senza lati”. Né un desiderio può essere inconscio, poiché desiderio e coscienza di desiderio sono la stessa cosa; né alcun contenuto della coscienza potrà mai essere inconscio, poiché se la coscienza non avverte qualcosa, vuol dire che, per definizione, quella cosa non è un suo contenuto. Non è consentito, dunque, dalla logica nemmeno l’impiego aggettivale della parola inconscio, a maggior ragione è irrazionale l’uso sostantivo: un fantomatico inconscio, inteso come un essere, che è te ma non sei tu, pensa al posto tuo senza avere coscienza di pensare, desidera al posto tuo senza avere coscienza di desiderare etc. è solo un’oscura immaginazione nella mente di questi pseudoscienziati irrazionali, uno dei tanti viluppi che accecano l’occhio spirituale degli psicoanalisti. Costoro non sanno che essere è pensiero e che pensiero è coscienza, e che dunque un essere inconscio non può esistere, perché sarebbe come dire “un essere che non è essere” o “un essere che è non essere”. Invece, si applichino con rigore i principi logici; grazie al principio di ragion sufficiente si troverà che se esiste una realtà che non ho prodotto io, vuol dire che l’ha prodotta qualcun altro. Così è delle immagini dei sogni e delle visioni, così come di tutto ciò che gli uomini credono essere percezione e giudicano provenire da un mondo extramentale. Ma se questo qualcun altro produce immagini, e cioè pensieri, ben lungi dall’essere un “inconscio”, dev’essere, invece, una coscienza.

 

Nota 17: l’acqua viva cristallizza (cioè diventa solida) al sole delle forme. Le forme appaiono nello spazio come luce perché sono ciò che rende l’essere conoscibile (visibile) a sé stesso. Quando la matrice è allo stato potenziale è elemento liquido, e scorre; ma quando assume una forma in atto, e lo fa semplicemente pensandola, diventa corpo solido, cristallino, splendente.

 

Nota 18: mi scuso di nuovo per questa nuova incursione nel mondo simbolico dell’essere. Approfitto per anticipare qui che il mondo dei simboli è la vera realtà nascosta dall’aggregato. Se ne parlerà in uno scritto a parte.

 

Nota 19: cfr. Genesi 2,7.

 

Nota 20: uso i termini “nascere”, “morire”, “invecchiare”, “ammalarsi”, “lesione”, “mangiare” e “bere” nel senso umano dei termini; nel linguaggio simbolico, però, anche l’anima nasce e muore: nasce nuova quando cambia forma spirituale, muore alla vecchia forma (rimanendo intatto il nucleo eterno, si capisce), si ammala, ma la vera malattia è stoltezza e ingiustizia, invecchia anche, quando aderisce a sistemi di idee e di valori retrogradi e superstiziosi, viene lesa dalla vita nel corpo aggragato, che è come una ferita da cui troppo a lungo cola il sangue (=sofferenza), si alimenta di sapienza e si disseta di amore. Ma sul linguaggio simbolico del vero mondo dell’essere si dirà altrove.

 

Nota 21: non che l’anima sia priva di sentimenti e desideri, quando è libera dall’aggregato; solo, li indirizzerebbe altrove, al vero bene, non verso le immagini illusorie di bene che produce nella coscienza umana l’identificazione col corpo aggregato.

 

Nota 22: tutti gli scritti dell’Autore citati nel testo si possono richiedere presso l’Autore stesso.

 

Nota 23: cfr. supra, §3.5.

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